La “smisurata ambizione”, l'arroganza e l'egocentrismo del berlusconi democristiano Renzi
Nato a Firenze l'11 gennaio 1975, figlio di un ex consigliere comunale democristiano di Rignano sull'Arno poi diventato imprenditore, il Berlusconi democristiano Matteo Renzi inizia a sperimentare la sua vocazione leaderistica, a detta di chi lo conosce evidente fin da bambino, nell'organizzazione giovanile cattolica degli Scout, e successivamente al liceo classico “Dante” di Firenze, dove viene eletto rappresentante di istituto. A 19 anni mette già in mostra la sua istintiva dimestichezza con quella televisione che tanta parte avrà poi nella costruzione della sua immagine personale e politica, partecipando con successo come concorrente al programma di Canale 5
“La ruota della fortuna”.
Nel 1996 esordisce nell'arena politica con i Comitati per Prodi della Toscana e inscrivendosi al Partito popolare (la ex DC), diventandone nel 1999 il segretario provinciale a Firenze. In quello stesso anno si laurea in Giurisprudenza con una laurea sul sindaco DC La Pira, e due anni dopo lo ritroviamo coordinatore della Margherita a Firenze, e quindi di nuovo segretario provinciale nel 2003. Con le elezioni del 2004 inizia la sua “irresistibile” ascesa politica diventando presidente della Provincia di Firenze, carica che lascerà nel 2009 ma solo per entrare da outsider trionfatore a Palazzo Vecchio. In questo periodo inizia a costruire la sua narrazione propagandistica preferita, quella della lotta agli sprechi e alla “casta” dei vecchi politici, e si vanta di aver ridotto le tasse provinciali e gli sprechi di gestione, ma nel 2012 la Corte dei conti ha aperto un'indagine per spese di rappresentanza sospette della sua giunta per un ammontare di 600 mila euro. Inoltre, secondo un'inchiesta de Il Fatto Quotidiano
di quello stesso anno che riportava di un'indagine del ministero del Tesoro, Renzi avrebbe provocato un danno erariale di 6 milioni alla Provincia attraverso un affidamento di servizi a prezzi gonfiati alla società in house
“Florence Multimedia”.
Alla conquista di Palazzo Vecchio
Nel 2008 rifiuta i consigli di ricandidarsi alla Provincia (istituzione di cui intuisce l'ormai prossima fine e troppo stretta per lui) e si candida invece alle primarie del “centro-sinistra” per la corsa a sindaco di Firenze. Il suo slogan è : “O cambio Firenze o cambio mestiere e torno a lavorare”. Primarie che vince contro ogni previsione battendo nettamente il suo capocorrente, deputato e responsabile esteri nazionale del PD Lapo Pistelli, e stracciando addirittura il candidato dalemiano Michele Ventura. Segno evidente che su di lui hanno cominciato a puntare i settori affaristico-politici e i salotti più importanti della città: come Paolo Fresco, ex presidente della Fiat, suo grande sostenitore e sovvenzionatore di tutte le campagne elettorali, e dal quale è stato ripagato con la concessione del Fiorino d'oro. Come Giovanni Gentile, l'allora presidente di Confindustria fiorentina nipote del filosofo fascista giustiziato dai partigiani, e poi gli industriali Fratini, Bona Frescobaldi e Wanda Ferragamo. In un'intervista al Corriere della Sera
, a proposito della tendenza naturale di Renzi al killeraggio politico manifestatasi già in quell'occasione, Pistelli ha detto: “Matteo è talmente rapido da farti venire il mal di testa. Ed è sistematico il modo in cui colpisce. Sempre allo stesso modo. Come un serial killer. Prenderlo è difficile. E anche le rare volte che perde, c'è sempre una botta di culo a rimetterlo in pista. Ha la provvidenza dalla sua”.
Alle comunali del 2009 Renzi vince al ballottaggio il candidato del “centro-destra” Giovanni Galli e si insedia a Palazzo Vecchio, facendone un fortino elettorale che ancora una volta lascerà solo per entrare in un altro ben più in alto: Palazzo Chigi, che visto retrospettivamente sembra quasi essere stato la meta sempre sognata e a cui tendeva fin da giovane democristiano la sua “smisurata ambizione” (copyright
dello stesso Renzi). Anche lo slogan è sempre lo stesso delle primarie del 2008 da cui è partita la sua personale marcia su Roma, slogan nel quale ha solo sostituito la parola “Firenze” con “Italia”.
Dimostrando infatti di aver già allora ben in mente la meta finale, appena un anno dopo la conquista della poltrona di neopodestà, Renzi lancia la sfida alla vecchia nomenclatura ex revisionista ed ex democristiana del PD “che ha perso contatto con la realtà”, proclamando di volerla “rottamare senza incentivi”. Il suo messaggio è sostanzialmente semplice quanto assai furbesco e di facile presa propagandistica: fare largo ad una nuova generazione più in sintonia con i tempi moderni in cui le ideologie sono morte, la lotta di classe è un ferrovecchio e i confini tra destra e sinistra sono ormai spariti, lasciando il campo ad un'unica discriminante politica: quella tra i vecchi e i giovani. E per dimostrare che le vecchie categorie politiche amico-nemico sono finite, nel dicembre 2010 va ad Arcore a pranzo da Berlusconi, dando in modo studiato il via con ciò a un'onda lunga che meno di quattro anni dopo approderà al famigerato patto sull'”Italicum” e sulle “riforme” istituzionali e costituzionali che completano il piano della P2 scritto a due mani da Renzi e Verdini.
Gli “strani” rapporti con Verdini
Del resto già da tempo il neoduce aveva messo gli occhi su di lui con simpatia, considerandolo quasi come un suo figlioccio politico momentaneamente prestato all'altro schieramento. Verdini aveva cominciato a seguirne le mosse e ad intrecciare con lui un fitto rapporto personale fin dalla sfida elettorale del 2009, intuendo i futuri successi del personaggio. Lo stesso Giovanni Galli ha raccontato di recente a Il Fatto Quotidiano
di essersi sentito scaricato da Verdini, che puntava ormai su Renzi, già all'indomani del ballottaggio con Renzi alle comunali del 2009: “Gli dicevo 'abbiamo fatto un ottimo risultato, ora lavoriamo per vincere nel 2014'; risposte? Zero. E allora ho cominciato a farmi qualche domanda”, dice Galli, che pensando ai rapporti Renzi-Verdini e ripassando mentalmente quegli anni si domanda: “Pensiamo ai lavori pubblici e a chi erano stati assegnati, quali imprenditori interessavano? L'area Castello era Ligresti (Fondiaria-Sai, stretto amico di Berlusconi, ndr), la caserma dei marescialli era Fusi (socio della “cricca” degli appalti, ndr). Qualcuno venne anche arrestato. Poi Tramvia, Etruria, Tav... il dubbio è più che legittimo; solo il dubbio, per carità”.
Poche settimane prima del pellegrinaggio ad Arcore, Renzi aveva tenuto con grande pubblicità la prima assemblea nazionale della sua corrente alla Leopolda di Firenze, esperienza che poi ripeterà nell'ottobre 2011 sempre alla Leopolda, con la tre giorni denominata Big Bang
sotto la sapiente regia del “mago” delle reti Fininvest Giorgio Gori, e con la partecipazione di scrittori di grido come Baricco e Nesi, imprenditori come Guido Ghisolfi (dell'omonima azienda chimica), Martina Mondadori (editrice), Maria Paola Merloni (Indesit), Alberto Castelvecchi (Panorama
), economisti come Zingales, il giuslavorista Piero Ichino, e politici come Sergio Chiamparino, Arturo Parisi, Ermete Realacci, Graziano Delrio ecc.
Davanti alla Leopolda Renzi è contestato duramente da chi non si fa abbindolare dalle sue sparate mediatiche e dalla sua fraseologia inconsistente, come i lavoratori dell'Ataf, quelli del Maggio Musicale e i dipendenti comunali, gli oppositori del tunnel della Tav sotto la città e i comitati contro gli inceneritori, che hanno già assaggiato le sue smanie antisindacali e autoritarie che fanno a pugni con l'immagine idilliaca della Firenze da lui amministrata che i media di regime e i sondaggi di opinione gli accreditano. Ormai la sua concezione personalistica, interclassista, carrieristica e liberistica della politica, dell'economia e della gestione del potere è venuta compiutamente a galla, come con l'appoggio sperticato a Marchionne nella vertenza di Pomigliano, con la simpatia verso le politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro di Ichino, Boeri e Zingales (che riprenderà poi nel suo “Jobs Act”), con le smanie privatizzatrici e di tagliare la spesa pubblica e la “partitocrazia”, che non per nulla gli valgono l'appellativo di “nuovo Tony Blair”.
Un fitto intreccio di appoggi e relazioni
Mano a mano che il suo ambizioso disegno politico si precisa e progredisce di tappa in tappa, emergono sempre più anche le forze palesi e occulte, nazionali e internazionali, che lo foraggiano e lo sostengono, in quantità tale che occorrerebbe almeno una pagina per elencarle tutte. Tra gli imprenditori l'industriale Diego Della Valle, patron della Fiorentina e azionista del Corriere della Sera
(grande sponsor della scalata di Renzi a Palazzo Chigi), il magnate Carlo De Benedetti editore de L'Espresso
e La Repubblica
, il re del made in Italy
alimentare, Oscar Farinetti, e Luca Cordero di Montezemolo, al quale Renzi mise a disposizione il Ponte Vecchio a prezzo ridicolo per una kermesse pubblicitaria della Ferrari.
Fitto anche l'intreccio di amici e stretti collaboratori fiorentini che ne curano i rapporti con gli ambienti che contano, come l'ex manager della Bce Lorenzo Bini Smaghi, oggi presidente di Snam e membro del Cda di Morgan Stanley, come l'ex presidente di Ataf e attuale assessore alla mobilità Filippo Bonaccorsi, come il dirigente dello sviluppo urbano Giacomo Parenti, e il vicesindaco, ora suo facente funzioni e candidato a succedergli a Palazzo Vecchio, Dario Nardella. Ma soprattutto c'è l'ex capo della segreteria di Renzi e consigliere della già menzionata “Florence Multimedia” Marco Carrai, la sua ombra che lo segue dappertutto, una inquietante figura di cattolico “tradizionalista” con mille relazioni più o meno occulte che vanno dall'Opus Dei alla Compagnia delle opere (Comunione e liberazione), il vero e proprio anello di collegamento tra il “cerchio magico” renziano con la massoneria e gli ambienti internazionali.
Secondo il quotidiano confindustriale Il Sole 24 Ore
Carrai cumula una quantità impressionante di cariche di primo piano: è consigliere dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze (importante azionista di banca Intesa nel cui consiglio siede Jacopo Mazzei, figlio di Lapo, ndr), amministratore delegato di Firenze Parcheggi, presidente di Aeroporto di Firenze Spa, membro del Cda della Banca di credito cooperativo di Impruneta e della Banca di credito cooperativo del Chianti fiorentino. Nonché socio, presidente o direttore di numerose società private in Italia, in alcune delle quali siede accanto all'ex presidente di Enel Chicco Testa e a Marco Bernabé, figlio di Franco, che è stato in predicato per il posto di ministro dell'Economia andato poi a Padoan. Particolarmente interessante la partecipazione di Carrai nel consiglio di sorveglianza della lussemburghese Wadi Ventures Sca, omonima del fondo israeliano Wadi Ventures di cui è socio fondatore un veterano dell'unità spionistica 8200 dell'esercito israeliano, una sorta di Nsa americana.
Interessante anche l'amicizia di Carrai con Matt Browne, stretto collaboratore di Tony Blair e consigliere di Obama, e quella col famigerato neocon Michael Ledeen, ex collaboratore di Reagan e di Bush figlio, noto per l'operazione segreta Iran-Contras e per essere stato al servizio del generale piduista Santovito, nonché amico di Craxi e di Cossiga. Notevole il fatto che quando agli inizi del 2011 Ledeen esortò dal suo blog ad intervenire per bombardare la Libia, prontamente Carrai scrisse una lettera a La Repubblica invitando i lettori a sottoscrivere un “fondo di solidarietà” in favore dei rivoltosi libici.
Ed è stato sempre stato Carrai a far conoscere Renzi al nuovo ambasciatore americano John Phillips, che il 15 novembre 2013 fu ricevuto con tutti gli onori a Palazzo Vecchio, poco prima che il neopodestà fiorentino scatenasse la manovra che ha portato alla cacciata di Letta e alla sua sostituzione a Palazzo Chigi. Anche Tony Blair lo incoraggia entusiasticamente ed ha chiesto il sostegno europeo al suo governo: “Le sfide sono assolutamente formidabili, ma Matteo ha il dinamismo, la creatività e la forza per farcela, con la combinazione di realismo e idealismo necessari per i tempi che viviamo”, ha dichiarato l'ex premier britannico.
L'assalto finale a Palazzo Chigi
Nel giugno 2012 Renzi organizza la seconda edizione del Big Bang
al Palacongressi di Firenze che lo lancia alle primarie di settembre del “centrosinistra”, in previsione delle elezioni politiche che sono ormai alle porte: è la sua grande occasione per dare la scalata alla leadership del PD, ma i tempi non sono ancora maturi e viene sconfitto dagli ex revisionisti e dagli ex popolari trincerati dietro Bersani. La strada però è già tracciata, e l'occasione, questa volta favorevole, non tarderà a ripresentarsi pochi mesi dopo, quando la mezza sconfitta elettorale del PD alle politiche del febbraio 2013, il fallimento con dimissioni di Bersani e la nascita del governo Letta delle “larghe intese” con Berlusconi, lo riportano improvvisamente alla ribalta come unico possibile leader “nuovo”, capace di guidare e far tornare a vincere un partito sempre più abbandonato dagli elettori e allo sbando.
Da qui in poi la strada per lui sarà tutta in discesa, fino alle primarie dell'8 dicembre 2013, vinte a mani basse sul principale sfidante Cuperlo, con le quali ha espugnato la segreteria, e che hanno visto la resa senza condizioni della vecchia dirigenza dalemiana e bersaniana, con i “giovani turchi” di Orfini e Orlando in testa. E infine, con un irresistibile crescendo, il patto con Berlusconi, portato praticamente in trionfo al Nazareno, sulla legge elettorale e le “riforme”, fino al siluramento di Letta con il colpo di palazzo del 13 febbraio 2014 e la fulminea nomina a presidente del Consiglio da parte di Napolitano.
“Partenza grandiosa... governo perfetto... Renzi, come Berlusconi, è un colpo di scena vivente”, lo salutava entusiasta Ferrara dalle pagine de Il Foglio
: “Se sta attento a non litigare con il Cav, se non per finta, il Cav coautore di questo capolavoro che ha la metà dei suoi anni, ce la farà”.
26 febbraio 2014