L'ONU sostiene la Francia per il controllo del Centrafrica
Il ministro degli Esteri francese: “L'Africa può diventare un nuovo Eldorado per la Francia”
La mattina del 7 dicembre una colonna di mezzi dell'esercito francese proveniente dal Camerun attraversava la frontiera all'altezza della località centrafricana di Cantonnier e si dirigeva verso la capitale Bangui per “aiutare” il contingente africano della Fomac (Central african multinational force, nella sigla inglese) già presente nel paese a impedire il ripetersi dei massacri di civili, vittime degli scontri tra bande rivali. Due giorni prima il presidente francese Hollande aveva ottenuto il via libera all'intervento da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
A meno di un anno dall’intervento in Mali, anche esso targato Onu ma di fatto diretto dai generali francesi, Parigi interviene di nuovo militarmente in Africa, nell'area delle sue ex colonie per riprenderne il controllo, con l'avallo dell'Onu che le ha dato la vernice di operazione umanitaria, invocata dal premier centrafricano Nicolas Tiangaye che per una coincidenza negli stessi giorni si trovava a Parigi per partecipare al Forum economico Franco-Africano e al successivo summit sulla pace e la sicurezza in Africa.
Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approvava all'unanimità una risoluzione con cui si autorizzava la missione di “peacekeeping” nella Repubblica Centrafricana dando mandato al contingente formato da 3.600 soldati dell'Unione africana cui si aggiungevano 1.200 francesi di agire nel paese, per un periodo di 12 mesi, con il compito di "proteggere i civili, ristabilire l'ordine e la sicurezza, stabilizzare il paese" e facilitare l'arrivo degli aiuti di cui la popolazione ha bisogno. La risoluzione autorizza in particolare i militari francesi, che dirigono l'operazione, ad "adottare tutte le misure necessarie per sostenere la missione nello svolgimento del suo mandato". In altre parole hanno carta bianca.
La crisi nel paese centrafricano si era sviluppata nella primavera scorsa quando i ribelli Seleka, che avevano le loro basi nel nord del Paese, scendevano nella capitale Bangui dalla quale era precipitosamente fuggito il presidente Francois Bozizé, l'ex combattente che aveva sostituito il dittatore Jean-Bedel Bokassa, il famigerato amico degli imperialisti francesi, mollato infine da Parigi. Il capo dei ribelli Michel Djotodia si autoproclamava capo dello Stato, prometteva lo scioglimento delle milizie e il loro graduale inserimento nell’esercito regolare. Un progetto che falliva a fronte del moltiplicarsi delle bande che si formavano da parti degli ex Seleka, da gruppi di mercenari provenienti dai paesi limitrofi, da sostenitori dell’ex presidente Bozizé e da milizie cristiane. Bande che si scontravano per il controllo del territorio mietendo centinaia di vittime civili e provocando fughe di massa dai villaggi.
Una situazione che favoriva la volontà dell'imperialismo francese di riprendere il controllo del paese con i soldati. Circa 250 militari francesi erano già presenti a Bangui dopo la cacciata di Bozizé nel marzo scorso, gli altri erano pronti nel vicino Camerun tanto che, prima ancora del via libera dell'Onu, Prigi aveva già messo a punto l'intervento militare battezzato Sangaris, con un riferimento farfalle rosso sangue che volano nelle foreste centrafricane. Quello attuale è il settimo intervento militare francese nella ex colonia a partire dal 1979 quando, con l’operazione Barracuda, Parigi destituì l'ex amico Bokassa con cui aveva rotto le relazioni.
“Ho deciso di agire immediatamente, già da questa sera, in coordinamento con gli africani”, annunciava da Parigi il presidente francese Hollande che si impegnava a svolgere un intervento “rapido, efficace” che dovrà “disarmare tutte le milizie che terrorizzano la popolazione” e indicava che “si procederà come accaduto a gennaio in Mali e l'operazione si concluderà al momento opportuno delle elezioni libere e pluraliste”.
Oltre che dall'Onu l'imperialismo francese aveva avuto in particolare il via libera da quello americano. L'amministrazione Obama sottolineava come gli Usa avessero votato e co-sponsorizzato la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu e annunciava l'intenzione di “fornire equipaggiamenti e aiuti logistici per 40 milioni di dollari restando pronti ad assistere i partner panafricani e l'alleato francese qualora i bisogni aumentassero". L'imperialismo americano ha deciso che il suo principale luogo di intervento è l'area del Pacifico per fronteggiare l'ascesa della principale concorrente, la superpotenza imperialista cinese, e non ha grossi problemi a lasciare alla Francia un ruolo operativo in quella regione del continente africano, dove pure è impegnato a contenderne il controllo a Pechino.
L'imperialismo francese raccoglie molto volentieri il compito assegnatogli da Washington, lo ha fatto sia con il governo di destra di Sarkozy in Libia sia con quello socialista di Hollande in Mali e adesso nella Repubblica Centrafricana. Tiene d'occhio in particolare le aree delle sue ex colonie che nel recente passato aveva trascurato favorendo l'ingresso della concorrenza cinese e delle altre potenze emergenti dei Brics.
Hollande ha deciso di cambiare marcia per recuperare l'influenza perduta o affievolita e in parallelo all'intervento militare aveva organizzato a Parigi due summit con la partecipazione di una quarantina di leader di paesi africani. Tra il 2000 e il 2011 la quota di mercato della Francia nell’Africa sub sahariana è diminuita del 50% compressa dall'arrivo in un territorio che era considerato da Parigi il suo “cortile di casa” delle potenze emergenti e aggressive dell’Asia ma anche da Brasile e Sudafrica. Attirati dalle ricchezze della Repubblica Centrafricana, dai giacimenti di diamanti alle foreste, cui aveva puntato in particolare il Sudafrica, alleato del presidente spodestato Bozizé.
Al Forum economico Franco-Africano di Parigi hanno partecipato oltre 500 imprenditori francesi e africani, una ventina di ministri e quattro capi di Stato, un vertice voluto da Hollande per “dare un nuovo slancio alle relazioni tra la Francia e il continente africano”. Perchè, come ha affermato Hubert Vedrine, l’ex ministro degli Esteri, che ha diretto i lavori, “l’Africa può diventare il nuovo Eldorado della Francia”. Ma quella nella Repubblica Centrafricana non doveva essere una “missione di pace”?.
18 dicembre 2013