Lo svelano le carte sul sistema Ilva
Vendola era al servizio dei Riva
Il governatore della Puglia ha concordato con i padroni dell'acciaieria leggi che hanno consentito di avvelenare l'acqua, l'aria e il suolo di Taranto
Il servo narcisista: a volte un poeta deve sporcarsi le mani
Dall'inchiesta “Ambiente svenduto” della procura di Taranto sul disastro ambientale dell'Ilva, le cui indagini preliminari si sono concluse il 30 ottobre scorso con 53 indagati, tra cui anche Nichi Vendola per concussione aggravata (cfr Il Bolscevico
n. 42/2013), stanno emergendo in maniera sempre più evidente le responsabilità penali e politiche del governatore della Puglia nella grave vicenda. Responsabilità che non si limitano ad atti omissivi, mancati controlli o atteggiamenti di debolezza e accondiscendenza nei confronti della proprietà, ma che secondo gli stessi inquirenti vanno addirittura oltre, e sono riconducibili ad un vero e proprio ruolo di uomo al servizio dei Riva, pienamente inserito nel loro sistema di relazioni mirante a condizionare e controllare la politica, le amministrazioni pubbliche e i mezzi di informazione, e assieme ai quali avrebbe negoziato e concordato perfino le leggi che hanno consentito all'Ilva di continuare ad avvelenare l'acqua, l'aria e il suolo di Taranto.
Il gravissimo e infamante ruolo di Vendola emerge dai numerosi elementi contenuti nei 31 faldoni e nelle 50 mila intercettazioni dell'inchiesta, partita nell'ormai lontano 2008 dopo la strage di pecore nei terreni intorno all'Ilva risultate contaminate da diossina, e che ha avuto come tappe successive il sequestro dell'area a caldo dell'acciaieria nel luglio 2012, in seguito alle perizie chimiche ed epidemiologiche sulle malattie e le morti per tumore tra la popolazione, gli arresti dei membri della famiglia Riva e dei loro manager nel novembre 2012, e infine la conclusione di indagine nell'ottobre scorso. Indagine nella quale il governatore risulta accusato di concussione per aver fatto pressioni sul direttore generale dell'Arpa, Giorgio Assennato, definito “il rompicoglioni” dai Riva, anche minacciandolo di non rinnovargli l'incarico in scadenza nel 2011, affinché non rivelasse tutta la gravità delle analisi sulle emissioni crescenti di diossina e benzo(a)pirene rilevate nell'estate 2010 nel quartiere Tamburi, il più esposto all'inquinamento dell'acciaieria.
Assennato aveva scritto un comunicato stampa molto allarmato preparandosi a diffonderlo, e i Riva temevano di dover diminuire la produzione, per cui il loro braccio destro Girolamo Archinà (lo stesso con cui Vendola sghignazzava al telefono complimentatndosi con lui per lo “scatto felino” con cui aveva portato via il microfono a un giornalista troppo impiccione) si attivò col governatore pugliese lamentandosi dei due tecnici che avevano firmato la relazione, e riuscendo ad ottenere il suo intervento. Anche perché ammettere un inquinamento crescente in Puglia avrebbe comportato un danno politico e di immagine per lo stesso governatore. A riprova esiste un'intercettazione in cui Archinà confida ad uno dei suoi: “Vendola è molto arrabbiato perché gli fanno fare brutta figura con l'opinione pubblica”.
Dica a Riva che il presidente non si è defilato
Archinà chiama e il servo narcisista si mette subito a disposizione, tanto che il 6 luglio, di ritorno dalla Cina, Vendola lo chiama per dirgli: “Ognuno fa la sua parte e dobbiamo però sapere, a prescindere da tutti i procedimenti, le cose, le iniziative, l'Ilva è una realtà produttiva, cui non possiamo rinunciare. Volevo dirglielo perché poteva chiamare Riva e dirgli che il presidente non si è defilato”. E la macchina per evitare la riduzione delle produzioni inquinanti si mette subito in moto con le pressioni concussive su Assennato (che poi negherà la concussione ed è ora indagato per favoreggiamento), tant'è vero che c'è un'altra intercettazione in cui quest'ultimo telefona ad Archinà dicendosi “molto incazzato” e che deve smetterla di andare “dal presidente a dire che siete vittime di una persecuzione dell'Arpa”, tanto che quella mattina stessa, gli dice: “Vendola ha convocato Massimo Blonda (direttore scientifico Arpa, uno dei due che avevano scritto la relazione contro l'Ilva, ndr) e gli ha rimproverato di essere persona senza palle”.
Secondo l'accusa in un'altra occasione Assennato fu addirittura tenuto fuori dalla porta e costretto ad aspettare per ore mentre Vendola negoziava con i Riva sull'”ammorbidimento” della relazione: “Come segnale forte” (ossia pressione psicologica evidente), aveva spiegato Archinà raccontando il fatto in un'intercettazione. E secondo un'altra testimonianza raccolta da Il Fatto Quotidiano,
quando Vendola apprese del comunicato stampa che Assennato si preparava a diffondere, convocò una riunione informale, alla presenza degli assessori Nicastro e Fratoianni (entrambi ex PRC e indagati per favoreggiamento, il secondo oggi parlamentare di Sel, ndr), Amati, Pelillo, Capone, più il responsabile della comunicazione, Iorio, telefonando al direttore dell'Arpa in presenza a tutti per redarguirlo con durezza e dirgli “che quel tipo di comunicazione andava assolutamente concordata”.
Ma oltre a ciò le annotazioni della guardia di finanza e la ricostruzione della procura smontano completamente anche la tesi di comodo del trotzkista neoliberale e narcisista
di aver varato due leggi regionali contro l'inquinamento dell'Ilva a riprova della sua estraneità al sistema di relazioni dei Riva. Sistema che pur privilegiando la destra berlusconiana e neofascista e foraggiando per anni Forza Italia con 575 mila euro, Gasparri con 10 mila euro e l'ex governatore Raffaele Fitto con 35 mila (che in cambio ritirerà la costituzione di parte civile della Regione contro l'azienda), non disdegnava di intrattenere ottimi rapporti anche con la “sinistra” di regime (vedi i finanziamenti per 98 mila euro alla campagna elettorale di Bersani nel 2006), con notabili locali del PD (come il deputato Ludovico Vico considerato un “uomo azienda”), e a maggior ragione con lo stesso governatore della Regione, Nichi Vendola.
Leggi “foglie di fico” e “inoperosi tavoli tecnici”
In particolare gli inquirenti degradano le due suddette leggi regionali a “foglie di fico”, fatte solo per mascherare gli intrallazzi del governatore e dei suoi uomini con i Riva al fine di permettere loro di continuare a produrre e inquinare senza rinunciare ai loro enormi profitti. Per esempio, la legge sulla diossina vantata da Vendola come “un modello”, avrebbe avuto una gestazione “frutto della concertazione tra la Regione e l'Ilva”, tant'è vero che “in quella legge non venne imposto quanto osteggiato dall'Ilva: il 'campionamento in continuo' delle emissioni”. Quanto alla legge sulle emissioni di benzo(a)pirene essa non prevede sanzioni certe e perentorie qualora le emissioni superino i limiti consentiti, ma impone solo che il trasgressore “provveda entro breve tempo” a mettersi in regola. Oltre a ciò, aggiungono gli inquirenti, “per far guadagnare tempo ai Riva nella realizzazione delle strutture di monitoraggio delle emissioni e, allo stesso tempo, non far apparire inoperosa la Regione,venivano concordati con i vertici dell'Ilva degli inoperosi tavoli tecnici”.
Come se non bastasse – scrive la guardia di finanza - “la condivisione degli obiettivi tra la Regione e l'Ilva in relazione al campionamento in continuo della diossina si riverbera anche sui lavori in corso presso la commissione del ministero dell'Ambiente per il rilascio dell'Aia (autorizzazione di impatto ambientale) all'Ilva”. E si cita infatti un'intercettazione in cui Fabio Riva ricorda all'avvocato Perli (entrambi accusati di associazione a delinquere, ndr) di trattare l'argomento con un membro della commissione, perché su questo “bisogna dargli una mano a Vendola perché se no ti saluto eh!!”. “Si evidenzia in tal modo – continua la gdf – la perfetta unità di intenti esistente sull'asse Vendola-Ilva, che porta i vertici Ilva a spendersi anche in sede ministeriale affinché non vengano intrapresi percorsi che possano nuocere al presidente Vendola”.
E se ancora non bastasse, a completare il quadro penale e politico criminoso delineato dagli inquirenti, ci sono le numerose altre intercettazioni che attestano i rapporti più che confidenziali e di reciproco scambio di favori del servo narcisista con i Riva e il loro factotum Archinà. E non soltanto la famigerata telefonata con tanto di sghignazzi, gli attestati di stima e gli auguri natalizi e così via, ma per esempio un'altra conversazione in cui Archinà si offre di fare da intermediario tra il governatore e l'allora presidente di Confindustria Marcegaglia (“così diamo uno scossone al centro-destra”), e con l'occasione sollecita a Vendola un intervento sulla nomina dell'autorità portuale di Taranto.
Le mani sporche del poeta narcisista
Insomma, Vendola era al servizio dei Riva, questa è la pura e semplice verità dei fatti che emergono dalle carte dell'inchiesta e che lo inchiodano alle sue gravissime responsabilità. Fatti di fronte ai quali appaiono ridicole certe sue autodifese come quella nell'intervista al quotidiano La Repubblica
del 30 novembre che riportava le accuse della procura di Taranto, di non essere “mai stato a libro paga dei Riva”, e che se si è genuflesso lo ha fatto davanti “agli operai, non al padrone”. Quest'ultima, anzi, appare quasi un'ammissione involontaria di colpa, malamente mascherata dietro la foglia di fico della salvaguardia dei posti di lavoro, di fronte alla quale sarebbe giustificato l'abbandono di ogni scrupolo morale e di rispetto della legge: “Per fare il governatore non serve scrivere una poesia, ma affrontare di petto problemi complessi”, dice infatti il trotzkista narcisista autoassolvendosi, e spiega: “Io avevo davanti due possibilità: porsi con lo sguardo dell'artista o assumermi una responsabilità sporcandomi le mani, non nel senso di corrompere ma di affrontare i problemi”.
Ma noi che da tempo lo avevamo individuato e denunciato come un falso comunista e un demagogo trotzkista e narcisista, e che non ci meravigliamo se si è così rapidamente smascherato come un altro ambizioso politicante borghese attaccato solo alla propria poltrona, invitiamo i sinceri anticapitalisti a non dare credito alle sue ipocrite giustificazioni a posteriori e a chiedere le sue immediate dimissioni. Anzi, il fatto che si rifiuti di farlo dicendosi certo che la magistratura appurerà la sua estraneità ai fatti contestati, è la dimostrazione più lampante che egli è in tutto e per tutto uguale a tutti gli altri politicanti della destra e della “sinistra” borghese inquisiti e condannati che si rifiutano di mollare la poltrona proclamandosi innocenti e vittime di persecuzioni giudiziarie, a cominciare da colui che ha dato l'esempio e fatto scuola a tutti loro: il delinquente di Arcore Berlusconi.
11 dicembre 2013