Continua la battaglia di piazza della parte del popolo ucraino che vuol staccarsi da Mosca e confluire nella UE
Un gruppo di fascisti abbatte una statua di Lenin
Il partito delle Regioni, la formazione politica del presidente Viktor Yanukovich, dopo un incontro col primo ministro Mykola Azarov chiedeva il 16 dicembre scorso il cambio del 90% dei ministri, una sostituzione quasi completa dell'esecutivo nel tentativo di arginare la marea montante della protesta che da tre settimane cresce nel paese; partita dalla condanna della decisione del presidente Yanukovich di congelare l'accordo di adesione dell'Ucraina all'Unione europea (Ue) e sancita nel vertice di Vilnius del 30 novembre, la mobilitazione dei filo Ue aveva finito per mettere nel mirino il governo di cui chiedeva le dimissioni in blocco.
Dopo il no agli accordi di associazione con l’Unione europea, il filo russo Yanukovich era andato in Cina e in Russia a battere cassa per far fronte alla pesante crisi economica che sta spingendo il paese verso il baratro della bancarotta. A Pechino aveva raccolto diversi miliardi di euro di aiuti, altri gli erano stati promessi nella sosta a Sochi dove aveva incontrato Putin e discusso dell'avvio di un “partenariato strategico” fra i due paesi, preludio della possibile adesione dell'Ucraina all'Unione doganale progettata da Mosca. Ma non potevano bastare a fermare una protesta che era nata già il 21 novembre con l'occupazione del municipio della capitale Kiev per sostenere l'adesione alla Ue e cresciuta con le manifestazioni del 30 novembre, quando centinaia di migliaia di manifestanti erano pesantemente caricati dalla polizia mentre protestavano nella centrale piazza Maidan, nei pressi della quale si trova la sede del governo.
Le manifestazioni di piazza a Kiev si ripetevano ogni fine settimana, registrando una partecipazione crescente fino agli oltre 400 mila dell'8 dicembre, la più partecipata. Ma erano in 200 mila anche il 15 dicembre a chiedere le dimissioni di presidente e governo, nonostante il premier Azarov avesse dichiarato che "la porta dell'Unione Europea è aperta per noi, come anche la porta dell'unione doganale. Questo è un fatto ottimo, perché la nostra scelta l'abbiamo già fatta: è la strada dell'integrazione europea". Uno dei diversi tentativi dei dirigenti filo russi di smorzare la protesta dato che solo il giorno prima, il 14 dicembre, i rappresentanti della Ue avevano fatto sapere che il negoziato era chiuso a fronte delle posizioni del governo di Kiev.
Il premier Azarov precisava peraltro che il suo paese si aspetta da Mosca un cospicuo sconto nei prezzi del gas naturale che fornisce al paese e che è indispensabile per l'economia nazionale. Possiamo discutere la concessione di un prestito, rispondevano dal Cremlino che vuol mantenere grazie alla presidenza e al governo filo russi la sua influenza sull'Ucraina; un abbraccio peloso che i dimostranti filo Ue vorrebbero invece rompere appoggiandosi all'Europa occidentale e illudendosi di poter migliorare la situazione passando da un padrone all'altro. Ci avevano provato i partiti oggi all'opposizione sulla scia della vittoria della cosiddetta “rivoluzione arancione” del 1994, sponsorizzata dai paesi imperialisti e naufragata assieme al governo della Timoshenko, oggi messa in galera, dopo la sconfitta nelle elezioni del 2011 vinte dal partito di Yanukovich. I partiti filo occidentali sono tra gli organizzatori delle manifestazioni ma la protesta ha trovato forza ed è cresciuta anche per l'apporto di manifestanti di vario orientamento politico disgustati o delusi dal governo e esasperati dalla grave crisi economica.
Nelle manifestazioni dell'8 dicembre a Kiev un gruppo di militanti del partito ultranazionalista e fascista Svoboda ha abbattuto una statua di Lenin e intonato l’inno nazionale ucraino. Uno spregevole atto anticomunista che voleva richiamare alla memoria la resistenza reazionaria “bianca”, anche allora sostenuta dai paesi imperialisti, contro i bolscevichi e il neonato potere sovietico. Che la canea anticomunista ha equiparato alla attuale pressione egemonica attuata dal nuovo zar del Cremlino Putin, che è invece cosa ben diversa.
Nei progetti di Putin vi è certo quello di recuperare all’influenza di Mosca lo spazio delle repubbliche ex sovietiche o quantomeno quelle più strategiche. E l'Ucraina, nel cui porto di Sebastopoli ha ancora la sua base la flotta russa del Mar Nero, lo è certamente. E Putin non può permettersi di vedere indebolita la propria influenza su una Kiev proiettata verso la Ue e financo la Nato. Da parte della Ue e della Nato ovviamente si gioca per il distacco dell'Ucraina da Mosca.
18 dicembre 2013