In occasione del 17° congresso della CGIL rilanciamo la proposta sindacale dei marxisti-leninisti
Appoggiamo il documento due ma il nostro progetto è quello di creare dal basso un grande sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta
I congressi di base si avviano a conclusione e nonostante la disparità di forze il documento della sinistra sindacale, quello che vede primo firmatario Giorgio Cremaschi, dal titolo “il sindacato è un'altra cosa” ha ottenuto importanti risultati rispetto ai dati di partenza che lo vedevano sostenuto solo dal 3% dei componenti del direttivo nazionale. Purtroppo in molte piccole aziende non è stato possibile presentare il documento alternativo per scarsità di forze, ma nei luoghi di lavoro dove è avvenuto si è acceso il dibattito tra la destra della CGIL e la sinistra. Tra i tanti temi discussi c'è stato anche quello riguardante la democrazia nei luoghi di lavoro e all'interno del sindacato, all'ordine del giorno dopo la firma dell'accordo sulla rappresentanza e il duro scontro tra Landini e Camusso, con il primo che ha chiesto il ritiro della firma minacciando la disobbedienza della FIOM mentre la seconda è arrivata a chiedere l'espulsione del segretario dei metalmeccanici.
Rappresentanza e democrazia sindacale
Ma Landini, pur avendo ragione, si doveva svegliare prima perché il “Testo unico” firmato da CGIL, CISL e UIL il 10 gennaio non è altro che l'attuazione dell'accordo del 31 maggio 2013 da lui stesso accettato ed esaltato, tra lo sconcerto di molti lavoratori. Si sono opposti invece la Rete 28 Aprile della CGIL e i “sindacati di base”. Noi quell'accordo lo denunciammo subito dalle pagine del Bolscevico, perché andava incontro alle esigenze del padronato frenando la lotta sindacale e il diritto di sciopero, imponendo perfino sanzioni a chi non rispettava gli accordi firmati dai sindacati filo-padronali come CISL, UIL e UGL. In pratica se era già in vigore a Pomigliano la FIOM sarebbe stata estromessa dalla fabbrica per non aver accettato il modello Marchionne imposto dalla Fiat. Landini che cosa aveva letto? Non aveva capito in che direzione andava quell'accordo?
La discussione su una reale e ampia rappresentanza e democrazia sindacale si trascina da tempo e trova un certo spazio anche nei due documenti congressuali senza arrivare tuttavia a una soluzione soddisfacente, anzi, come abbiamo visto si va nella direzione opposta. Di fronte abbiamo dei lavoratori, e più in generale le masse popolari, che richiedono maggiore partecipazione, protagonismo, potere vincolante sulle piattaforme contrattuali e sulla scelta dei dirigenti, influenza su tutte le decisioni che li riguardano. Il PMLI risponde proponendo di costruire dal basso un grande sindacato di tutte le lavoratrici, i lavoratori, le pensionate e i pensionati fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori. Questo è l'obiettivo strategico dei marxisti-leninisti, questo è il nostro modello di sindacato lanciato dall'Ufficio politico del PMLI nel febbraio del 1993.
Come nasce il nostro modello di sindacato
Fu un radicale cambio di strategia. Prima di allora il PMLI sosteneva la necessità di lottare all'interno della CGIL, che tradizionalmente era il sindacato dei lavoratori e dei pensionati di sinistra sotto l'influenza dei partiti riformisti, PCI e PSI, per rovesciarne la linea e la direzione in senso di classe. Proprio in quel periodo, agli inizi degli anni '90, la CGIL aveva firmato una serie di patti con il governo e la Confindustria all'insegna della collaborazione, cogestione, subordinazione dei lavoratori agli interessi padronali, ingabbiando la classe operaia e le masse lavoratrici alla “politica dei redditi”, alla compatibilità capitalistica e spalancando le porte al precariato. Questa repentina accelerata verso destra portò a compimento una vera e propria mutazione genetica della Confederazione, omologandola sostanzialmente sul piano ideologico e programmatico a CISL e UIL, da sempre sindacati filo-governativi e filo-padronali, e integrandola completamente nel capitalismo. Era quindi preclusa la possibilità di farne un sindacato di classe ed era necessaria una nuova proposta aggiornata alla nuova situazione.
Gli sconvolgimenti ideologici, politici e organizzativi che ci sono stati dopo la liquidazione del PCI revisionista, la deideologizzazione e la decomunistizzazione della classe operaia e delle masse lavoratrici, la perdita di coscienza da parte della classe operaia di essere una classe generale e per sé, la formazione di diverse organizzazioni sindacali a sinistra della CGIL, il controllo tuttora maggioritario delle masse lavoratrici, dei pensionati e dei disoccupati da parte della "sinistra" borghese richiedevano da parte del Partito una proposta sindacale strategica che scompaginasse il campo sindacale vigente, liberasse i lavoratori e i pensionati dalla cappa della CGIL, della CISL e dell'UIL e permettesse loro di avere direttamente in mano tutto il potere sindacale e contrattuale. Rinunciando per questo da parte nostra alla concezione marxista-leninista classica, elaborata da Lenin, che assegnava al sindacato il ruolo di cinghia di trasmissione tra l'avanguardia organizzata del proletariato (il partito) e la classe operaia e le masse lavoratrici nel suo insieme, non più rispondente e coerente alla nostra nuova proposta.
Quello che è avvenuto successivamente non ha fatto altro che confermare e rafforzare le scelte fatte dal nostro Partito 20 anni fa perché la CGIL ha poi dimostrato di essere un sindacato borghese a tutti gli effetti, come dimostra anche la firma degli accordi del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013 che hanno permesso di scavalcare il contratto nazionale di lavoro sulla base delle esigenze padronali e restringere la democrazia sindacale fino a minare lo stesso diritto di sciopero con le sanzioni a chi lotta contro gli accordi peggiorativi. Non neghiamo che la CGIL in questi ultimi due decenni abbia avuto momenti in cui, a livello di massa, sia stata una delle poche forze che hanno contrastato gli industriali e i governi, in special modo quelli guidati dal neoduce Berlusconi, mentre l'”opposizione” parlamentare era in preda all'impotenza o era connivente. Ma la CGIL vi è stata costretta dalle circostanze, è stata un'opposizione obbligatoria perché non c'era alcun margine di trattativa, non c'erano le condizioni per la concertazione, la cogestione e la collaborazione perché Berlusconi ha tentato in tutte le maniere di emarginare e perfino eliminare del tutto la CGIL con la connivenza miserabile dei dirigenti di CISL e UIL. Però ogni volta che si formavano governi di “centro-sinistra” o “tecnici” i propositi di lotta e la mobilitazione si affievolivano immediatamente.
Non reputavamo allora, e nemmeno oggi, una valida alternativa alla CGIL i cosiddetti “sindacati di base”, USB, Cobas ed altri. Non ci sfugge certo che sono collocati più a sinistra rispetto alla CGIL e su molti temi hanno posizioni più vicine alle nostre ma non bisogna considerarne solo gli aspetti positivi ma anche i loro difetti, e non sono pochi. Ad esempio la loro impostazione anarcoide ed operaista, essi non distinguono tra partito e sindacato e di fatto si comportano come un partito politico, hanno un atteggiamento corporativo mancando spesso di una strategia generale, criticano la mancanza di democrazia dei confederali, la burocrazia e l'inamovibilità dei loro dirigenti ma, salvo qualche rara eccezione, sono quegli stessi difetti che si ritrovano nei loro piccoli sindacati. Ma sopratutto questi sindacati tendono a frazionare e dividere e non a unire i lavoratori e non hanno una larga base di massa, aggiungono nuove sigle a quelle esistenti anziché lottare per un unico sindacato anticapitalista.
Il sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati
La proposta del PMLI invece va oltre il sindacato degli iscritti e della delega e si basa sull'idea cardine della democrazia diretta: è quella di costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati. La democrazia diretta non ammette deleghe in bianco e senza controllo, e poggia sul protagonismo delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati nella lotta e nella gestione della vita sindacale nei luoghi di lavoro e nella contrattazione con i padroni e il governo. Un sindacato dove non sia un ristretto gruppo di burocrati istituzionalizzati a dettare le regole e le scelte, ma dove tutto il potere decisionale sia nelle mani dell'Assemblea generale dei lavoratori e dei pensionati.
Le caratteristiche principali del nostro modello sono: l'unità sindacale di tutti i lavoratori dipendenti (operai e impiegati di ambo i sessi e di tutte le categorie e i settori privati e pubblici) e di tutte le pensionate e i pensionati a basso reddito; la gestione della vita del sindacato fondata sulla democrazia diretta dal basso verso l'alto che significa dare il potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali e comporta la possibilità di revoca in ogni momento dei delegati e dei dirigenti non più riconosciuti come tali dalla base; l'assunzione di una piattaforma rivendicativa che abbia come unico scopo la conquista di migliori condizioni di vita e di lavoro, per quanto possibile sotto il capitalismo; il rifiuto a livello di principio della concertazione e del "patto sociale" con le “controparti” (governo e padronato) poiché è solo con la lotta di classe, con l'uso di tutti i metodi di lotta a disposizione che possono essere conquistati veri ed effettivi avanzamenti sociali per gli sfruttati e gli oppressi, come ad esempio ci ha recentemente dimostrato la lotta dei ferrotranvieri genovesi
Un sindacato come questo non può non essere autonomo e indipendente non solo dal governo e dal padronato, come è ovvio, ma anche dai partiti, compreso il Partito del proletariato, il PMLI. Anche Renzi invoca spesso l'autonomia dei sindacati rispetto ai partiti, minacciando di “rottamare” e “cambiare verso” alla CGIL se non si trasformerà ma noi, al contrario di Landini, non abbiamo nessun punto in comune con il Berlusconi democristiano sindaco di Firenze diventato segretario del PD. Renzi con queste affermazioni più che la CGIL autonoma dal PD vuole che il suo partito e i governi di cui fa parte non siano condizionati dalla CGIL, ovvero che sia libero di cancellare del tutto l'articolo 18, presentare proposte per il lavoro che non prevedono la riassunzione, liberalizzare ulteriormente il mercato del lavoro senza che la CGIL, che bene o male rappresenta milioni di lavoratori e pensionati, abbia modo di avanzare delle critiche o possa in qualche modo opporsi. Insomma una posizione assai simile a quella di Berlusconi che concepisce il sindacato esclusivamente come imbonitore dei lavoratori e puntello del governo.
Cosa fare adesso
La fondazione del sindacato proposto dal PMLI è un obiettivo strategico a lungo termine, anche perché il nostro volume propagandistico è minimo, non c'è alcuna eco sui media, e richiede il superamento di tutte quante le attuali organizzazioni sindacali. Nell'immediato cosa fanno i marxisti-leninisti? Anzitutto riconfermano la scelta di lavorare dentro la CGIL perché questo sindacato raggruppa ancora la maggioranza della classe operaia, senza però escludere la possibilità di operare anche in altri sindacati che si pongono alla sua sinistra, valutando l'opportunità secondo le varie situazioni sindacali concrete, la convenienza in base ai nostri obiettivi immediati e strategici, e purché essi abbiano un maggior legame con i lavoratori nei luoghi di lavoro dove siamo presenti oppure siano maggioritari nella categoria cui apparteniamo. Rispetto al prossimo congresso della CGIL appoggiamo il documento due di cui è primo firmatario Cremaschi perché è quello più vicino alle nostre posizioni e perché sostenendolo avremo maggiori possibilità di portare avanti anche le nostre posizioni specifiche potendole esporre a un numero maggiore di lavoratori e pensionati mentre presentarci singolarmente avrebbe significato fermarsi subito ai congressi di base. Sostenere il documento “il sindacato è un'altra cosa” significa fare fronte unito con la Rete 28 aprile e far parte anche concretamente della sinistra sindacale.
Rinunciare alla “cinghia di trasmissione” non significa che i marxisti-leninisti rinuncino a portare dentro il sindacato le loro proposte specifiche e a proporre il proprio modello di sindacato, tutt'altro! Il PMLI continua a sostenere la necessità di costituire la Corrente sindacale di Classe (CSC) che raggruppi i lavoratori e i pensionati che militano nel Partito, i simpatizzanti del Partito e tutti coloro che si riconoscono nella nostra proposta sindacale. La CSC permetterà di lavorare in modo organizzato dentro e fuori la CGIL per far crescere l'esigenza del sindacato unitario di tutti i lavoratori e i pensionati. Certo il Partito dovrà ancora crescere affinché sia realizzata la CSC. Ci sono state alcune esperienze, seppur allo stato embrionale, temporanee e limitate territorialmente, di compagni che di fatto hanno operato come CSC raggiungendo risultati significativi. Solo avendo una nostra forza sindacale organizzata, solo avendo una nostra base di consenso è possibile operare con efficacia e influire dentro e fuori la CGIL e in relazione al fronte unito con le altre forze della sinistra sindacale.
Speriamo che chi ci ascolta al Congresso della CGIL, soprattutto le operaie e gli operai più coscienti, informati e combattivi, o chi verrà a conoscenza della linea sindacale del PMLI si unisca ai marxisti-leninisti nella CSC per impedire alla destra della CGIL di combinare altri guai e per far divampare la lotta di classe in difesa dei diritti e dei bisogni delle masse lavoratrici, pensionate e disoccupate contro i padroni, il capitalismo e il loro governo affamatore Letta-Alfano.
12 febbraio 2014