Per decisione del CC del partito revisionista e fascista cinese La Cina capitalista di Xi Jinping sposta ancora più a destra la politica economica sulla linea del rinnegato Deng Lo Stato esce quasi interamente dalla finanza e dall'economia dando più spazio ai capitalisti privati. Urbanizzazione spinta e vendita della terra. Creato un comitato per la sicurezza interna per rafforzare la dittatura fascista borghese Lo "stadio primario del socialismo" è un inganno Dal 9 al 12 novembre si è svolta a Pechino la terza sessione plenaria del Comitato centrale eletto un anno fa dal 18° Congresso del Partito comunista cinese, in realtà oggi un partito revisionista e fascista. Salutata con toni trionfalistici dalla stampa cinese (ma anche estera), basti pensare che il Quotidiano del popolo l'ha definita "nuovo punto di partenza storico" per la riforma economica, si è significativamente tenuta alla vigilia del 35° anniversario dell'avvio della restaurazione del capitalismo in Cina ad opera del rinnegato Deng Xiaoping nel dicembre del 1978. E infatti non si è minimamente discostato dalla politica economica di Deng, salvo per spostarla ancora più a destra. Il mercato proclamato "forza decisiva" del capitalismo cinese Le decisioni prese al plenum, in particolare la "risoluzione sull'approfondimento complessivo delle riforme", costituiscono un nuovo tassello della restaurazione totale del capitalismo, ormai anche a parole oltre che nei fatti: al mercato (e quindi al settore privato) sarò riconosciuto d'ora in avanti il ruolo trainante nell'allocazione delle risorse, mentre lo Stato dovrà limitarsi a garantire servizi. Non solo: il governo si impegna anche a rinunciare a ingenti percentuali di azioni nelle imprese statali per favorire l'ingresso di investitori privati esteri. Verrà addirittura liberalizzato il sistema bancario consentendo la nascita di banche private "piccole e medie" (per ora). L'obiettivo ufficiale è lo smantellamento dei monopoli statali, ma in realtà verrà cancellato ogni residuo di pianificazione economica attraverso la privatizzazione piena dell'economia e della finanza, persino in settori nevralgici considerati di esclusiva proprietà dello Stato come l'energia, le telecomunicazioni e il già citato sistema bancario. E di certo liquidare i magnati monopolisti capitalistici di Stato non restituirà al popolo quanto gli è stato rubato, ma andrà a vantaggio della rapace "mano invisibile" del "libero mercato". Ciò arriva peraltro a pochi mesi dalla creazione della "zona a libero scambio" di Shanghai, un'area sperimentale con varie ghiotterie per i capitalisti privati, fra cui la possibilità di stabilire i tassi d'interesse, che sarà presto estesa anche alla città costiera di Tianjin, ma che sembra proprio essere il trampolino di ulteriori riforme capitalistiche. Non è tutto: ai contadini sarà concesso di vendere privatamente le terre, che fino ad oggi sono state di proprietà dello Stato (e gestite dai burocrati di villaggio dopo lo smantellamento delle comuni popolari), mentre ora saranno i contadini ricchi ed i nuovi proprietari terrieri ad arricchirsi a scapito dei contadini poveri, mentre la campagna cinese già da tempo vive inquietanti ritorni a pratiche feudali. È stato anche annunciato un piano che ha tutte le sembianze di una nuova spinta all'urbanizzazione selvaggia, che si stima dovrà arrivare al 70%. Insomma l'obiettivo della cricca revisionista e fascista di Pechino capeggiata da Xi Jinping è eliminare ogni minimo rimasuglio di economia socialista o finanche pubblica per favorire e allargare i profitti della grande borghesia cinese, far venire l'acquolina in bocca ai capitalisti stranieri e rilanciare la superpotenza imperialista cinese alla conquista dei mercati internazionali. Nel comunicato della sessione si dice addirittura che: "È necessario accelerare la nascita di un sistema moderno di mercato che favorisca l'imprenditoria indipendente, la concorrenza leale, l'indipendenza dei consumatori, il consumo libero, la libera circolazione dei beni e degli elementi primari e lo scambio equo" e "lavorare alacremente per eliminare ogni barriera che ostacoli il mercato" (sic!). Una foga liberista di cui Reagan e la Thatcher andrebbero fieri. Infatti il Centro di ricerca sulle riforme ha accolto rapidamente il via libera del plenum elaborando uno schema di provvedimenti che recepisce il piano "Cina 2030", redatto insieme alla Banca mondiale, "un ammasso di menzogne e inganni" il cui scopo "è la distruzione totale delle imprese statali cinesi e la conseguente disgregazione, smembramento e distruzione della Cina", come denunciato dai "1644 compagni marxisti-leninisti-maoisti" cinesi in una lettera aperta del luglio 2012 pubblicata in parte da "Il Bolscevico". Sul piano sociale, sono emerse solo parole tutte da verificare sulla riforma del certificato di residenza (hukou) introdotto dal governo popolare di Mao per garantire alle masse servizi sociali (istruzione, sanità...) gratuiti e di qualità erogati dalle unità di lavoro urbane e dalle comuni agricole. Con la liquidazione di queste strutture socialiste, l'hukou è diventato strumento di oppressione per i migranti interni che si spostano dalle campagne alle città dove, senza residenza e quindi privi dei diritti, vengono trattati alla stregua di schiavi. Sono quei lavoratori che formano la colonna portante, ad esempio, della famigerata Foxconn (produttrice degli iPhone della Apple), giunta alle cronache per i suicidi e le condizioni miserevoli in cui gli operai sono costretti a vivere. Rafforzato il ruolo di Xi a capo della cricca di Pechino Il plenum ha infine annunciato la costituzione di una commissione per l'indirizzo delle riforme, ma soprattutto di un Comitato per la sicurezza dello Stato allo scopo di concentrare il potere in Xi Jinping, prepararsi a reprimere le rivolte e i sommovimenti sociali che presumibilmente saranno esacerbati da questa nuova ondata di riforme capitalistiche e, presumibilmente, per serrare la stretta su Internet: si pensi che nel 2012 sono stati oscurati parecchi siti della sinistra cinese. Tutto questo sfata peraltro certi abbagli dei media imperialisti e occidentali che hanno visto in Xi addirittura il "nuovo Mao" per via delle campagne contro la corruzione e gli sprechi dei funzionari che solo vagamente e all'apparenza ricordano quelle condotte da Mao (che tra l'altro non erano intrighi di palazzo ma movimenti di massa), e furbescamente cercano di accattivarsi le simpatie del popolo, ma che sono servite in realtà a regolare i conti fra le fazioni del mandarinato revisionista di Pechino. Lo "stadio primario del socialismo" non è socialismo Il plenum ha ribadito che la Cina si trova "nello stadio primario del socialismo e vi rimarrà a lungo". Durante questa prima fase al "socialismo" è consentito accumulare risorse anche attraverso il mercato, ma non è dato sapere né come né quando potrà passare alla fase successiva. Ciò non ha niente a che vedere con il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e con l'autentico sviluppo della società socialista ben illustrato da Marx: "Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato". Come aggiunge Lenin, nel socialismo "non sarà più possibile lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, poiché non sarà più possibile impadronirsi, a titolo di proprietà privata, dei mezzi di produzione, fabbriche, macchine, terreni, ecc.". Sembra parlare ai revisionisti cinesi di oggi, Mao quando afferma: "Il nostro programma futuro, o programma massimo, ha come scopo di portare la Cina ad uno stadio superiore, allo stadio del socialismo e del comunismo". L'esatto contrario di Deng Xiaoping, Jiang Zemin, Hu Jintao e Xi Jinping che hanno invertito le ruote della storia e dimostrato che "la salita del revisionismo al potere è la salita della borghesia al potere". La realtà quindi è che il cosiddetto "socialismo con caratteristiche cinesi" non è che l'inganno ideologico dietro cui i revisionisti cinesi mascherano il capitalismo sfrenato agli occhi delle masse popolari. E che il "sogno cinese" sbandierato da Xi per soffocare la lotta di classe e favorire l'"armonia sociale" è un sogno solo per la borghesia, ma è un incubo per la classe operaia e le masse lavoratrici cinesi supersfruttate per saziare la sete di profitto del capitale cinese e straniero. Mao nel 1956 indica chiaramente la strada da seguire in Cina con queste parole: "Lo scopo della rivoluzione socialista è liberare le forze produttive. La trasformazione della proprietà individuale in proprietà collettiva socialista nel campo dell'agricoltura e dell'artigianato e della proprietà capitalista in proprietà socialista nell'industria e nel commercio privati porterà necessariamente a una materiale liberazione delle forze produttive. Saranno così create le condizioni sociali per un enorme sviluppo della produzione industriale e agricola". Nell'anno successivo ha sottolineato che il sistema sociale socialista dev essere consolidato e che "per raggiungere il suo consolidamento definitivo, è necessario non solo realizzare l'industrializzazione socialista del paese e perseverare nella rivoluzione socialista sul fronte economico, ma è anche necessario sui fronti politico e ideologico condurre costanti e ardue lotte rivoluzionarie socialiste e perseverare nell'educazione socialista". 27 novembre 2013 |