Ucraina
Vittoria della rivolta popolare contro il regime filorusso oppressore e affamatore
Yanukovich, deposto dal parlamento e scaricato dal suo partito, fugge da Kiev
Accordo per un governo di “unità nazionale”
L'accordo firmato il 21 febbraio a Kiev tra il presidente Viktor Yanukovich e i leader dei principali partiti di opposizione, alla presenza dei ministri degli Esteri di Francia, Germania e Polonia e del rappresentante diplomatico russo che prevedeva la formazione di un governo di “unità nazionale”, il ritorno alla costituzione del 2004 che limita i poteri presidenziali e per la convocazione di elezioni anticipate sembrava segnare una nuova tregua nello scontro in corso nel paese da quasi tre mesi. Soddisfatti dell'intesa gli Usa e la Ue, non tanto la Russia che comunque aveva già mandato segnali di disimpegno verso il suo protetto Yanukovich. I coordinatori delle proteste dal presidio di piazza Maidan a Kiev accettavano l'accordo ma non lo ritenevano del tutto sufficiente insistendo sulla richiesta delle dimissioni del presidente mentre nell’ovest dell'Ucraina i manifestanti continuavano a occupare i palazzi del governo. La successione degli avvenimenti sarà proprio quella dettata dalla piazza, la continuazione della rivolta popolare fino alla vittoria contro il regime filorusso oppressore e affamatore; nelle successive 48 ore col presidente filorusso scaricato dal suo partito, deposto dal parlamento e in fuga dalla capitale la realizzazione dell'accordo sarà gestita dal nuovo presidente ad interim e da un esecutivo provvisorio.
La protesta di piazza, che avrà il suo centro a Kiev nella tendopoli allestita in Piazza Maidan, iniziava il 21 novembre scorso quando Yanukovic respingeva gli accordi di associazione con l'Unione Europea (Ue). La rottura era sancita nel vertice di Vilnius del 27 novembre ma già il 24 novembre oltre 100 mila manifestanti sfilavano per le strade della capitale contro la decisione del governo. L'1 dicembre la protesta cresce e a Kiev iniziava l'occupazione del palazzo municipale, seguita successivamente dall'occupazione di municipi e sedi istituzionali in gran parte del paese, soprattutto nelle regioni centrali e dell'ovest, da parte dei sostenitori dei principali partiti di opposizione filo-Ue le cui fila erano rinforzate da alcuni oligarchi che dopo aver accumulato sotto Yanukovich ingenti fortune con le privatizzazioni e acquisito il controllo di imperi economici cambiavano fronte per rivolgersi verso i paesi imperialisti europei con i quali pensano di continuare a rimpinguare il loro portafoglio. Yanukovich tornava dalle visite in Cina e Russia con la promessa di oltre 20 miliardi di dollari in aiuti a sostegno dell'economia ucraina vicina al collasso ma il braccio di ferro stava diventando qualcosa di più di uno scontro tra filo russi e filo-Ue, che comunque resta, con la crescita di un forte malcontento popolare contro il corrotto governo centrale.
Una rabbia alimentata dalle condizioni delle famiglie ucraine che sono tra le più povere in Europa e sopravvivono con redditi medi mensili di neanche 300 euro a fronte di un pugno di borghesi che detiene una ricchezza pari a un quinto del pil ucraino. Senza considerare che le misere condizioni di vita costringono all'emigrazione quasi un terzo della popolazione attiva. Il bersaglio della rivolta popolare diventava il regime filorusso di Yanukovic e la richiesta gridata nelle piazze era quella delle sue dimissioni.
Il regime tentava la carta della repressione con l'approvazione in parlamento di leggi anti-manifestazione. Le leggi erano approvate il 16 gennaio 2014 ma già il 28 gennaio erano ritirate a fronte di una esplosione della rivolta popolare che contava i primi morti. Fino alla caduta del regime il numero delle vittime salirà a oltre 80 morti ma varie fonti ne contano fino a 100. Assieme alla legge cade anche il governo del premier Azarov, sacrificato dal presidente Yanukovic per accontentare parzialmente le opposizioni e tentare la tattica della carota dopo quella rivelatasi inutile del bastone.
Nei negoziati tra le parti a fine gennaio si discuteva di una riforma costituzionale e di elezioni anticipate; il 16 febbraio i manifestanti lasciavano il municipio di Kiev e altre sedi istituzionali occupate dall'inizio della protesta. Ma due giorni dopo, nel momento in cui il parlamento iniziava a discute le modifiche costituzionali proposte dal regime ma non quelle dell'opposizione la protesta ripartiva con forza. Il 18 febbraio nell'assalto al parlamento e alla sede del partito di Yanukovic e nei duri scontri coi reparti speciali della polizia si contavano quasi 30 morti e centinaia di feriti. Ancora più pesanti gli scontri del 20 febbraio quando il numero dei morti raggiungeva gli 80.
In seguito alla strage causata dagli agenti che sparavano sui manifestanti la Ue pensava alle sanzioni ma il peggiore segnale per Yanukovic veniva da Mosca. Il premier russo Dimitri Medvedev confermava il 20 febbraio il congelamento della seconda tranche da 2 miliardi di dollari del promesso prestito russo di 15 miliardi affermava che “è necessario che i nostri partner siano in forma e che il potere ucraino sia efficace e legittimo e non diventi uno zerbino”. La Russia imperialista di Putin avvisava che era pronta a scaricare il cavallo perdente che non reggeva le pressioni dell'imperialismo europeo e americano e la rivolta di piazza. E il giorno successivo a Kiev la delegazione russa era presente alla trattativa tra le parti ucraine e i ministri degli Esteri dei paesi europei ma non firmava l'accordo su voto anticipato, nuovo governo di unità nazionale e riforma costituzionale.
In parlamento il partito delle Regioni di Yanukovich si sgretolava e perdeva un quarto dei deputati, il presidente perdeva la maggioranza e la nuova che si creava votava per la sua destituzione accusandolo di crimini contro l'umanità. In successione la Rada ucraina votava per la scarcerazione della Tymoshenko, la leader dell'opposizione in galera del 2011; nominava un nuovo presidente ad interim, Oleksandr Turčinov, braccio destro della Tymoshenko e ex capo dei servizi segreti; convocava le elezioni anticipate per il 25 maggio prossimo.
Da Mosca il premier Medvedev affermava che “è in atto una minaccia ai nostri interessi e alla vita e all'incolumità dei cittadini russi", definiva il riconoscimento offerto dall'Ue e dagli Usa come "un'aberrazione" e annunciava che il suo governo avrebbe rivisto l'accordo sulle le forniture di gas a prezzi ridotti e ventilato la possibilità di un aumento dei dazi nel caso di un accordo di associazione tra Kiev e l'Ue. La chiusura dei mercati russi alle esportazioni agricole ucraine e la fine del regime di agevolazione della fornitura di gas sono minacce pesanti per il governo di transizione di Kiev e per quelli futuri.
Quanto sia pesante le situazione lo ha sottolineato il nuovo presidente Turchinov il 25 febbraio nell'intervento in parlamento quando ha affermato che se non arriveranno aiuti il paese non potrà onorare i 13 miliardi di dollari di debiti esteri e rischia la bancarotta. Il Fondo monetario internazionale (Fmi), gli Usa e la Ue si sono offerti di coprire il fabbisogno di circa 25 miliardi di euro in due anni per sostenere Kiev. Il segretario al Tesoro Usa, Jack Lew, e il direttore dell'Fmi, Christine Lagarde, hanno convenuto che l'Ucraina avrà bisogno di "un sostegno multilaterale e bilaterale per un programma di riforme" e hanno promesso consulenze e finanziamenti dal Fondo se "un governo nel pieno dei poteri" ne farà richiesta. Se Mosca lascia la presa gli imperialisti europei e americano sono pronti a stringerla a sé.
Come ha sostenuto l'ex presidente polacco Aleksandr Kwasniewski, che ha ricoperto la carica dal 1995 al 2005 e ha portato Varsavia nella Nato, “l'Ucraina è parte delle nostre dirette responsabilità. Un confronto duro, la possibilità di secessione di alcune regioni, le ingerenze di chiunque in quel paese, colpiscono direttamente gli interessi strategici dell'Europa. Non è un gioco di rimbalzi come accade per altre aree del pianeta: accade tutto qui, a casa nostra". Nel cortile di casa dell'imperialismo europeo ma nella zona contesa da quello russo.
26 febbraio 2014