Intervista ai lavoratori della Colacem di San Francesco a Pelago (Firenze)
“Per il diritto al lavoro occorre lottare, lottare, lottare”
Atteggiamento intollerabile della ex Italcementi. Un anno e mezzo di menzogne prima di chiudere definitivamente
I lavoratori denunciano: è stata annientata la coscienza di classe
Dal corrispondente dell'Organizzazione di Rufina del PMLI
Freddo glaciale per le vie di Pontassieve e lì, dentro il bar, l'avvicinarsi di due persone delle quali una con un bel cappellino rosso della FILLEA-CGIL mi fa capire che i nostri graditi ospiti sono arrivati. Sono i due rappresentanti RSU dei lavoratori della Colacem dello stabilimento di San Francesco a Pelago. Immediatamente li ringrazio di cuore per aver accettato l'invito a confrontarsi col nostro giornale.
Il vostro stabilimento è adesso in chiusura; ripercorriamone brevemente la storia e in particolare gli ultimi anni densi, purtroppo, di sgradevoli avvenimenti.
Lo stabilimento di Pelago è stato costruito circa 100 anni fa e da allora ha sempre ricoperto un ruolo occupazionale importante nell'economia della Valdisieve. Ha sempre prodotto cemento di ottima qualità col lavoro degli operai che non si sono mai risparmiati. 20 anni fa vi lavoravano 65 persone ed oggi, al termine ormai certo della sua attività, sono 50 coloro che hanno perduto il proprio posto di lavoro.
Prima l'Italcementi, poi l'acquisizione di Colacem ed adesso la chiusura. Come è stata giustificata?
Italcementi, anche se la cosa era nell'aria, ha sempre sostenuto che lo stabilimento non sarebbe stato ceduto. Dal giugno del 2012, complice anche la crisi del settore edile, i cementifici Italcementi in Italia sono passati da una quarantina a 18 anche se a Pelago, fino a poco tempo fa vendevamo bene. Sicuramente le macchine ed il resto della struttura appariva un po' obsoleto ma in questo sta proprio la principale responsabilità di Italcementi che non ha voluto investire in maniera sostanziale per far divenire quello di San Francesco uno stabilimento al passo coi tempi. In pratica la cessione è giunta all'improvviso e le uniche parole strappate alla direzione sono state quelle che hanno definito la nostra locazione non strategica. Colacem dal canto suo ha rilevato solo impianti e dipendenti in quanto la cava dalla quale si estrae malta da cemento è affidata in concessione dallo Stato. Abbiamo prodotto fino a maggio 2012 con ore di cassa integrazione già presenti ed abbiamo continuato ad eseguire altre attività con il materiale proveniente dall'altro grande stabilimento Colacem di Rassina in provincia di Arezzo per poi essere messi tutti per un anno in cassa integrazione in maniera definitiva con la chiusura dell'impianto.
Durante gli ultimi due anni, avvertendo quello che poteva essere il vostro destino, avete fatto scioperi o altre proteste?
No, non è stata fatta nessuna ora di sciopero. Certo che a conti fatti è stato un errore. Sarebbe stata una lotta senz'altro più incisiva. Il problema di oggi è che è molto facile cedere ai ricatti aziendali e lo spettro della disoccupazione fa sì che si finisce per credere alle promesse del padronato anche se sappiamo già come andrà a finire. All'inizio della vicenda c'erano altri membri RSU che poi sono stati sostituiti. Anche i sindacati che ci hanno seguito hanno avuto veramente poche chances. Mancano quasi totalmente le tutele e il liberismo sfrenato di oggi ha finito per divorarsi anche le briciole. Non c'è rimasta traccia di diritto al lavoro.
Nella vicenda, come si sono comportate con voi le istituzioni? La provincia ed i comuni?
Sia la provincia di Firenze che il comune di Pelago hanno fatto ciò che hanno potuto ma è evidente che la loro è stata più una sorta di solidarietà che una effettiva speranza di mantenere aperto l'impianto. E' altrettanto evidente che non ci sono strumenti effettivamente efficaci per far cambiare idea ad una direzione che ha deciso prima di vendere e poi di chiudere. Purtroppo è così per tutti. Sicuramente è stato criticabile l'atteggiamento del comune di Pontassieve che pur iniziando il suo territorio al di là di un semplice ponte sul fiume Sieve a 200 metri dallo stabilimento, non si è degnato di muovere un dito. E' vero che il cementificio è nel comune di Pelago ma in Italia il nostro è conosciuto come il “Cemento di Pontassieve”. Pontassieve poi rappresenta il maggior comune della Valdisieve e molti dei lavoratori ora ad un passo dalla disoccupazione sono suoi abitanti.
Adesso cosa chiedono o cosa si aspettano i lavoratori della Colacem?
Al momento vi sono due possibilità; la prima è un anno di cassa integrazione straordinaria ed al suo termine una buonauscita nel 2014 che ci consentirà di avere tre anni di mobilità per sperare in un nuovo collocamento. La seconda sarebbe i due anni di cassa integrazione straordinaria dei quali il secondo subordinato al ricollocamento del 30% dei lavoratori dopo il primo e successivamente mobilità in ambito di “Riforma Fornero” che ne limiterebbe notevolmente la durata. In pratica anche nella migliore delle ipotesi, nessuna garanzia di ritrovare un nuovo lavoro. E' questo il regalo del governo Monti!
Oltre alla vostra situazione, in Valdisieve e nel vicino Valdarno è un continuo susseguirsi di aziende in crisi che alla fine chiudono i battenti. Ogni mese che passa si registrano decine di posti di lavoro in meno. Cosa vi sentite di dire agli altri lavoratori che stanno passando ora ciò che è accaduto a voi?
L'unico messaggio che ci sentiamo di mandare è che bisogna lottare, lottare e lottare. Lo sciopero è l'unico strumento che i lavoratori oggi hanno per difendere i propri diritti e va esercitato quando ancora le decisioni non sono state prese. Ad oggi ci sono altre grandi aziende i cui lavoratori sono minacciati dallo spettro della disoccupazione quali la Pirelli di Figline Valdarno ed il salumifico (ex-Bechelli); è un periodo molto duro per il nostro territorio che fino ad una decina di anni fa non conosceva questo lato oscuro del mondo del lavoro.
La perdita dei diritti può essere riconducibile al fatto che la classe operaia non è organizzata né stimolata a lottare per il mantenimento e la tutela dei diritti conquistati?
Senza dubbio. Il problema principale, secondo noi, è proprio quello. Non esiste più un punto di riferimento politico e soprattutto è stata annientata la coscienza di classe ed il qualunquismo e l'individualismo la fanno da padrone non solo tra i giovani ma anche tra i più esperti lavoratori che in passato hanno avuto esperienze di lotta di piazza o di fabbrica.
La vostra storia, così come quella di tanti altri lavoratori, indica di fatto che il diritto al lavoro non esiste più. Serve ancora lottare per questo diritto?
Certamente sì. Bisogna lottare per lavoro per tutti perché solo il lavoro può dare a tutti una vita serena e dignitosa. Dobbiamo lottare per noi e per le generazioni future alle quali lasciamo una società senz'altro peggiore di quella che abbiamo ricevuto.
Infine, parlando di cementifici, il pensiero va anche all'ambiente. Nell'ultimo anno l'ILVA di Taranto ha posto le basi per dire basta al ricatto “lavoro o salute”. Dobbiamo rivendicare lavoro quanto più sano possibile. Che ne pensate?
E' giusto. L'Italcementi nel corso degli anni ha fatto poco e male relativamente a tali misure di sicurezza. Il lavoro dovrebbe essere svolto in ottimali condizioni di sicurezza utilizzando le migliori tecnologie esistenti. Avremmo dovuto essere più determinati nel pretendere tali adeguamenti ed una manutenzione costante ed efficiente. La rivendicazione del lavoro in sicurezza è senz'altro auspicabile poiché, oltre alle popolazioni vicine agli impianti, i primi a rimetterci la propria salute sono proprio i lavoratori dell'azienda stessa.
La discussione, che si è piacevolmente intrattenuta per oltre un'ora e mezza, è poi continuata su tanti altri temi di carattere più generale. Abbiamo affrontato il quadro della situazione politica governativa e istituzionale che pare ormai viaggiare verso una deriva senza fine nella quale una delle poche cose certe rimane la volontà bipartisan di annientamento dei diritti dei lavoratori utile solo ad un precariato senza più regole. Abbiamo discusso dell'assoluta mancanza di forze parlamentare capaci di schierarsi realmente in maniera determinata dalla parte della classe operaia ed abbiamo toccato anche il tema inceneritore di Selvapiana poiché se i movimenti riusciranno a fermarne la costruzione, le alternative e le nuove opportunità che potrebbero aprirsi in campo turistico, agricolo ed enogastronomico, potrebbero davvero fornire un sostanziale contributo occupazionale del quale la Valdisieve non può veramente più fare a meno. Al termine dell'intervista abbiamo consegnato la lettera aperta di solidarietà ai lavoratori della Colacem, della HMV e della Nordlight della nostra organizzazione di Rufina che è stata totalmente ignorata dalla stampa e dai media locali.
Noi ringraziamo di cuore i due amici operai della Colacem per il tempo che hanno messo a nostra disposizione e mandiamo idealmente anche agli altri lavoratori un forte abbraccio a nome di tutto il Partito, da sempre al fianco della classe operaia. Li ringraziamo anche per averci dato l'opportunità di capire al meglio quali sono le esigenze immediate e quale lo spirito ed i timori dei lavoratori di oggi, stretti fra la morsa del lavoro ad ogni condizione e lo spettro della disoccupazione. Ci auguriamo fortemente che i 50 lavoratori Colacem, così come tutti quelli della Nordlight e della HMV e delle altre aziende in chiusura, siano presto ricollocati e possano quindi contare su un nuovo posto di lavoro stabile ed a salario pieno; tutto ciò però non tampona il pericolo di deindustrializzazione dell'area poiché quei posti di lavoro , ormai, sono perduti per sempre. Lottiamo uniti per il lavoro stabile, sindacalmente tutelato ed a salario pieno!
18 dicembre 2013