Nella Puglia dell'anticomunista Nichi Vendola
Il bestiale sfruttamento nel ghetto di Rignano
La miseria degli schiavi dei caporali, latifondisti e capitalisti
Dal nostro corrispondente della Puglia
Il caporalato è una piaga di per sé antica: l'idea di supersfruttare donne e uomini, nonché bambini, poveri e disperati da parte di latifondisti e capitalisti per incrementare la produzione agricola a prezzi vantaggiosi e con praticamente zero costi, è un vecchio vezzo del sistema capitalista e dovrebbe sorprendere poco. Difatti non è una novità in senso assoluto perché questo è il capitalismo: miseria, fame, violenza e spesso morte.
Attraversando le campagne intorno a Foggia, nel nord della Puglia, si arriva dopo 40 chilometri a Rignano: un piccolo centro agricolo, a ridosso del Parco Nazionale del Gargano con le sue foreste scure e rigogliose; non è distante da San Giovanni Rotondo dove fanatismo e oscurantismo religiosi alimentano l'ignoranza e l'abbrutimento delle menti a favore di un monaco quasi analfabeta come Padre Pio.
A Rignano sembra di oltrepassare un grande drappo scuro fatto di propaganda, menzogne e falsità vomitate quotidianamente sia dai giornalisti di regime che dai politicanti borghesi: qui non c'è nessuna “primavera”, nessuna “nuova stagione” e nessuna “fabbrica delle idee”. Qui, nella Puglia capitalista dell'anticomunista Nichi Vendola, la realtà è ben altra; il capitalismo qui mostra la sua faccia più feroce e spaventosa. I dati di una ricerca condotta dalla Flai-Cgil parlano chiaro: non solo in Puglia ma in tutta Italia il neo schiavismo del caporalato, divenuto formalmente reato solo nel 2011, e si tratta di 700mila lavoratori irregolari e regolari impiegati nei campi e di questi sono 400mila i supersfruttati dai caporali.
Il triangolo della schiavitù
A Rignano, nel “triangolo della schiavitù”, sorge un grande campo di nuovi schiavi, degli sfruttati provenienti da quasi tutta l'Africa che giungono qui – volontariamente in cerca di un lavoro oppure con la forza – per lavorare a suon di bastonate e “paghe” inesistenti i grandi campi dei ricchi latifondisti pugliesi che forniscono di verdura i mercati di tutta Italia. Qui, dove quei freddi numeri delle inchieste si tramutano in realtà, si coltivano pomodori, zucche, olive e tanto altro; la terra è verdastra e scura, d'inverno spesso la nebbia avvolge tutto; il cielo e l'orizzonte sono coperti da ampie e dense colonne di fumi che si levano dalle misere baracche in cui oggi vivono i nuovi schiavi. Prima si erano accampati in grandi fabbriche dismesse, nel “grande deserto” della miseria di queste terre del Mezzogiorno ma, dopo lo sgombero forzato, si sono tutti riuniti qui, 15 anni or sono, in capanne di fortuna fatte di lamiere arrugginite, legno marcio, lenzuoli stracciati e vecchi panni impermeabili ormai consunti.
Arrivando di notte, tutto è illuminato da neon blu recuperati e montati con mezzi di fortuna; i gruppi elettrogeni ronzano incessantemente quando l'allaccio all'elettricità è problematico. Il numero degli abitanti varia: nel freddo inverno si arriva a 200 per poi balzare nell'estate infuocata a 800. Giungono sui barconi, soprattutto dalle ex colonie francesi in Africa, e dopo un viaggio spesso mortale arrivano qui e si sistemano nelle baracche lasciate vuote e subito prendono dimestichezza coi capi neri e i capi bianchi: i primi radunano e organizzano gli schiavi, impartiscono gli ordini generali e spiegano il da farsi; i capi bianchi sono i “luogotenenti” dei caporali e bastonano, minacciano, spaventano, ordinano e giudicano. I caporali, che danno le “paghe” e comandano su questi due “feudatari” minori, sono dei criminali al soldo dei contadini ricchi o dei latifondisti vicini, uomini senza scrupoli pronti a sacrificare qualsiasi cosa sull'altare capitalista del profitto fra barbarie e ingiustizie.
Se non fossimo nell'anno 2013 e in Puglia, potrebbe sembrare la cronaca della vita nell'America razzista prima della Guerra di Secessione coi grandi campi di cotone, gli schiavi e i negrieri coi grandi proprietari terrieri locali ma la cosa spaventosa è che non è così.
Gli amministratori regionali sbagliano
Nel campo, o ghetto come viene chiamato qui, il via vai è continuo con motorini, auto e camioncini. L'acqua arriva per gentile concessione della Regione: dopo che più lavoratori erano morti affogati, nelle grandi cisterne dell'acqua nell'estate caldissima e assolata, gli amministratori hanno rimediato fornendo l'accesso all'acqua potabile. La Regione, retta dall'anticomunista Vendola, facendo del “bene” fa del male a tutti i lavoratori che andrebbero liberati dallo schiavismo, non certo con delle pompe per l'acqua che permettono a tale mattatoio della civiltà e della giustizia di restare in piedi. I bagni sono stati installati solo due anni fa; prima, racconta Nigrizia una delle abitanti del ghetto, tutti andavano nei campi a fare i propri bisogni rendendo tutto una immensa latrina con odori nauseanti e animali infestanti di ogni genere. Non doveva esser difficile il proliferare di malattie pestilenziali in tale contesto; le stesse baracche sono pericolose, fredde d'inverno e incendiate dal caldo d'estate, prendono fuoco facilmente se il “riscaldamento” interno dà problemi. Un anno fa un incendio investì il ghetto, distruggendo diverse baracche ma per fortuna non ci furono morti.
Il vitto è composto da scatolame vario, venduto in una baracca che funge da magazzino, e da carne di pecora o capra essiccata: il macellaio è Madi, del Burkina Faso, e macella le pecore che girovagano nelle lande desolate attorno al campo; le abbatte, le sgozza, ne fa colare il sangue dopo averle appese a dei ganci e poi taglia la carne per seccarla o salarla. Intanto le mosche si posano sul corpo degli animali in via di macellazione ma che stanno anche per putrefarsi.
C'è anche un'officina che funge da stazione di riparazione e manutenzione per motorini o per i mezzi usati al lavoro, quando funzionano e quando c'è il carburante perchè i caporali impartiscono ordini e non si curano di come sia quasi impossibile a volte rispettarli.
Di notte, alcune donne organizzano anche una sorta di casa chiusa dove i lavoratori spesso finiscono le già misere “paghe”; oltre allo schiavismo anche l'abominio della prostituzione è presente in questo inferno capitalista. Presso il bar di fortuna vicino, nella luce azzurra del neon si intravede un altro abitante del ghetto: è Ba che dice di esser in procinto di spostarsi a Rosarno, in Calabria, dove nel 2010 una rivolta del ghetto locale dimostrò agli occhi di tutta l'Italia l'orrore del caporalato che è un tutt'uno con l'Italia neofascista.
Alcuni ragazzi fuggiti dallo Stato africano del Mali forniscono alcune cifre sui compensi, da fame, che ricevono quando i caporali si degnano di pagarli (perchè anche la paga arriva quando decide il caporale, a volte a distanza di settimane quasi mesi): il lavoro nei campi di pomodori, comune in estate, è pagato con 2,50 o 3,50 euro all'ora se non c'è il cottimo; in media si riesce a intascare, se tutto va bene, 25 euro al giorno ma di questi soldi 10 euro si spendono per il tragitto quotidiano. Si dice in giro che a Rosarno pagano 1 euro per un'intera cassetta di mandarini o persino 70 centesimi per le arance: ecco da dove provengono i profitti dei capitalisti, dalla loro miseria! Ibrahim parla invece della raccolta delle olive e dice che il lavoro a volte scarseggia e per le olive pagano 1 euro per un'intera cassetta ricolma.
Fatima, altra lavoratrice e abitante, dice che qui c'è chi passa, fa finta di interessarsi ma poi resta tutto come sempre e mai niente cambia perciò i lavoratori sono stufi dei visitatori distanti e disinteressati nei fatti.
Dal vicino campo dei Rom arrivano spesso dei furgoncini o delle vecchie auto cariche di merce a prezzi stracciati; fra i venditori c'è anche un italiano. Scarponi usati, giacconi, calze, maglie di lana e ogni cosa più difficile da reperire sul posto arriva ed è smerciata qui proprio in questo modo.
Nel campo dei nuovi schiavi c'è persino una radio, funzionante solo d'estate, che si chiama “Radio Ghetto”: è un ponte nell'aria, con cui la disperazione e la voglia di una vita giusta e migliore raggiungono le onde radio locali.
Il giro d'affari delle agro-mafie
Il caporalato è una mostruosità, che nutre innanzitutto le mafie oltre che i capitalisti e latifondisti. Si stimano fra i 12 e 17 miliardi di euro, ossia il 5 o 10% di tutta l'economia mafiosa, i proventi delle agro-mafie. La camorra e le mafie infiltrano anche le grandi catene di distribuzione: Yvan Signet, originario del Camerun, delegato sindacale per la Cgil e partecipante alle rivolte del 2011 a Nardò (Lecce), spiega con chiarezza che le campagne foggiane sono stritolate dalla camorra. Durante la stagione agricola, non si contano i camion che partono dalla Campania per il foggiano, qui le terre vengono affittate a dei contadini “prestanome” e le merci poi sono trasportate nel salernitano. Molti vorrebbero scappare ma ricevendo col contagocce le paghe, già misere e insufficienti, diventa impossibile materialmente abbandonare questo campo di lavoro praticamente forzato.
Tempo fa un ragazzo rimasto senza paga riuscì, grazie all'aiuto di un avvocato, a ricevere dopo dura lotta la paga ma da quel momento è stato emarginato e non lavora più.
Per tutti coloro che aborrono lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, per chi si reputa civile e democratico, per chi non sopporterebbe un solo minuto della propria vita vissuto in questo modo, per le masse popolari di tutta l'Italia e forse dell'Europa il neo schiavismo è un crimine che reclama la vendetta e la giustizia mentre per capitalisti, caporali, latifondisti e politicanti borghesi è un atto di accusa e condanna senza appello.
Ecco che cos'è il capitalismo. Questa è l'Italia del governo Letta-Alfano e questa è la Puglia del trotzkista e neoliberale Vendola. Occorre trasformare la vergogna e l'odio contro questa barbarie in lotta di classe contro il capitalismo e per il socialismo. Solo così è possibile annientare il mostro dello schiavismo dei migranti e più in generale la schiavitù salariata e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
11 dicembre 2013