Svenduto il patrimonio pubblico
Privatizzati Enav e Poste
Seguiranno gli altri gioielli di famiglia
Il governo mette sul mercato, a disposizione degli investitori privati, il 40% di Poste italiane e il 49% di Enav, la società che gestisce il traffico aereo civile, e a breve seguiranno gli altri gioielli di famiglia, aziende e immobili di proprietà pubblica per un totale di 12 miliardi solo per il 2014: il ghiotto annuncio è stato anticipato dal ministro dell'Economia Saccomanni al World economic forum di Davos, in un incontro a porte chiuse con gli investitori stranieri, presenti il segretario al Tesoro Usa Jack Lew e il governatore della banca centrale giapponese Harubiko Kuroda, alla vigilia del Consiglio dei ministri del 24 gennaio che insieme ad altri provvedimenti ha approvato uno schema di privatizzazione delle due aziende pubbliche.
“Nella riunione ci sarà il decreto privatizzazioni: si comincia con il 40 per cento di Poste. Poi vediamo”, aveva annunciato Saccomanni ai giornalisti a Davos, confermando che da queste due prime privatizzazioni il governo si aspetta di ricavare entro l'anno almeno 5-6 miliardi. Annuncio volto chiaramente a rassicurare anche il commissario Ue Olli Rehn, che ha già avvisato il governo italiano che dal bilancio presentato quest'anno mancano almeno 8 miliardi. Dall'Italia gli faceva eco Letta, sottolineando che i ricavi della vendita di Poste ed Enav andranno tutti “alla riduzione del debito, e sarà la prima volta dopo sei anni di crescita”. Una goccia nel mare, a dirla tutta, visto che il debito dell'Italia viaggia intorno a 2.100 miliardi di euro.
La vendita del 40% di Poste, che potrà avvenire “anche in più fasi”, verrà realizzata attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta per il 50-60% a “investitori istituzionali italiani e internazionali” (vale a dire banche, fondi di investimento, ecc.), e per la restante parte al pubblico, incluso un 5% riservato ai dipendenti che potranno usufruire di condizioni d'acquisto e di finanziamento agevolate, forse anche investendoci la liquidazione. Anche la vendita del 49% di Enav potrà avvenire in più fasi, ma oltre ad un'offerta pubblica di acquisto rivolta ad investitori istituzionali italiani ed esteri e al pubblico, inclusi i dipendenti, è prevista anche una trattativa diretta con investitori privati, come ad esempio certi fondi di investimento dei Paesi del Golfo e del Nord Europa che si sarebbero già fatti avanti. Trattative riservate sarebbero state avviate a Davos anche con la catena alberghiera Hilton per la vendita di immobili di pregio facenti parte del patrimonio pubblico da privatizzare.
Enav e Poste sono solo l'inizio
Più che una vendita, quindi, si tratta di una vera e propria svendita di aziende e beni pubblici considerati tra gioielli di famiglia, visto che Poste ed Enav sono aziende pubbliche tra le più importanti del Paese, ancorché solide e in attivo, e che questo è solo l'inizio, come ha ammesso anche Saccomanni: nel mirino del governo ci sono infatti anche Eni, Tag, Stm, Cdp Reti, Fincantieri, Grandi stazioni, Sace.
Poste italiane, per esempio, è un vero e proprio gigante nel panorama economico, con la sua rete di 13 mila uffici postali, 145 mila dipendenti, e 24 miliardi di ricavi che hanno prodotto 1 miliardo di utili nel 2012. Risultati raggiunti, dopo la trasformazione in società per azioni nel 1998, a prezzo di pesanti riduzioni di personale, massiccio ricorso al precariato e trasformazione degli uffici in sportelli bancari; tanto che oggi, sotto la guida dell'ex finiano Massimo Sarmi (amministratore delegato), e dell'ex sindacalista cislino Giovanni Ialongo (presidente) è diventata una banca a tutti gli effetti, che con i suoi 7 mila Postamat e 37 milioni di clienti fa concorrenza alle più importanti banche private. Attraverso la convenzione con la Cassa depositi e prestiti, infatti, Poste italiane raccoglie ogni anno per essa circa 45 miliardi di risparmi dei suoi clienti, una torta oltremodo golosa per i potenziali acquirenti.
Che succederà quando tra pochi mesi quasi metà del suo capitale sarà nelle mani di finanzieri e speculatori interessati non certo ai servizi alla collettività ma alla pura e semplice rendita finanziaria? “Succederà - ha dichiarato Massimo Cestaro, segretario generale della Slc-Cgil – quello che abbiamo già visto con la privatizzazione di grandi aziende: spacchettamenti, cessioni di rami poco redditizi coi lavoratori al seguito, vendita dei prezzi più pregiati”. Anche la Camusso si è detta “molto preoccupata per quel cominciamo” profferito da Saccomanni a Davos, aggiungendo che “le privatizzazioni non sono la strada per il rilancio. Stiamo parlando di un'azienda che ha un onere di servizio pubblico e di servizio universale che deve essere innanzi tutto garantito”. Ma al di là di questi brontolii di pancia la Cgil non è andata, e nemmeno un'ora di sciopero è stata proclamata per un fatto così grave come la svendita agli speculatori privati della più importante azienda pubblica italiana.
La Cisl invece, sindacato egemone nel settore grazie alla sua antica e capillare rete clientelare, è addirittura entusiasta dell'operazione, soprattutto per l'aspetto neocorporativo della partecipazione dei lavoratori all'azionariato di Poste italiane che, ha chiosato soddisfatto Ialongo, “aiuterà la crescita” dell'azienda. “Costruiremo assieme ai sindacati questo modello innovativo di partecipazione”, gli ha fatto eco con entusiasmo Sarmi.
Nel mirino della speculazione anche le municipalizzate
E pensare che il governo Letta-Alfano viene accusato di “inattività” da Confindustria! In realtà, come dimostrato in questi giorni con la vicenda Imu-Bankitalia e l'accelerazione sul capitolo privatizzazioni, questo governo in realtà è attivissimo ma, come un Robin Hood alla rovescia, nel regalare soldi alle grandi banche e svendere il patrimonio pubblico alla speculazione internazionale: vedi il recente viaggio da piazzista di Letta negli Emirati arabi, e vedi anche il nuovo condono per i capitali esportati illegalmente all'estero, che è stato approvato dal Cdm insieme alla privatizzazione di Enav e Poste.
E già la speculazione interna e internazionale fiuta profumo di arrosto e affila i coltelli in previsione di un lauto banchetto, come traspare anche da un'intervista de La Repubblica
del 24 gennaio a Gianni Tamburi, già commissario di Giuliano Amato alle privatizzazioni nel 1991, nella cui veste avviò la trasformazione di Eni ed Enel in Spa, e attualmente maggiore azionista di Tip (il conflitto di interessi è prassi comune in Italia), una finanziaria le cui quotazioni in Borsa sono cresciute del 53% nel 2013. Rispondendo infatti all'osservazione che il centinaio di miliardi in tutto ricavabile dalle privatizzazioni, da lui ipotizzato, sarebbero solo il 5% del debito pubblico, una goccia nel mare, Tamburi risponde: “Sì, ma con tante gocce si torna a galla. E poi fin dal 1991 abbiamo sempre detto che le privatizzazioni non si fanno per incassare ma per cambiare la cultura del paese. Il privato che gestisce è sempre meglio del pubblico”.
E all'ovvia obiezione dell'intervistatore, facente notare che almeno per Telecom e Autostrade così non è stato, il finanziere rilancia: “E' chiaro che ci vogliono authority con persone competenti in grado di sorvegliare sui settori più delicati. Io non vedo controindicazioni alle privatizzazioni. Anzi, obbligherei i sindaci delle grandi città a vendere tutte le partecipazioni nelle ex municipalizzate prima di chiedere altri trasferimenti di soldi pubblici. Se il sindaco di Roma alzasse il telefono venderebbe la quota di Acea in un baleno incassando un miliardo. Lo stesso a Milano e a Brescia con A2a”.
Alla faccia della spudoratezza e del referendum del 2011 sull'acqua pubblica!
19 febbraio 2014