Rispondendo all'appello dei partiti della "sinistra" borghese, che rinunciano a dare una spallata al governo 200 mila in Piazza del Popolo contro Berlusconi Gli oratori raffreddano la combattività dei manifestanti giocando tutto sul piano legalitario, costituzionale, riformista e elettorale Il PMLI presente ufficialmente diffonde il volantino che denuncia la firma di Napolitano al golpe del decreto salvaliste Pdl Ancora piene di indignazione e di rabbia per il decreto golpista salvaliste Pdl del governo, a cui si è aggiunta nel frattempo l'ennesima legge vergogna del "legittimo impedimento" approvata dal Senato nero, sabato 13 marzo 200 mila persone provenienti da tutta Italia hanno riempito piazza del Popolo a Roma in una grande manifestazione per gridare basta al neoduce Berlusconi e alla sua banda di neofascisti, corrotti, razzisti e mafiosi che stanno mettendo a sacco il Paese e facendo scempio dei diritti e delle conquiste sociali delle masse e finanche delle stesse regole della democrazia borghese. Altre manifestazioni simili, per quello che è stato soprannominato il "Regole-day", si sono svolte in contemporanea in altre città, come a Milano, con 20 mila persone riunite davanti al Castello Sforzesco, mentre alcune altre migliaia si sono date appuntamento a Mestre, a Bologna e a Potenza. A Reggio Calabria la manifestazione ha preso il nome di "No mafia-day", con un corteo che ha attraversato tutta la città e perfino a Londra, Parigi e Berlino si sono svolti sit-in di protesta per ciò che sta avvenendo in Italia. La manifestazione di Roma era stata decisa dai partiti della "sinistra" borghese all'indomani delle manifestazioni spontanee di protesta promosse dal "popolo viola" subito mobilitatosi durante e dopo le ore concitate che avevano visto l'attuazione del golpe salvaliste di Berlusconi avallato da Napolitano. A queste manifestazioni in varie piazze romane, che giustamente puntavano il dito anche contro il Quirinale, avevano partecipato anche militanti del PD, e ciò non poteva non allarmare il partito liberale di Bersani, che mentre faceva quadrato intorno al capo dello Stato e cercava di isolare le "intemperanze" di Di Pietro favorevole addirittura all'impeachment, si preoccupava da una parte di dare sfogo alle pressioni dal basso che chiedevano una risposta dura all'arroganza fascista di Berlusconi e del governo, e dall'altra di incanalare la rabbia e l'indignazione popolare entro un alveo legalitario, costituzionale, riformista ed elettorale: ossia a sostegno della sua campagna elettorale per le prossime elezioni regionali e amministrative. Per non rischiare un altro "No Berlusconi-day" Avendo imparato la lezione del "No Berlusconi-day", quando commise l'errore di snobbare la prima manifestazione del "popolo viola" rivelatasi invece un clamoroso successo, stavolta il PD ha voluto giocare d'anticipo prendendo l'iniziativa prima che le masse antifasciste e antiberlusconiane si organizzassero da sole, rischiando di trascinare in piazza anche parte della sua base sempre più esasperata dall'immobilismo, dall'opportunismo e dalla vocazione all'inciucio dei suoi dirigenti. È così che dopo un giro di telefonate tra Bersani, Di Pietro, Bonino e Vendola è nata la decisione della manifestazione di Roma, che nel titolo stesso tradisce le vere intenzioni dei vertici della "sinistra" borghese: "Per la democrazia, la legalità, il lavoro, i diritti. Sì alle regole, no ai trucchi. Per vincere". Sottinteso, alle elezioni. Ossia, invece che una manifestazione per dare una spallata a Berlusconi e al suo governo neofascista, una kermesse elettorale per incanalare la voglia di lottare delle masse nelle illusioni elettorali e nell'appoggio ai candidati del "centro-sinistra". Un disegno questo rivolto soprattutto al "popolo viola", i cui voti fanno gola a Bersani e a Bonino, a Vendola, Ferrero e agli altri candidati governatori e neopodestà, e che rischiano di andare a ingrossare le file dell'astensionismo di sinistra: "Le cose cambiano - ha confidato significativamente Bersani a la Repubblica del 12 marzo - chi prima ci chiedeva di aiutarli a protestare adesso ci chiede di portarli da qualche parte". Ed è con questo obiettivo in testa che il leader del Partito democratico ha coniato appositamente per l'iniziativa lo slogan "dalla protesta alla proposta", ammonendo anche che non sarebbero stati tollerati attacchi a Napolitano né dal palco né dalla piazza. Intervistata durante la manifestazione, la sua papabile giovane delfina, Debora Serracchiani, si è affrettata infatti a sottolineare che "questa non è una manifestazione contro qualcuno" che "non deve spaventare nessuno e non deve creare tensione". Inoltre è stata scelta piazza del Popolo, anziché una piazza più grande, proprio per limitare l'impegno del PD a portare in piazza più persone e non dare alla manifestazione un carattere troppo di "sfida" a Berlusconi. Che da parte sua, invece, lo ripagava annunciando rabbioso una contro-manifestazione per il sabato successivo 20 marzo in piazza San Giovanni: questa sì in segno di sfida alle masse di sinistra e a tutti gli antiberlusconiani e antifascisti. Interventi elettoralistici, strumentali e leaderistici Tutto questo, unito alla scontata passerella di leader e candidati dei partiti della "sinistra" borghese, da Nencini a Di Pietro, Da Bonino a Ferrero, da Bersani a Vendola, che si sono alternati al microfono per chiedere di passare "dalla protesta alla proposta" dandogli il voto, spiega il carattere inoffensivo e spudoratamente elettoralistico impresso alla manifestazione; carattere che ha notevolmente raffreddato la combattività dei partecipanti, riducendoli al ruolo di elettori da imbonire col miraggio di una "alternativa" legalitaria ed elettorale al regime neofascista e al suo nuovo Mussolini: "Noi combatteremo questo governo, ma non avremo Berlusconi negli occhi", ha chiarito Bersani a nome di tutti loro spegnendo la carica antiberlusconiana della piazza. Per poi volgerla dove voleva lui con un "affrontiamo con fiducia l'appuntamento elettorale e andiamo a vincere". Tra tutti questi boss solo Di Pietro non ha misurato le parole contro il neoduce, spingendosi a chiamarlo Benito Berlusconi e a dargli del fascista e del piduista, un "nuovo Nerone che se la ride mentre l'Italia brucia" e così via. Pur astenendosi, come aveva promesso a Bersani, anche solo dal nominare Napolitano, non ha rinunciato ad usare i toni forti per pescare anche lui nel bacino elettorale degli antiberlusconiani. Il trotzkista liberale Vendola, presentatosi con l'occasione con la sciarpa viola come il leader dell'IdV, non ha chiamato invece il regime neofascista e il nuovo Mussolini col loro vero nome, limitandosi a definire il primo "una repubblica televisiva fondata sull'impunità" e il secondo un "populista liberista", il cui "sogno" sarebbe per giunta ormai "finito tra le macerie dell'Aquila". Il suo comizio, infarcito come al solito delle più ampollose e astruse figure retoriche strappa-applausi, è stato tutto teso a solleticare tra i partecipanti le illusioni elettorali di un futuribile ritorno al governo di un "nuovo" "centro-sinistra", il cui "cantiere" ripartirebbe da questa manifestazione. E lasciando capire che lui stesso potrebbe esserne il leader, il "nuovo Prodi" della situazione destinato a guidare come Mosè il "popolo del centrosinistra", come lui stesso lo ha chiamato, attraverso il deserto verso la terra promessa dell'"alternativa". Il suo leaderismo presidenzialista politico-mediatico, che ha assorbito forse più di chiunque altro da Berlusconi, nutre un'ambizione tutt'altro che fantasiosa, visti gli elogi di cui è stato colmato dalla stampa della "sinistra" borghese riformista, liberale e trotzkista. Da L'Unità, che ha definito il suo intervento "immaginifico e fiorito come un prato", a La Repubblica ("la piazza è sua...riceve un boato di applausi"), a il manifesto, trotzkista per il quale addirittura "se il popolo di (centro) sinistra è senza un leader e se una piazza è un test, a Piazza del Popolo è nata una stella" (Ida Dominijanni). Uno spirito di lotta incomprimibile Nonostante le intenzioni truffaldine e fuorvianti dei partiti della "sinistra" borghese non tutto però è andato perso della carica di ribellione e di lotta innescata nelle masse dal golpe salvaliste: un'insegnante precaria catanese, con la sua denuncia accorata della devastazione della scuola operata dalla gerarca Gelmini, un'operaia della Omsa di Faenza che sta per perdere il lavoro perché l'azienda, come tante altre, si trasferisce all'estero, il giornalista Riccardo Iacona che ha denunciato le manovre per spengere anche quel poco che resta di una corretta informazione in Rai, hanno con i loro interventi dal palco rotto il rigido e insulso cerimoniale elettoralistico della manifestazione. Le pur numerose bandiere dei partiti del "centro-sinistra" virtuale non hanno oscurato gli innumerevoli striscioni e i cartelli contro il neoduce Berlusconi, contro il decreto golpista e le sue leggi vergogna e per la libertà di informazione inalberati dal "popolo viola", dai precari, dagli studenti, dai rappresentanti del "popolo delle carriole" provenienti da L'Aquila e anche da molti militanti dello stesso PD. Dappertutto l'effigie del neoduce è stata messa alla berlina, perfino con un gigantesco fantoccio con le sue sembianze armato di una nodosa clava e un mazzo di banconote (la violenza fascista e la corruzione come suoi emblemi caratteristici). Comincia a farsi strada nelle masse la nostra denuncia che egli è il nuovo Mussolini, tanto che per esempio si sono visti cartelli simili ai nostri, con l'effige dei due affiancati e la scritta "aguzzate la vista, trovate le differenze tra i due personaggi", oppure cartelli con la sua faccia decorata con un paio di baffetti alla Hitler. Neanche il rinnegato Napolitano è stato risparmiato, nonostante il ferreo divieto di critica imposto dal PD e accettato anche da Di Pietro. Un grande striscione giallo, sullo stile degli avvisi commerciali, recava la scritta: "Vendesi repubblica. Rivolgersi a Napolitano". In un cartello si leggeva "Nano e Napolitano datevi la mano". Su una maglietta girava la scritta "Giorgio Napolitano e Vittorio Emanuele III: a volte ritornano". Altre portavano stampigliato "Pertini non avrebbe mai firmato"; il che, anche se è tutto da dimostrare, rappresenta comunque una critica assai eloquente all'inquilino del Quirinale. Bersagliato anche D'Alema con lo slogan: "D'Alema: 1) Chiedici scusa; 2) Vattene". Il PMLI, attraverso una piccola delegazione composta da compagni laziali diretti dal compagno Manuel, non si è risparmiato nel diffondere il volantino dal titolo "Gravissime corresponsabilità del nuovo Vittorio Emanuele III. Napolitano firma il golpe salva liste Pdl. È ora di abbattere il nuovo Mussolini" e Il Bolscevico, riscontrando consensi e appoggi, in particolare da parte dei militanti del PdCI e del PRC. Il volantino è stato preso anche da Giovanni Russo Spena e Cesare Salvi. Per un attimo una bandiera del PMLI è stata portata sotto il palco e subito ripresa dalle telecamere di Rai 3. Il vile blitz di ignoti e non visti che hanno distrutto il cartello del Partito su cui doveva essere incollato il manifesto contro il neoduce, non ha né scoraggiato né impedito ai nostri valorosi compagni di mostrare lo stesso il manifesto tenendolo in alto con le mani, che è stato apprezzato da chi l'ha potuto vedere. La Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del PMLI ha inviato un caloroso ringraziamento ai membri della delegazione del Partito in cui, tra l'altro, si legge: "Abbiamo apprezzato molto il vostro coraggio rivoluzionario e l'atteggiamento sereno, fiducioso e dialettico che avete tenuto verso i manifestanti antiberlusconiani. I più combattivi, avanzati e informati sicuramente avranno apprezzato il volantino del Partito che avete diffuso, che è più vicino ai loro sentimenti politici rispetto alle posizioni dei promotori e degli oratori della manifestazione che li hanno strumentalizzati ai fini unicamente elettorali. Siamo fieri di voi, e impariamo dal vostro spirito di sacrificio e dalla vostra dedizione alla causa ad assolvere fino in fondo i compiti che ci ha assegnato il Partito, mettendo sempre al primo posto gli interessi generali del PMLI e della causa. Ciò che avete fatto alla missione di Roma rimarrà per sempre scritto nell'albo d'oro del Partito". 17 marzo 2010 |