Il Partito Democratico a braccetto con la reazione e le destre al Parlamento europeo
Rigettata la risoluzione Estrela sulla “Salute ed i diritti sessuali e riproduttivi”
di Stefano
Ancora una volta il Parlamento europeo si è fatto portabandiera di istanze clericali e reazionarie, tra le più becere della conservazione europea. All'inizio di dicembre l'Assemblea di Strasburgo ha definitivamente affossato una risoluzione sulla “Salute ed i diritti sessuali e riproduttivi”. Tale risoluzione, presentata dalla deputata socialista portoghese Edite Estrela – vice-presidente della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere – puntava a promuovere l'uso della contraccezione, a prevenire le discriminazioni di genere e di inclinazione sessuale, a stimolare la diffusione dell'educazione sessuale nelle scuole europee, e a tutelare l'aborto sicuro e legale in tutti i paesi dell'UE.
In tre stati membri dell'Unione (Irlanda, Malta, e Polonia) le donne non hanno accesso a questo diritto primario, e pene molto severe – che includono l'accusa di omicidio – sono contemplate dai rispettivi codici penali nel caso di aborti “clandestini”. Spesso anche il recarsi all'estero, in un paese che lo consente, per praticare l'interruzione di gravidanza viene considerato un reato ed è passibile di condanna. Di recente in Irlanda, una donna di 31 anni, Savita Halappanavar, è morta (o, meglio è stata assassinata) dopo che i medici le hanno negato l'aborto nonostante una evidente setticemia la stesse lentamente uccidendo. Il feto, che non permetteva la somministrazione delle cure è stato asportato solo dopo che ne è stato constatato il decesso cardiaco, ma ormai per la donna era troppo tardi. Savita è morta dopo un'ulteriore settimana di agonia.
Come ben sappiamo, in Italia, il diritto all'aborto è continuamente sotto attacco da parte della chiesa, delle lobby più reazionarie, e da parte di buona parte delle forze politiche, che dalla destra alla “sinistra” borghese si prostrano a baciare gli anelli dei cardinali. Il fenomeno dell'obiezione di coscienza, non solo tollerato, ma ormai apertamente incentivato e promosso dai direttori sanitari (in quota a tutti i principali partiti borghesi) ha raggiunto un livello insostenibile, negando in molte realtà del paese l'accesso ad un diritto riconosciuto da una legge, la 194, che in questo contesto rivela tutta la sua insufficienza ed inadeguatezza.
Secondo quanto emerge dalla “Relazione sulla attuazione della legge 194/78”, rilasciata nell'ottobre 2012 dal Ministero della Salute, in Italia, negli ultimi cinque anni il numero degli obiettori di coscienza è cresciuto dal 58,7% al 69,3%. In alcune regioni come la Basilicata, la Campania, il Molise, la Sicilia, e la provincia autonoma di Bolzano, la percentuale di ginecologi obiettori supera l'80%. Le ripercussioni del fenomeno sui diritti delle donne ad un aborto sicuro e garantito hanno una chiara dimensione di classe, in quanto la possibilità di usufruire dei servizi di interruzione di gravidanza in altre regioni o in cliniche private – che speculano sulla salute delle donne – è chiaramente determinata delle capacità economiche.
La cosiddetta “risoluzione Estrela” aveva l'obiettivo di uniformare i diritti sessuali e riproduttivi dei cittadini comunitari e di promuovere l'adozione di una legislazione minima (seppur insufficiente) in questo senso da parte di tutti gli stati membri. In particolare, per quanto riguarda il diritto all'aborto il progetto di risoluzione affermava: “[il Parlamento] raccomanda che, come tematica che tocca i diritti umani e la salute pubblica, i servizi di qualità per l'aborto siano resi legali, sicuri, ed accessibili a tutti, nell'ambito dei sistemi di salute pubblica degli Stati membri, anche alle donne non residenti”. Un punto molto rilevante per il contesto italiano sottolineava come “l'aborto, anche quando è legale, è spesso evitato o prorogato da ostacoli che impediscono di accedere a servizi adeguati, come l'ampio ricorso all'obiezione di coscienza, periodi di attesa non necessari dal punto di vista medico o consulenze non obiettive; [il Parlamento] sottolinea che gli Stati membri dovrebbero regolarmente monitorare il ricorso all'obiezione di coscienza […] in modo da assicurare che l'assistenza sanitaria in materia di salute riproduttiva sia garantita come diritto individuale”. In chiave opportunistica e tipicamente socialdemocratica la risoluzione riconosceva pari dignità all'obiezione di coscienza come “diritto individuale”, ma sottolineava come essa non dovesse avere il carattere di “una politica collettiva”. La risoluzione sottolineava poi il ruolo della pianificazione familiare volontaria come strumento per prevenire le gravidanze non desiderate, condannava (seppur con molta moderazione) le interferenze clericali in materia, e “invitava” i governi a non processare le donne che si sono sottoposte ad aborti clandestini.
Tra le altre cose, la “risoluzione Estrela” invitava gli stati membri (e tuttavia, non li vincolava –
e legalmente non avrebbe avuto i poteri per farlo) a promuovere l'educazione sessuale completa e servizi su misura per gli adolescenti, la prevenzione e la cura delle infezioni sessualmente trasmissibili, e la condanna della violenza legata ai diritti sessuali, riproduttivi, al genere ed all'inclinazione sessuale.
La risoluzione, che tuttavia non ha natura vincolante per gli stati membri e che presentava evidenti mancanze dato il suo obiettivo dichiarato di rappresentare una base minima
(ma garantita) di diritti per tutti gli stati membri, è stata valutata come un sostanziale – seppur insufficiente – passo avanti da molte associazioni europee impegnate nel settore come la European Women Lobby Forum
e lo European Parliamentary Forum on Population and Development
o dall'Intergruppo per i Diritti delle persone LGBT. In particolare, Amnesty International
aveva definito il testo come “un atto di forte consenso politico, capace di assicurare nel futuro il positivo sviluppo del diritto degli individui di controllare le proprie scelte sessuali e riproduttive, la loro integrità e dignità fisica, nonché la libertà dalla violenza, dalla coercizione e dalla discriminazione”.
Tuttavia questo passo avanti, seppur limitato ed insufficiente, è parso troppo ambizioso per un'Assemblea sempre più in preda ad una deriva conservatrice e reazionaria. Fin dalla sua presentazione in aula la risoluzione ha dovuto fronteggiare un fuoco di fila incrociato che da una parte vedeva schierate tutte le forze della destra (dai liberali, ai moderati, passando per i conservatori ed i neo-fascisti), dall'altra mostrava una socialdemocrazia ed una “sinistra” divise, sostanzialmente rassegnate, e fortemente lacerate da pulsioni clericali.
La relazione approvata in Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere con uno stretto margine di voti favorevoli è giunta in plenaria – al voto dei 766 deputati (73 italiani) che la compongono – in ottobre e dopo uno scarno dibattito è stata rispedita in Commissione per un ulteriore esame del testo. Il voto che determinò questo slittamento, tenutosi il 22 ottobre, è stato sostenuto da una maggioranza composta dal Partito Popolare Europeo (di cui fanno parte UDC, Forza Italia, e Nuovo Centro-Destra di Alfano), dai Conservatori e Riformatori Europei, e dal gruppo dell'Europa della Libertà e della Democrazia (di cui fa parte la Lega Nord, insieme a partiti dichiaratamente fascisti ed ultra-nazionalisti). In questa occasione – prima di una serie – mentre le destre si sono dimostrate unite nella conservazione, la socialdemocrazia e la “sinistra” non sono state in grado di porre un argine credibile. In particolare, nel caso del Partito Democratico ben cinque (su 22) deputati hanno fatto il gioco delle destre non votando (2), astenendosi (2), o addirittura votando a favore (1, Patrizia Toia); mentre quattro deputati risultavano assenti. Dopo un ulteriore voto in Commissione, la risoluzione è stata accantonata il 10 dicembre, a favore di una mozione delle destre che ipocritamente dichiarava la “non competenza dell'Unione europea in questioni riguardanti la definizione dei diritti sessuali e riproduttivi”. Tale risoluzione alternativa è stata approvata con 334 voti a favore e 327 contrari (35 astenuti). In questo senso la responsabilità del PD – e la doppiezza per quanto riguarda i diritti fondamentali della donna, e sulla pelle delle donne – emerge in tutta la sua enormità. In occasione del secondo voto, ben 8 deputati “democratici” si sono astenuti o hanno deciso di non votare (mentre tre risultavano assenti), sancendo la vittoria delle destre. Gli otto voti del PD avrebbero garantito – seppur con lo scarto di un solo voto – l'approvazione della risoluzione. Gli stessi otto deputati PD non si erano precedentemente opposti ad una mozione in tema di aborto e diritti sessuali e riproduttivi, poi rigettata dal Parlamento, presentata dall'ultradestra del gruppo dell'Europa della Libertà e della Democrazia.
Difronte all'enormità delle responsabilità, il PD evidentemente ormai totalmente vittima della lobby clericale e reazionaria ha preferito nascondere la testa sotto la sabbia o addurre argomentazioni che non fanno che confermare quanto è ormai sotto gli occhi di tutti. La deputata PD Patrizia Toia giustifica così il suo voto: “vi era un impianto troppo concentrato sull'aborto, delineato quasi come un diritto fondamentale della persona [...]. Altro punto negativo era la formulazione sull'obiezione di coscienza: riteniamo che l'obiezione sia uno dei diritti da garantire agli operatori sanitari, come da garantire è l'accesso a tutti i servizi previsti dalla legislazione, aborto compreso”.
Grazie alle sciagurate scelte del “nuovo” PD di Renzi ed alle esitazioni e all'inconcludenza della socialdemocrazia e della “sinistra” borghese europea gioiscono i reazionari e le forze della conservazione di tutto il continente, mentre continuano a piangere le donne, specie quelle delle masse popolari che rappresentano le vittime designate.
8 gennaio 2014