Giuliano Poletti
Un padrone al Lavoro, il re delle Coop alla corte di Renzi
Giuliano Poletti, presidente della Legacoop nazionale dal 2002 e dell'Alleanza delle Cooperative italiane dal 2013, è stato scelto da Renzi per guidare il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del suo governo, altrimenti detto del Welfare. Il sessantaduenne imolese proviene dall'ex PCI revisionista, nelle cui file iniziò la sua carriera politica come assessore alle Attività produttive di Imola dal 1976 al 1979, proseguita come segretario della Federazione di Imola dal 1982 al 1989 e successivamente come consigliere provinciale per il PDS a Bologna.
Nel 1992 entra nel mondo delle cooperative “rosse”, da sempre controllate dall'ex PCI e dalle sue filiazioni, con la carica di presidente di Efeso, ente di formazione della Legacoop dell'Emilia-Romagna, e nel giro di dieci anni viene nominato presidente della Legacoop di Imola, presidente della Legacoop regionale, vicepresidente della Legacoop nazionale, e infine nel 2002 presidente della Legacoop nazionale. Carica che dal 2013 cumula con quella di presidente dell'Alleanza delle cooperative italiane, che raggruppa tutte le coop bianche e “rosse” del Paese, quando è subentrato a Luigi Marino, eletto senatore di Scelta civica alle scorse elezioni.
Un rappresentante della classe padronale a tutti gli effetti, quindi, dato che da tempo le cooperative sono tali solo di nome e si sono trasformate in tutto e per tutto in aziende capitalistiche dedite solo al profitto, al pari di tutte le aziende pubbliche o private che stanno sul mercato. E come potrebbe essere altrimenti, in un'economia capitalistica ormai prevalentemente liberistica come quella che dagli anni '90 in poi si è affermata in Italia?
Del resto è molto difficile pensare ancora oggi alle coop come alle vecchie cooperative storiche di mutuo soccorso create dai lavoratori a fine Ottocento, visto che si parla di una realtà che raggruppa 15 mila imprese, con quasi mezzo milione di dipendenti, 8 milioni di soci e un fatturato di 56 miliardi di euro. Dunque, anche Poletti, né più né meno della sua collega allo Sviluppo economico, Federica Guidi, è un ministro in palese conflitto di interessi con la sua attività di imprenditore, anche se lui dice che il problema “non esiste”. Tanto più in quanto dirige un dicastero che dovrebbe fare da “arbitro” tra padroni e lavoratori.
Considerato per anni vicinissimo al presidente dell'Emilia-Romagna Vasco Errani e a Massimo D'Alema, già proposto per una candidatura in parlamento, Poletti si era smarcato per tempo fiutando la “novità” Renzi: “Con il sindaco ci siamo visti diverse volte alle assemblee della Legacoop a Firenze. I nostri reciproci pensieri sono noti. Con Delrio ci conosciamo ancora meglio”, ha ammesso appena nominato ministro. Come presidente di Alleanza cooperative Poletti vanta ovviamente anche ottimi rapporti con il mondo delle cooperative cattoliche, e segnatamente con Comunione e liberazione, di cui è sempre ospite fisso al meeting di Rimini. Con loro coltiva da tempo l'idea, che ora cercherà di mettere in pratica come ministro, di utilizzare i suoi rapporti col mondo del no profit
per “sfruttare la leva del servizio civile”, anche con fondi della Ue, nel quadro del “piano per il lavoro” di Matteo Renzi.
Non a caso il premier, nel presentare la lista dei ministri, ha detto: “Mi piace pensare che nel mandato di Poletti ci sia anche una delega al Terzo settore, dal quale può uscire una opportunità di cambiamento”: volontariato e “solidarismo” cattolico invece di vera occupazione per i giovani, insomma. L'importante, come ha dichiarato infatti Poletti a L'Unità
, è “che abbiano una cosa da fare. Non possiamo permetterci di avere una grande ricchezza inattiva. Per questo io credo che sia importante anche l'economia solidale, il mondo del terzo settore, che dà il protagonismo ai cittadini... per me il terzo settore è una leva essenziale allo sviluppo del Paese”.
Altre idee tipicamente “renziane” del bagaglio di Poletti, nel senso che - come quella dello sfruttamento del volontariato per sussidiare i servizi dovuti da Stato ed Enti locali - si sposano perfettamente con il programma liberista del Berlusconi democristiano, sono la “flessibilità” sui licenziamenti, con “tutele da estendere gradualmente per accompagnare la crescita aziendale”, i contratti aziendali e territoriali da privilegiare rispetto a quelli collettivi, e la cogestione aziendale, per la quale intende mettere a frutto l'esperienza accumulata alla direzione delle coop: “Io credo che ora più che mai ci sia bisogno di cinghie di trasmissione forti tra cittadini, welfare, capitale e politica”, ha dichiarato in proposito il nuovo ministro.
Insomma un padrone deciso a difendere gli interessi del padronato, col metodo della “concertazione” tra sfruttati e sfruttatori, ossia negoziando l'applicazione della sua politica antioperaia coi vertici sindacali collaborazionisti.
5 marzo 2014