Secondo Pieczenik, consulente della Cia
Gli Usa volevano l'uccisione di Moro per impedire al PCI di accedere al governo con la DC
Dal Viminale, durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro, un inviato del governo americano per seguire il caso, Steve Pieczenik, manipolò le cose insieme al picconatore golpista Cossiga per favorire l'uccisione dello statista DC da parte delle sedicenti "Brigate rosse": a rivelarlo è stato lo stesso agente Usa in un'intervista a Giovanni Minoli trasmessa il 30 settembre 2013 su Radio 24
, la radio del quotidiano confindustriale Il Sole 24 ore
. Obiettivo della manipolazione era evitare la liberazione Moro e costringere le "Br" ad ucciderlo, perché la sua morte sarebbe servita a “stabilizzare il Paese” ed evitare che il PCI potesse andare al governo.
Pieczenik, psichiatra, esperto di “gestione di crisi” e contro-terrorismo, consulente di Kissinger durante la presidenza di Nixon e di tutti i segretari di Stato delle successive amministrazioni Usa, nonché consulente della Cia per la guerra psicologica, nella primavera del 1978 fu inviato a Roma dall'allora segretario di Stato Cyrus Vance per seguire la vicenda del sequestro di Moro, agendo in stretto contatto con l'allora ministro dell'Interno Cossiga, che dirigeva il comitato di crisi incaricato di gestire le ricerche. “Appena arrivato in Italia – racconta nell'intervista - per le strade c'erano continui disordini, continue proteste. Si sparava contro gli avvocati, contro i giudici, c'erano morti in continuazione. Erano tutti concordi che se i comunisti fossero arrivati al potere e la Democrazia cristiana avesse perso, ci sarebbe stato un effetto valanga, gli italiani non avrebbero più controllato la situazione. Gli Stati uniti avevano un preciso interesse riguardo alla sicurezza nazionale, soprattutto per quanto riguardava l'Europa del sud. La mia preoccupazione era estremamente concreta: Qual era il centro di gravità per stabilizzare l'Italia? A mio giudizio quel centro di gravità si sarebbe creato sacrificando Aldo Moro”.
Pieczenik rivela poi che la decisione di sacrificare Moro fu presa da lui e Cossiga dopo che nelle sue lettere il prigioniero, preoccupato unicamente di salvarsi la vita, cominciò a lanciare accuse ai dirigenti della DC e minacciare rivelazioni destabilizzanti sullo Stato, il suo partito e i suoi stessi amici: “Quando mi resi conto della sua strategia, dissi: quest'uomo si sta trasformando in un peso, e non in un bene da salvaguardare”, spiega l'agente Usa. Da quel momento anche Cossiga se ne sarebbe convinto, e sarebbe quindi partita la “manipolazione” per provocare la morte di Moro per mano dei suoi sequestratori: cominciando con l'opera di discredito sulle piene facoltà mentali dello stesso Moro attraverso la propagazione dell'idea che le lettere non fossero state scritte da lui, o scritte sotto dettatura, e che il prigioniero fosse drogato o psicologicamente condizionato dai suoi carcerieri.
Un altro atto saliente di questa strategia fu la diffusione del falso comunicato delle "Br" che il corpo di Moro si trovava in fondo al lago della Duchessa, “per preparare il Paese alla sua morte” e per far capire ai brigatisti che tutte le ipotesi di trattativa si stavano chiudendo, e che non rimaneva loro che ucciderlo. Tanto che a tale scopo Pieczenik racconta di aver convinto Cossiga a bloccare perfino il tentativo di trattativa del Vaticano, che aveva raccolto un'ingente somma per pagare il riscatto di Moro. A suo dire questa strategia riuscì così bene che se ne tornò in America ancor prima del ritrovamento del cadavere di Moro, perché era ormai sicuro che le "Br" erano cadute nella sua “trappola” e che l'esecuzione del presidente DC era solo questione di settimane.
“Rivelazioni” ambigue e reticenti
L'intervista a Minoli è stata acquisita dal pm romano Luca Palamara, titolare dell'ultimo procedimento aperto sul sequestro e l'omicidio di Moro, e non si esclude che possa chiamare il consulente americano a testimoniare, anche tramite rogatoria internazionale. Del resto Pieczenik non è nuovo a simili dichiarazioni. Già in passato la Commissione stragi aveva tentato inutilmente di chiamarlo a testimoniare. In un libro-intervista pubblicato qualche anno fa, dall'eloquente titolo “Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo trent'anni un protagonista esce dall'ombra, aveva fatto più o meno le stesse rivelazioni di oggi, che però erano passate stranamente sotto silenzio. A Minoli ha raccontato di essersi deciso a parlare perché sono ormai passati trent'anni e “per dovere verso il popolo italiano”.
Ovviamente non c'è da credergli, e bisognerebbe invece capire quale sia il suo vero gioco. Anche le sue “rivelazioni” sono parecchio sospette, reticenti e piene di contraddizioni. Soprattutto perché in ultima analisi tendono a minimizzare il ruolo del governo Usa nella vicenda, limitandone l'intervento alla sola fase finale del sequestro di Moro e solo attraverso un solo agente, per quanto plenipotenziario.
Dalla sua ricostruzione sembra inoltre che la decisione di sacrificare Moro sia stata presa solo da un certo punto in poi del sequestro, quando con le sue lettere stava diventando pericoloso per la “stabilità” del sistema, mentre altrove si accenna al fatto che l'interesse preminente del governo americano era di impedire la salita del PCI al governo insieme alla DC: e chi era l'artefice di questa integrazione del partito revisionista nel sistema di governo se non Aldo Moro, tanto da aver ricevuto le minacce dirette di Kissinger in occasione di un ricevimento a Washington?
Dunque se lo scopo era quello di eliminare Aldo Moro per liquidare il “compromesso storico” che stava realizzando insieme a Berlinguer, la decisione di farlo fuori era stata presa dal governo Usa ancor prima del suo rapimento in via Fani. Sotto questa luce le rivelazioni di Pieczenik sembrano dirette ad ammettere solo una parte della verità per stornare l'attenzione dal ruolo onnipresente e determinante dei servizi segreti americani in tutta la vicenda: fin dalla sua ideazione, e non soltanto per quanto attiene al suo tragico epilogo.
Ma con alcune importanti conferme
Tuttavia l'intervista di Piecznik è importante se non altro perché conferma da parte di una fonte diretta alcuni punti che già erano emersi e che noi abbiamo sempre sostenuto fin dal primo momento: e cioè che lo scopo del rapimento e dell'uccisione di Moro era di impedire che il PCI andasse al governo con la DC, e che questo era un interesse preminente del governo americano, che difatti vi ha giocato un ruolo sicuramente chiave. Tanto è vero che con la morte di Moro è abortita prematuramente anche l'esperienza dei governi di “solidarietà nazionale” propedeutici alla cooptazione del PCI revisionista nel governo del Paese, aprendo invece la strada ai governi pentapartito di Craxi e alla seconda repubblica neofascista e piduista.
Conferma altresì che il referente diretto in Italia del governo Usa e dei suoi agenti era Francesco Cossiga, in quanto capo della struttura segreta anticomunista “Stay behind” (
detta anche “
Gladio”),
e in stretto contatto con la P2 di Gelli, tanto che guarda caso Pieczenik alloggiava in quei giorni nello stesso albergo Excelsior in cui riceveva il “maestro venerabile”: il che spiega i depistaggi, il mancato ritrovamento della prigione di Moro in via Gradoli (in un appartamento di proprietà dei servizi segreti), e tutti gli altri misteri riscontrati durante e dopo quei 55 giorni di prigionia.
E conferma infine che le sedicenti "Br", che allora cercavano di irretire e ingannare i sinceri rivoluzionari, che noi non ci stancavamo di mettere in guardia, erano invece infiltrate ed eterodirette da tali forze occulte reazionarie, come burattini i cui fili vengono tirati da abili burattinai che si nascondono dietro le quinte, e che recitano soltanto un copione già scritto da qualcun altro e dal finale scontato.
15 gennaio 2014