La
gestione di destra della Camusso
Facendo
un bilancio basato sui fatti, non possiamo che registrare una linea,
una tattica, una conduzione del più grande sindacato italiano
del tutto inadeguata a fronteggiare il gigantesco attacco condotto
dai governi borghesi italiani ed europei e dai capitalisti nostrani
contro i lavoratori e i pensionati e le masse popolari. La Cgil,
prima di Epifani e poi della Camusso ha balbettato di fronte agli
attacchi del governo Berlusconi ed è stata debole o ha fatto
addirittura da sponda ai governi Monti e Letta. Gravissimo
l'atteggiamento tenuto di fronte alla controriforma Fornero delle
pensioni e allo svuotamento delle tutele contenute nell'articolo 18:
anziché mettersi di traverso a difesa dei lavoratori, dei
pensionati, dei precari e dei disoccupati ha indetto solo qualche ora
di sciopero, un'azione intrapresa più che altro per salvare la
faccia di fronte ai lavoratori.
La
Cgil della Camusso ha firmato accordi di categoria che hanno derogato
importanti spezzoni e peggiorato i rispettivi contratti nazionali, ha
ricercato l'unità sindacale con Cisl e Uil sulle loro
posizioni cogestionarie e capitolazioniste, si è legata al
carro della Confindustria, arrivando ad appoggiare le rivendicazioni
dei padroni e a festeggiare il 1° Maggio assieme a loro, è
stata accettata la politica di austerità portata avanti dai
governi di Roma e di Bruxelles che scarica sulle masse la crisi
economica e finanziaria causata dal capitalismo. Non ha mai cercato
l'autonomia rispetto ai partiti della “sinistra”
borghese, in particolare verso il PD e i governi da questo guidati o
appoggiati.
Il
documento congressuale di Camusso, Landini e Nicolosi dal titolo “Il
lavoro decide il futuro”, non esce da questa linea ed è
quindi da rigettare in blocco. Non ci dobbiamo far ingannare dalla
premessa, che critica genericamente la politica economica dell'Unione
europea (UE) e degli ultimi governi del nostro Paese. Si vuol far
credere che un'istituzione come l'UE, nata con lo scopo di competere
con le altre potenze economiche nel mercato capitalistico, oggi
globalizzato, possa essere cambiata e diventare un Europa sociale
vicina ai lavoratori, dando più potere al parlamento europeo e
riformando la Banca centrale europea.
La
politica di subordinazione della CGIL a governo e Confindustria viene
pienamente riconfermata, compresi gli accordi che possono derogare i
contratti nazionali che restringono la democrazia sindacale e il
diritto di sciopero. Su questo non ci sarà spazio per il
dissenso interno, il documento della maggioranza a proposito recita
chiaro: “L'accordo del 28 giugno 2011, al di là dei
diversi giudizi, impegna tutta l'organizzazione e non è
scindibile dall'accordo del 31maggio 2013. Accordo positivo, frutto
dell'iniziativa di tutta la CGIL, che rappresenta un significativo
cambiamento nel sistema di regole e di rappresentanza per la
contrattazione e su cui tutta l'organizzazione è impegnata a
garantirne l'esigibilità”.
Anche
sull'assetto istituzionale del nostro Paese non c'è la benché
minima denuncia del restringimento della democrazia borghese che ha
trasformato di fatto l'Italia in una repubblica presidenziale. Anzi!
Nonostante ci si un vago richiamo alla Costituzione del 1948 (che
materialmente non esiste più da tempo), si accettano proposte
di “riforma” che tendono a sminuire i poteri del
parlamento, a cambiare da destra le procedure istituzionali, a
garantire la governabilità borghese. Riguardo al finanziamento
pubblico ai partiti, se ne chiede solo una riduzione, non una totale
abolizione come sarebbe necessario.
Nella
parte rivendicativa ci sono richieste di aggiustamenti e
miglioramenti, che rimangono però sempre all'interno di una
logica di subordinazione alle esigenze della classe dominante
borghese e delle sue istituzioni. Sono misure che cercano di
addolcire il capitalismo per farlo meglio digerire ai lavoratori e ai
pensionati, ben sapendo che la politica dei governi italiani ed
europei rimarrà anche nei prossimi anni sui binari
dell'austerità. Per quanto riguarda la rappresentanza e la
democrazia dentro la Cgil ci sono solo delle enunciazioni, senza
impegni concreti, e comunque poco credibili perché il patto
sulla rappresentanza del 31 maggio scorso, firmato anche da Landini,
va nella direzione opposta escludendo i sindacati che non firmano gli
accordi.
Gli
undici emendamenti portati da Landini, Nicolosi, Moccia e altri non
incidono più di tanto perché nessuno di essi chiede un
cambiamento dell'attuale linea della Cgil e perché i loro
firmatari fanno parte della nuova maggioranza che fa capo a Susanna
Camusso. Questa operazione emendaria se da un lato non cambia la
sostanza, dall'altro offre una copertura a sinistra alla Camusso, che
in questo modo ha un argomento in più per affermare che le
richieste della sinistra sono state accolte dal suo documento e dalla
maggioranza della Cgil, nonostante questo sia falso.
L'opportunismo
di Landini e compagni
In
sintesi il documento che mira a conservare l'attuale linea sindacale
avrà il sostegno della maggioranza uscita dal precedente
congresso e in più le aree programmatiche, o quanto rimane di
esse, “Lavoro e Società” di Nicolosi e Patta e “La
Cgil che vogliamo” a cui avevano contribuito Landini,
Rinaldini, Airaudo (vi avevano aderito anche i marxisti-leninisti).
In essa aveva una posizione di rilievo Cremaschi che da tempo ne è
uscito e assieme ad altri 5 membri del direttivo nazionale ha
presentato un documento alternativo dal titolo “Il sindacato è
un'altra cosa”.
“Lavoro
e Società” già al precedente congresso si era
allineata al tandem Epifani-Camusso. Con un accordo preventivo aveva
ottenuto importanti posti dirigenti, in cambio Nicolosi non avrebbe
presentato o aderito a documenti alternativi. Quest'area si dichiara
la sinistra della Cgil, ma al di là di critiche generiche a
cui non seguono mai i fatti, si è dimostrata fin qui più
interessata alla spartizione delle poltrone che a cambiare la Cgil,
insomma una condotta del tutto opportunista.
Più
travagliata la vicenda di “La Cgil che vogliamo” ma alla
fine anche in essa ha prevalso l'opportunismo. Quest'area già
da tempo non dava più segnali di opposizione alla linea della
Camusso, stesso discorso vale per la Fiom di Landini. L'unica
Federazione della Cgil dove la sinistra aveva una maggioranza anche
consistente, ed è stata alla testa di tutte le battaglie fatte
in difesa dell'articolo 18, contro la Fiat e il modello Marchionne,
contro la deindustrializzazione, riuscendo a legarsi con altri
movimenti, come ad esempio i NO-Tav , prendendo posizioni spesso in
contrasto con quelle della segreteria confederale.
Nella
Fiom però alla fine è prevalsa la normalizzazione. Ne è
responsabile Landini che via via è scivolato sulle posizioni
della Camusso e di conseguenza su quelle di Cisl e Uil. La sinistra è
stata emarginata dal direttivo nazionale e la Fiom é tornata
all'ovile della confederazione.
Il
segretario della Fiom in poco tempo ha abbandonato i propositi
battaglieri deludendo tanti lavoratori che avevano riposto fiducia in
lui. Landini ha fatto proprio il patto interconfederale del 31 maggio
2013, figlio di quello del 28 giugno 2011, in precedenza giustamente
respinto perché introduceva le deroghe ai contratti nazionali
e restringeva la democrazia sindacale, e in vista del congresso si è
allineato alle posizioni della destra riformista rinunciando a
sostenere un documento alternativo. Da più parti si pensa che
queste mosse siano funzionali alla sua ambizione a diventare in
futuro il segretario generale della Cgil, per la quale carica serve
il più ampio consenso da parte del gruppo dirigente.
Landini
è arrivato a caldeggiare le primarie in stile PD per
l'elezione del segretario nazionale della Cgil, dulcis in fundo ha
incontrato pubblicamente Matteo Renzi, il nuovo segretario nazionale
del PD, acerrimo nemico dei lavoratori e ammiratore di Marchionne.
Proprio mentre Landini dichiarava di aver trovato punti in comune con
Renzi, quest'ultimo attaccava nuovamente quel che resta dell'articolo
18 proponendo di eliminarlo del tutto per i neo assunti.
Questi
fatti hanno portato alla ricostituzione della Rete 28 Aprile, l'Area
programmatica guidata da Cremaschi che nel 2009 era confluita nel
documento congressuale “ La Cgil che vogliamo” per
cercare di ampliare il più possibile il fronte
dell'opposizione. Fronte che ora si è disciolto e che la Rete
tenta di riorganizzare.
Sosteniamo
il documento 2
La
Rete 28 Aprile e quella parte di Fiom, di Rsu e di lavoratori che non
si sono allineati a Landini hanno deciso di dare battaglia alla linea
del gruppo dirigente uscente presentando, come già detto il
documento alternativo “Il sindacato è un altra cosa”.
A fronte di questa situazione il PMLI ha scelto di appoggiare questo
documento: i militanti, i simpatizzanti del Partito e chi si
riconosce nella linea sindacaledei marxisti-leninisti sono tenuti a
sostenerlo in modo leale e collaborativo, pur senza rinunciare alla
nostra visione politico-sindacale e al nostro modello di sindacato.
Noi
non abbiamo attualmente le forze per presentare un nostro documento
alternativo, quindi dobbiamo appoggiare quello di Cremaschi che si
avvicina molto di più alle nostre posizioni di quello della
Camusso, e di fatto riunisce la sinistra sindacale di cui fanno parte
a tutti gli effetti anche i marxisti-leninisti. Dovremo attuare una
politica di fronte unito e lavorare organizzati, pur con la nostra
autonomia, con le variegate forze che appoggiano la mozione 2. Non
sarà facile conquistare il consenso a tale documento perché
la scelta opportunista di Landini ha indebolito tanto la sinistra
sindacale. La mozione 2 parte quindi fortemente minoritaria, con
pochissimi mezzi e dirigenti a disposizione, poggia tutto sui
delegati, se agiremo in ordine sparso tutto sarà ancora più
difficile.
Non
nascondiamo che la mozione 2 non ci soddisfa pienamente. L'analisi
del quadro economico e politico risulta raffazzonata, anche a causa
dei tempi ristretti, ma sopratutto carente perché la critica è
fatta solo sulle conseguenze della crisi e non sulle cause, cioè
il capitalismo che non viene nominato nemmeno una volta, al massimo
si punta il dito sul neoliberismo. Nei nostri interventi invece
dobbiamo usare parole di fuoco contro il capitalismo, il governo
Letta-Alfano e il capo dello Stato Napolitano che lo sostengono e ne
curano gli affari. Nel documento si chiede l'annullamento degli
accordi europei basati sull'austerità, ma non si chiede
l'uscita dell'Italia dalla UE, anche l'attacco all'imperialismo non
viene portato fino in fondo. Sul governo Letta-Alfano il silenzio è
addirittura tombale, mentre sullo stravolgimento della repubblica
democratica borghese e l'instaurazione del presidenzialismo di fatto,
gli vengono dedicate un paio di righe.
Non
siamo d'accordo sul reddito minimo garantito, una specie di sussidio
ai poveri che con un elemosina si tengono ai margini della società,
rivendichiamo invece la piena occupazione. Possiamo discutere la
richiesta di salario minimo, un tetto minimo orario sotto il quale
non si può scendere per nessun tipo di lavoro, non va però
toccata la centralità del contratto nazionale. Per il resto la
parte rivendicativa ci trova sostanzialmente sulla stessa lunghezza
d'onda, sintetizzata dallo slogan del documento “
RivendicAZIONI per una Cgil indipendente,
democratica, che lotta”.
Tra
le rivendicazioni più importanti e significative c'è la
richiesta che le grandi aziende strategiche, come Fiat, Ilva,
Telecom, Alitalia, i grandi ospedali privati come il San Raffaele,
che rischiano tagli o chiusura, siano espropriate senza indennizzo e
gestiti dal potere pubblico, con partecipazione e controllo dei
lavoratori e delle popolazioni. Giustamente si sostiene la lotta per
ridare al contratto nazionale centralità nella contrattazione,
si sostiene la difesa e lo sviluppo dei servizi pubblici dalla sanità
alla scuola, il controllo pubblico e popolare sui beni comuni come
l'acqua, l'effettiva parità di diritti per i migranti, una
nuova scala mobile e un forte e inderogabile aumento dei salari e si
sostiene la lotta contro le grandi opere come la Tav.
La
proposta sindacale del PMLI
Nell'ultima
parte si rivendicano forme più democratiche all'interno del
sindacato. Perché, è scritto nel documento, “i
lavoratori hanno bisogno di organizzarsi in forme flessibili e
aperte, in comitati di lotta e consigli di delegati per questo la
Cgil decide di avviare un processo di organizzazione nuovo tra tutte
le lavoratrici e lavoratori, nel territorio tra i pensionati e i
disoccupati”.
Vi è una
denuncia sacrosanta di un apparato burocratico
mastodontico che decide tutto mentre la democrazia e la
partecipazione dei lavoratori rimane in secondo piano, più
sulla carta che effettiva. La proposta strategica del PMLI di modello
di sindacato va molto oltre. Noi ci battiamo per la costruzione dal
basso di un grande sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle
pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e il
potere sindacale e contrattuale in mano alle assemblee generali dei
lavoratori e dei pensionati.
Possiamo
prendere spunto dall'esigenza di una rappresentanza sindacale di tipo
nuovo, che in parte si trova nella mozione 2, per esporre il nostro
modello di sindacato le cui caratteristiche principali sono: l'unità
sindacale di tutti i lavoratori dipendenti (operai e impiegati di
ambo i sessi e di tutte le categorie e i settori privati e pubblici)
e di tutti i pensionati a basso reddito; la gestione della vita del
sindacato fondata sulla democrazia diretta dal basso verso l'alto che
significa dare il potere sindacale e contrattuale alle Assemblee
generali dei lavoratori e dei pensionati, che comporta tra le altre
cose la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e
dei dirigenti non più riconosciuti come tali dalla base;
l'assunzione di una piattaforma rivendicativa che abbia come scopo la
conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto
possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello di principio
della concertazione e del "patto sociale" con le
“controparti” (governo e padronato) poiché è
solo con la lotta di classe, con l'uso di tutti i metodi di lotta a
disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi
avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi.
Questo
tipo di democrazia e di sindacato va ben al di là dei
referendum che sono importanti, ma che comunque chiamano i lavoratori
a esprimersi su decisioni già prese. Noi la intendiamo come
democrazia diretta che poggia sul protagonismo nei luoghi di lavoro
anzitutto, ma anche al di fuori pensando ai pensionati, che non si
limiti a un sì o un no ma che permetta ai lavoratori e ai
pensionati di discutere i problemi, mettere a confronto le idee,
assumere le decisioni, approvare o rifiutare le piattaforme e gli
accordi con voto palese, selezionare i loro rappresentanti più
capaci e combattivi L'unica capace di unirli attorno ai loro
interessi di classe, di liberarli dai cappi delle vecchie e "nuove''
sigle sindacali e di renderli indipendenti dalle istituzioni, dal
governo e dal padronato.
Per
realizzare il nostro obiettivo di un grande sindacato delle
lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati
fondato sull'idea forza della democrazia diretta occorrerà che
si sciolgano tutte le sigle sindacali: Cgil-Cisl-Uil oramai
completamente succubi e complici del governo e del padronato, i
sindacati cosiddetti di base (Usb, Cobas, Slai-Cobas, ecc.) che si
collocano più a sinistra della Cgil ma che con la loro
impostazione spontaneista e anarchica, le loro rivendicazioni
tendenzialmente corporative, tendono più a dividere che unire
i lavoratori. Ovviamente finché non nascerà questo tipo
di sindacato, i marxisti-leninisti, fintanto che lo riterranno
possibile e opportuno, continueranno a condurre la propria battaglia
preferibilmente all'interno della Cgil e a costruire la corrente
sindacale di classe con tutti coloro che, fuori e dentro i sindacati
confederali e autorganizzati, condividono la nostra proposta
sindacale e vogliono battersi per realizzarla.
Diamo
battaglia al 17°congresso della Cgil, il che vuol dire tenere un
atteggiamento combattivo, attivo e propositivo. I sindacalisti e i
lavoratori marxisti-leninisti devono cogliere le occasioni che il
congresso presenterà loro per sostenere quanto possibile, le
posizioni sindacali del Partito. Per far questo occorre rinfrescarsi
la memoria con i nostri documenti sul tema, il regolamento del
congresso e studiare i due documenti congressuali.
In
primo luogo dobbiamo criticare a fondo il documento della maggioranza
e le scelte fallimentari fatte in questi anni dalla segreteria con a
capo la Camusso, denunciando le scelte opportunistiche di Landini e
di Nicolosi in modo chiaro ma dialettico cercando di unire la
sinistra contro la destra.
Dobbiamo
appoggiare la mozione 2, prendendo contatti da subito con i suoi
referenti. Nei nostri interventi alle riunini di tale mozione
dobbiamo puntare sulle cose che ci uniscono, mantenersi comunque
liberi di esprimerci in termini fortemente anticapitalistici.
Dobbiamo
rilanciare la nostra proposta del grande sindacato delle lavoratrici,
dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati in modo
intelligente, legandola ai temi congressuali, usando la dialettica,
ovviamente senza tirare in ballo il PMLI ma intervenendo come
lavoratori e pensionati. Bisogna studiare molto per chiarirci le idee
e per fare degli interventi concisi e concreti, tenendo conto degli
umori e del livello di coscienza dei partecipanti alle Assemblee
congressuali a cui siamo presenti.
Avanti
con forza e fiducia nella battaglia contro la destra riformista della
Camusso, Landini e Nicolosi, per l'unità e la vittoria della
sinistra sindacale e per il rilancio della proposta sindacale del
PMLI.
La Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI