Pier Carlo Padoan, l'economista apprezzato da FMI, UE, BCE e Banca mondiale
Economista, romano, 64 anni, Pier Carlo Padoan è stato docente di economia all'Università La Sapienza e in diverse altre prestigiose università all'estero, nonché direttore per tre anni della Fondazione politica Italianieuropei
di D'Alema e Amato. Nel 1998 D'Alema lo volle come suo consigliere economico affidandogli importanti incarichi internazionali per il suo governo, ruolo che continuò a svolgere fino al 2001 anche per conto del successivo governo Amato. Padoan entrò allora a far parte di quella squadra di economisti, guidati da Nicola Rossi per conto del capofila dei rinnegati, che si ispiravano ai “successi” neoliberisti di Tony Blair, lavorando in stretto contatto con il sottosegretario uscente agli Esteri del governo Letta, Marta Dassù.
Dal 2001 al 2005, grazie ad Amato, ha ricoperto la carica di direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale (Fmi), lavorando in quegli anni in perfetto affiatamento tanto con il ministro Visco (“centro-sinistra”), quanto con il suo successore di “centro-destra” Tremonti. Lo stesso Bersani aveva pensato a lui quando per qualche tempo aveva accarezzato l'illusione di formare un suo governo. Ma Padoan ha avuto anche importanti incarichi nella Banca mondiale e nel Collegio d'Europa a Bruges ed è stato consulente della Ue e della Bce. Dal 2007 ha assunto la carica di vicesegretario generale dell'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo dei paesi industrializzati con sede a Parigi, diventandone a fine 2009 anche capo economista. Nel 2011 è stato nominato dal capo dello Stato Grande ufficiale al merito della Repubblica. Il 27 dicembre scorso Letta lo nominò presidente dell'Istat, in sostituzione del ministro uscente del Lavoro Giovannini, carica che però non ha fatto in tempo ad assumere essendo stato chiamato da Renzi e Napolitano a dirigere lo strategico dicastero dell'Economia.
La chiamata gli è arrivata mentre era in trasferta, in qualità di vicesegretario dell'Ocse, al G20 di Sidney in corso mentre si svolgevano le consultazioni per la formazione del nuovo governo. Vertice a cui il suo predecessore Saccomanni non era voluto andare per risparmiarsi l'umiliazione di doversene tornare a casa anzitempo. Al ministero dell'Economia Renzi avrebbe preferito un politico anziché un altro tecnico, per marcare una discontinuità con i due precedenti governi, tanto che per qualche giorno era circolato anche il nome del suo braccio destro Graziano Delrio. Ma Napolitano è stato categorico: per quella carica occorreva assolutamente un nome che fosse conosciuto e affidabile per gli organismi finanziari internazionali, per la Ue e la Bce, e per le cancellerie europee. Un ministro capace cioè di garantire la massima continuità con la politica di rigore seguita dai due precedenti governi, e sotto questo profilo uno come Padoan offriva le massime garanzie.
Da tempo, infatti, come responsabile per l'Ocse del programma Going for growth
, a cui è ispirato anche il “piano per il lavoro” di Renzi, Padoan suggeriva per l'Italia una ricetta economica liberista per la ripresa basata sul taglio delle tasse alle imprese e la riduzione del costo del lavoro da finanziarsi con robusti tagli alla spesa pubblica, oltre a un massiccio piano di liberalizzazioni e privatizzazioni, a cominciare dall'energia. Tra i suoi primi atti di governo ci sarà quindi da aspettarsi quello di applicare fin da subito la Spending Review
del commissario Carlo Cottarelli, la cui relazione è già sul suo tavolo, e che si propone di tagliare ben 32 miliardi in tre anni alla spesa per la pubblica amministrazione e per sanità, scuola, pensioni e tutti gli altri servizi assistenziali e sociali.
In questo quadro di “risparmi” rientrano anche la mobilità e i licenziamenti per i dipendenti pubblici, in parallelo con l'abolizione dell'articolo 18 e la libertà di licenziamento nel settore privato, e non a caso il neo titolare del dicastero di via XX Settembre è molto stimato anche dall'economista berlusconiano Brunetta. Infatti il motto di Padoan è: “Tutelare di più il reddito dei lavoratori e meno il posto di lavoro in sé”. Un programma che si sposa perfettamente con la ricetta Ichino adottata da Renzi nel suo “Jobs Act”. L'economista premio Nobel keynesiano Paul Krugman, nel suo blog sul New York Times
, ha scritto che l'Ocse da lui diretta fornisce “i consigli peggiori di qualunque organizzazione internazionale: peggio della Commissione europea, peggio persino della Bce”. Il che è tutto dire. Krugman non risparmia giudizi sferzanti neanche sulla sua persona, accusandolo di essere “fra i più grandi sostenitori dell'austerità, che con il loro tifo hanno spinto l'Europa al disastro”.
Non manca inoltre chi ha osservato che con lui il rinegato D'Alema rimetterebbe il suo zampino anche su questo governo, in barba a Renzi che si vanta di averlo “rottamato”. Certamente la lobby che sta dietro all'ex premier e alla sua fondazione Italianieuropei
continuerà ad avere il suo peso e cercherà avere voce in capitolo col Berlusconi democristiano che si appresta a ridisegnare a suo favore gli equilibri di potere, specie ora che Padoan e Renzi stanno per affrontare l'importante partita delle nomine ai vertici dell'amministrazione dello Stato e delle aziende pubbliche.
26 febbraio 2014