Al Consiglio straordinario dei capi di Stato e di governo di Bruxelles
La Ue annuncia sanzioni contro la Russia
Nel caso Mosca non si ritiri dalla Crimea
Il Consiglio europeo straordinario di Bruxelles del 6 marzo ha intimato alla Russia di “ritirare immediatamente le sue forze armate e cominciare a negoziare con il governo ucraino entro pochi giorni”, pena l'adozione di sanzioni.
I 28 paesi europei hanno condannato “l'aggressione e occupazione russa in Ucraina” e definito "incostituzionale ed illegale" il referendum del 16 marzo in Crimea. Decidevano intanto di sospendere i negoziati con la Russia per la liberalizzazione dei visti e per un nuovo accordo commerciale e la partecipazione dei paesi Ue al G8 di Sochi del giugno prossimo; chiedevano l'apertura di un dialogo multilaterale per arrivare in breve tempo a risultati per la soluzione della crisi. In caso contrario avrebbero messo in pratica sanzioni quali la cancellazione dei previsti meeting bilaterali e sanzioni individuali quali divieti d'ingresso e congelamento dei beni di cittadini russi. Nell’eventualità di un mancato passo indietro da parte della Russia minacciavano non meglio definite “misure addizionali”.
“Ogni ulteriore passo della Russia per destabilizzare la situazione in Ucraina comporterà conseguenze gravi e di vasta portata” sulle relazioni tra Ue e Russia “in una vasta gamma di relazioni economiche”, come fu per l'Iran, sottolineava i presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy al termine del vertice. Che di fatto ha semplicemente ratificato quanto deciso dal Consiglio dei ministri degli Esteri di tre giorni prima. Aggiungendovi infine la minaccia di nuovi interventi.
Come si era registrato dalle dichiarazioni dei vari governi a mano a mano che la crisi ucraina saliva di tono c'erano paesi, come Germania e Italia, che volevano tenere un profilo basso, temendo ritorsioni pesanti da parte della Russia e preoccupati soprattutto di non veder reciso il cordone ombelicale dei gasdotti russi che alimentano le loro economie. E la loro posizione è al momento solo formalmente cambiata a fronte delle pressioni in particolare di Gran Bretagna, Francia e Polonia che approfittando dell'annuncio del referendum separatista in Crimea hanno chiesto e ottenuto di minacciare altre sanzioni.
E al premier ad interim ucraino Arseni Yatseniuk, che ha partecipato alla prima fase del vertice europeo, hanno confermato assieme alla consegna in breve tempo di aiuti finanziari per 11 miliardi di euro la disponibilità a firmare la parte politica dell'accordo di associazione già prima delle elezioni del 25 maggio. Su questi passaggi gli imperialisti europei sono stati concordi, meglio battere il ferro quando è caldo e intanto “comprarsi” l'Ucraina. Scontando che potrebbe allora già non avere più la Crimea, annessa alla Russia.
L'evoluzione della crisi ucraina ha anche messo in evidenza che sul piano politico la superpotenza imperialista europea è ancora subordinata agli interessi non sempre convergenti dei singoli paesi imperialisti e viaggia di pari passo con l'evoluzione delle contraddizioni interimperialiste. Ben altra cosa è la politica economica e finanziaria sottratta alle decisioni dei singoli governi e gestita centralmente. Esisterebbe un Alto Rappresentante per la politica estera, l'inglese Catherine Ashton, che svolge un lavoro di pura rappresentanza, quando il gioco si fa duro sono i duri, cioè i governi dei paesi più forti, a scendere in campo e guidare alleanze si direbbe “trasversali” che uniscono nei diversi schieramenti governi della destra e della “sinistra” borghese.
12 marzo 2014