Tramite la penna di Gianpaolo Visetti
“La Repubblica” vomita veleno su Mao
Prendendo spunto dalla celebrazione del 120° Anniversario della nascita del fondatore della RPC
L'inviato di “La Repubblica”, Giampaolo Visetti, anticipando di un mese il 120° della nascita di Mao, si è recato a Shaoshan, città d'origine del grande Maestro del proletariato internazionale, e firmato un velenosissimo reportage dal titolo “Dove nacque la Lunga marcia” apparso il 24 novembre. E' un'operazione che mostra ancora una volta come i servizi del quotidiano fondato dell'ex-fascista e ex monarchico Scalfari sulla storia del marxismo-leninismo-pensiero di Mao non siano casuali e improvvisati, ma facciano parte di una crociata anticomunista accuratamente pianificata nei tempi e nei contenuti. Ancora una volta, diciamo, perché già nel 2002, anticipandone di un anno le celebrazioni per il 50° della morte, “La Repubblica” pubblicava una foto denigratoria di Stalin; nel 2004, in occasione dell'80° della scomparsa del capo della Grande Rivoluzione d'Ottobre, dal suo inserto “Diario”, sferrava l'attacco: "Lenin. Il peccato originale del comunismo''; nel marzo del 2006 aggrediva Mao e la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. E non può sfuggire neanche che della nera guerra di “La Repubblica” è pilastro anche lo sbarramento disinformativo sul PMLI, il silenzio sulle Commemorazioni di Mao, sulla pubblicazione degli scritti inediti del Maestro, sui numeri monografici ad esso dedicati da “Il Bolscevico”.
Nel reportage di Visetti non è assente tutto il folkloristico repertorio revisionista già usato nelle sue incursioni dal precedente inviato in Cina, Federico Rampini: lo “sterminio del “Grande Balzo in Avanti”, gli “abomini negati o ignorati” della Rivoluzione culturale, il parallelo tra Lenin, Stalin, Mao da un lato e i dittatori fascisti, Mussolini e Hitler. Il nuovo inviato in Cina però, tenta di portare l'attacco al pilastro fondante e tangibile di Mao: la natura del profondo legame e della calorosa gratitudine che le masse popolari, in testa il proletariato, cinesi hanno e mostrano nei suoi confronti.
Gli brucia all'anticomunista Visetti che non mero di cinque milioni di cinesi ogni anno affrontino lunghi viaggi per recarsi a Shaoshan (e due milioni ne arriveranno in dicembre) dove magari “acquistano una copia del Libretto Rosso” e una piccola effige magnetica con il volto di Mao, mentre si commuovono di fronte agli oggetti che gli appartennero e fanno parte della sua storia, e allora deve dipingerli come obbedienti esecutori di un “culto di Stato” o come devoti e sprovveduti fedeli di una religione che lo ha idealizzato alla stregua di una divinità alimentando uno sfrenato “culto della personalità”. A lui come a tutti gli anticomunisti bruciano l'immutato rispetto e riconoscenza che continuano a legare il proletariato e il popolo cinesi a questo grande Maestro, nonostante i rinnegati revisionisti cinesi abbiano fatto scempio della sua opera e dei suoi insegnamenti e ridotto la Cina a un Paese imperialista dove regna l'illimitato sfruttamento e schiavitù della classe operaia. Ecco perché Visetti non ha altro scopo nel suo servizio giornalistico che vomitare veleno su Mao accusandolo di essere stato un dittatore sanguinario e uno “sterminatore” del suo popolo. Insomma le stesse infamanti accuse che il rinnegato revisionista Krusciov e la borghesia internazionale mossero a Stalin dopo la sua morte, all'indomani del colpo di Stato del XX Congresso del PCUS.
Il pennivendolo de “La Repubblica” si rammarica che nessuno, da Deng Xiaoping a Xi Jinping, “ha avuto il coraggio di mettere sostanzialmente in discussione il dio dei cinesi e la nazione si scopre ancora prigioniera del dittatore da cui non ha saputo affrancarsi, nemmeno dopo la sua morte”.
Come se il potere della cricca revisionista di Xi Jinping discendesse da Mao e dai suoi insegnamenti e non si basasse invece su una violenta dittatura di stampo fascista. Come se le radici di questa dittatura non affondassero proprio nel processo revisionista partito da Deng Xiaoping, e condotta per decenni con una continua calunnia a Mao al fine di intaccare il profondo legame che le masse popolari cinesi hanno nei suoi confronti e propagandare la linea della completa restaurazione del capitalismo in Cina. Non è la memoria di Mao il “cuore della svolta riformista annunciata da Xi Jinping”, come sostiene Visetti, ma il progetto di veder sotterrato per sempre il socialismo, quello sì che lo è.
Shaoshan inquieta l'anticomunista Visetti, costretto suo malgrado a definirlo un memoriale “impressionante e ancora decisivo, fondamentale per la sorte della Cina e tanto influente sul destino del mondo”, perché sa bene che sono milioni di cinesi, a sentire profondamente e a mantenere viva l'autentica memoria di Mao; sono loro che, celebrandolo con il loro entusiasmo popolare, ne attualizzano le epocali conquiste; sono loro che, mantenendo viva e fresca la potente contraddizione di classe che attraversa l'intera società cinese, hanno animato e animano le decine di migliaia di proteste di massa e operaie negli ultimi anni contro la disumana condizione di lavoro e di vita imposte dal "miracolo" economico della cricca borghese, fascista e revisionista di Xi Jiping; sono loro, infine, che svelano un gruppo dirigente opportunista, ma tremante di fronte al gigante rivoluzionario e marxista-leninista che è Mao.
Con grande riconoscenza e gratitudine il PMLI celebrerà in Italia in modo vivo e attuale il 120° Anniversario della nascita di Mao, pubblicando alcune sue opere inedite in Italia su un numero monografico de “Il Bolscevico”, perché il marxismo-leninismo-pensiero di Mao diventi la cultura del proletariato italiano, perché esso acquisti la coscienza di essere una classe per sé, rifiuti il riformismo, il revisionismo, l'interclassismo, il parlamentarismo si leghi al PMLI e imbocchi risolutamente la strada dell'abbattimento del capitalismo, l'abbattimento della classe dominante borghese e della conquista del potere politico e del socialismo. Abbiamo bisogno anche noi marxisti-leninisti di studiare e applicare le opere di Mao per tenere fuori dal PMLI il revisionismo e il riformismo.
11 dicembre 2013