Pompato e sostenuto da “La Repubblica” e da alti finanzieri come De Benedetti e Della Valle
Il democristiano Renzi nuovo segretario del PD
Sconfitti ed asserviti gli ex dirigenti del PCI revisionista
Il PD “cambia verso”: si omologa alla destra
Il democristiano Matteo Renzi ha stravinto le primarie dell'8 dicembre diventando il nuovo segretario del Partito democratico: il primo non proveniente dall'ex PCI revisionista, se si escludono il democristiano Franceschini e il socialista Epifani, che però al contrario di lui non avevano avuto un'investitura popolare ed erano stati eletti dall'apparato più come “reggenti” che come veri e propri segretari.
Renzi ha ottenuto il 67,8% dei voti, battendo nettamente il suo diretto avversario Gianni Cuperlo che ha totalizzato solo il 18%, un intellettuale dalemiano, candidato delle correnti facenti capo agli ex dirigenti del PCI (dalemiani, bersaniani, giovani turchi come Fassina, Orlando, Orfini, avversari di Renzi in casa come il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, ecc.); ma anche di Enrico Letta, Rosy Bindi e altri democristiani, liberali e socialisti di lungo corso, uniti solo dalla paura di finire pensionati o addirittura “rottamati”, come minacciava l'ambizioso sindaco di Firenze. Il terzo candidato, Pippo Civati, un ex renziano propostosi come interprete della sinistra e dei giovani dissenzienti di base, vicino ai movimenti e ponte con SEL e grillini, tanto che aveva ricevuto l'appoggio di Rodotà, è arrivato terzo ma non molto distante da Cuperlo, con il 14% dei voti.
Quali fattori hanno determinato una così schiacciante vittoria di Renzi, di cui egli mena vanto come di un'investitura plebiscitaria, grazie anche all'inaspettata partecipazione di quasi tre milioni di elettori, considerando che alle primarie dei circoli degli iscritti aveva pure vinto, ma non in misura così netta su Cuperlo? E considerando anche che dopo lo scandalo delle tessere truccate e dei brogli in quei congressi di circolo si preannunciava una forte diserzione dei gazebo, tanto che appena due settimane prima i sondaggi prevedevano un'affluenza inferiore di almeno un terzo rispetto alle precedenti consultazioni?
Eppure non solo l'affluenza c'è stata ma Renzi ha pure stravinto proprio nelle regioni del Centro-Nord roccaforti dell'ex PCI, come in Toscana (79%), nelle Marche e perfino in Emilia Romagna (71%), mentre Cuperlo è andato meglio al Sud e Civati in alcune grandi città del Nord. Secondo un'analisi di Ilvo Diamanti per il quotidiano La Repubblica
, Cuperlo ha preso voti soprattutto dall'elettorato anziano e tra i pensionati (la segretaria dello Spi-Cgil, Carla Cantoni, aveva invitato esplicitamente gli iscritti a votarlo), mentre Civati da quello giovanile e dalla base di SEL. Ma Renzi ha pescato in tutte le fasce d'età, e mentre la metà dei voti di Cuperlo provengono dagli iscritti al PD, solo un quarto di quelli di Renzi sono attribuibili a militanti del partito, e ben il 31% sono di cattolici praticanti.
Dunque c'è stata una marcata componente cattolica e centrista, apportata da elettori non iscritti al PD e forse perfino elettori di partiti di centro e di destra, che ha fatto la differenza e ha determinato uno spostamento così consistente dei consensi. E' la prima volta, infatti, che alle primarie per eleggere il segretario del partito si votava come se fossero primarie per la premiership del “centro-sinistra”, aperte cioè a tutti, sulla base del pagamento di due euro e la firma su un generico documento di “adesione ai valori del PD”.
“Un'ultima occasione” concessa al PD
A spiegare la decisione di molti elettori delusi, presa solo all'ultimo momento, di andare a votare nonostante tutto, e quindi l'afflusso inaspettato rispetto ai sondaggi, è stata secondo Diamanti l'idea di concedere al PD “un'altra occasione. Per realizzare davvero il cambiamento. E per cambiare esso stesso”. Un'illusione alimentata anche dalla falsa “competizione accesa” tra i candidati, tutti e tre giovani e che suggerivano “un cambio di generazione”. Ma il fattore di gran lunga più significativo per spiegare la vittoria di Renzi è che il neopodestà fiorentino era percepito dalla stragrande maggioranza di tutti gli elettori, anche quelli che ne diffidano o addirittura lo detestano, come il candidato più favorito per battere il “centro-destra” alle prossime elezioni, tanto che ne è convinto ben il 94% di tutti i votanti alle primarie.
Non poteva essere altrimenti, considerato il vergognoso fallimento della direzione bersaniana e dalemiana, dopo che aveva vinto le precedenti primarie contro il “rottamatore”, ma che aveva disonorato il mandato ricevuto dalla base riuscendo a perdere delle elezioni politiche già vinte a tavolino, a bruciare due suoi candidati alla presidenza della Repubblica e finire al governo insieme a Berlusconi e Alfano sotto la sferza di Napolitano. Renzi, che si è sempre tenuto furbescamente ai margini di tutto ciò, ha continuato nel frattempo a coltivare con grande capacità mediatiche la sua immagine di “uomo della provvidenza”, l'unico cavallo su cui puntare per “far vincere” il PD, attraendo via via sempre più sponsor influenti che l'hanno appoggiato e pompato nella sua scalata a nuovo leader della “sinistra” borghese: come il magnate Carlo De Benedetti, che gli ha messo a disposizione le colonne e le firme de La Repubblica, l'industriale calzaturiero e patron della Fiorentina, Diego Della Valle, l'industriale fiorentino della moda Roberto Cavalli, il finanziere internazionale Davide Serra, l'imprenditore di Eataly Oscar Farinetti, l'editore di La7 Urbano Cairo (già assistente di Berlusconi e direttore commerciale e vicedirettore generale presso Publitalia nonché amministratore delegato di Mondadori pubblicità), per non parlare di tutti i più importanti ambienti fiorentini che contano.
Per questi ultimi il personaggio di raccordo, il suo “Gianni Letta”, è Marco Carrai, detto anche “l'uomo nero” per i suoi oscuri rapporti con la massoneria, la Curia fiorentina, l'Opus Dei e CL, anello di congiunzione dei renziani con le banche fiorentine e la grande finanza (Davide Serra), e da Renzi premiato via via con incarichi dirigenziali negli enti che contano, come Firenze parcheggi, Ente Cassa di risparmio di Firenze, Gabinetto Vieusseux, Aeroporti Firenze.
Il “nuovo Tony Blair”
Notevoli sono anche le sponsorizzazioni che Renzi si è procurato all'estero, dove la stampa internazionale che conta – dal Guardian
, al Times
, al Financial Times
- lo esalta ormai come il “nuovo Tony Blair”. Lo stesso ex premier britannico ha dichiarato, dopo la sua vittoria, che “Il suo spirito di ottimismo rappresenta una speranza per l'Italia e per l'Europa”. Persino molti berlusconiani lo ammirano e hanno espresso elogi su di lui in varie occasioni, come Marina e Barbara Berlusconi, Dell'Utri, Signorini (per il quale ha posato su Chi
), Briatore (che ha confessato che lo voterebbe), Santanché, Biancofiore ecc. Lo stesso neoduce gli ha telefonato la notte della vittoria per complimentarsi con lui, dicendogli di aver capito le sue doti di comunicatore fin da quando era andato a trovarlo ad Arcore, mentre la Biancofiore e la Pascale gli gridavano “bravooo” in sottofondo.
Come il suo modello di Arcore, anche Renzi vuole “cambiare l'Italia”: “L'Italia cambia verso”, è il suo slogan, ma intanto ha già cambiato verso al PD, omologandolo alla destra. L'elezione plebiscitaria gli ha dato infatti mano libera per rivoltarlo come un calzino: segreteria di soli 12 membri, la maggior parte suoi fedelissimi, con qualche seguace di Franceschini (saltato all'ultimo tuffo sul suo carro come Fassino e Veltroni), qualche transfuga bersaniano e un solo civatiano. Direzione di 120 membri, di cui egli ne controlla ben 80, e non ci sono entrate nemmeno Rosy Bindi e Anna Finocchiaro. D'Alema c'è, ma solo di diritto in quanto ex premier. Anzi, il “rottamatore” ha dichiarato pubblicamente, con grande stizza dell'interessato, che “D'Alema l'abbiamo pensionato” e non sarà candidato alle europee.
Renzi prepara la sua “agenda”
Intanto Renzi fa sentire il fiato sul collo a Letta, pilotando lui stesso le partite delle “riforme istituzionali” (monocameralismo, taglio dei parlamentari, abolizione delle province) e della legge elettorale, che vuole assolutamente maggioritaria e “bipolare”, sul modello presidenzialista del “sindaco d'Italia”, e annunciando che se lo ostacoleranno su di essa è pronto a trattare con SEL ma anche con Grillo e Berlusconi. Inoltre sta preparando la sua agenda da presentare al governo, con in testa la liberalizzazione del mercato del lavoro alla Ichino: per i giovani contratto unico a tempo indeterminato ma senza articolo 18, secondo il piano che gli sta scrivendo il suo consigliere economico Yaram Gutgeld.
In questo quadro il neo segretario sta giocando abilmente anche per vincere le diffidenze del sindacato e piegarlo gradualmente al suo disegno liberista e presidenzialista, facendo leva sulle sue contraddizioni interne: “Anche il sindacato deve cambiare con noi”, ha dichiarato infatti, e il suo recente e spregiudicato dialogo con Maurizio Landini rientra in questa sua strategia. E il segretario della Fiom gli ha fatto sorprendentemente da sponda, dichiarando: “Renzi ha un atteggiamento molto più libero sui temi della democrazia, del lavoro, della lotta alla precarietà rispetto a chi lo ha preceduto alla guida del Partito democratico. Renzi vuole un piano per il lavoro che abolisca le regole e segni “la fine dell'era ideologica””. Persino la Camusso si è detta pronta al dialogo con lui: “Se ci rispetta, la CGIL sarà il suo interlocutore forte”, ha dichiarato.
Fine ingloriosa di una manica di rinnegati
“Oggi non è la fine della sinistra, è la fine di un gruppo dirigente della sinistra”, aveva minacciato a caldo il vincitore. Inebetiti dalla sconfitta che non si aspettavano così pesante, i dirigenti dell'ex PCI revisionista, hanno dapprima rifiutato di riconoscere il “nuovo corso”, cercando di organizzarsi in corrente di “opposizione”. Contando anche che con Ugo Sposetti essi controllano ancora il sostanzioso patrimonio dell'ex PCI-PDS-DS, valutato mezzo miliardo con le sue 60 fondazioni locali e 2.400 immobili, mentre il PD ha invece 4 milioni di passivo, che saliranno al doppio l'anno prossimo se verrà approvata la legge sui rimborsi elettorali. Dissuaso da D'Alema Cuperlo aveva anche rifiutato in un primo tempo l'offerta di Renzi di fare il presidente del partito. E il governatore della Toscana, Rossi, proponeva che i comitati per Cuperlo si strutturassero “come componente organizzata del PD, perché la sinistra di questo partito deve avere una sua voce e non ci sta ad essere rottamata”.
Ma alla fine, pressati anche dai giovani turchi che non ne vogliono sapere di essere emarginati, ora che avevano appena assaggiato un po' di notorietà e di potere, tutti gli ex PCI hanno finito per arrendersi al vincitore: tanto che Cuperlo ha accettato la presidenza e al mesto Bersani non è rimasto che chiedere a Renzi di “non strafare” con l'accentramento del potere nelle sue mani. E così il vincitore delle primarie ha potuto presentarsi all'assemblea PD di Milano che lo ha incoronato segretario come un vero trionfatore e con tutto il “partito unito” sotto le sue insegne e i suoi slogan roboanti e destrorsi: ivi compresi gli inetti e falliti ex dirigenti del PCI revisionista, che hanno concluso la loro squallida carriera di rinnegati finendo asserviti a un erede della DC. Il quale ha solo preso dalle loro mani il PD come un frutto maturo, per finire lo sporco lavoro da essi stessi cominciato omologando in tutto e per tutto questo partito ormai liberale e democristiano alla destra borghese.
18 dicembre 2013