Per il disastro ambientale dell'Ilva
Chiesto il processo per Vendola
Il governatore della Puglia è accusato di concussione aggravata
I Riva accusati di associazione a delinquere
Il 6 marzo la Procura della Repubblica di Taranto a conclusione delle indagini inerenti l'inchiesta “ambiente svenduto” sul disastro ambientale causato dall'Ilva, ha chiesto il rinvio a giudizio per 50 persone e tre società (Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici).
Tra gli imputati eccellenti spicca il governatore trotzkista neoliberale della Puglia, Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata e tutti i membri della famiglia Riva che devono rispondere di disastro ambientale, associazione a delinquere e corruzione in atti giudiziari.
La richiesta di rinvio a giudizio, firmata dai procuratori, Franco Sebastio e Pietro Argentino, e dai sostituti Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile, Remo Epifani e Raffaele Graziano, riguarda tutti i 53 indagati ai quali il 30 ottobre scorso era stato notificato dalla Guardia di finanza di Taranto l'avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Oltre ad Emilio, Fabio e Nicola Riva la richiesta di rinvio a giudizio riguarda anche i vertici vecchi e nuovi dell'Ilva prima del commissariamento, l'assessore regionale all'ambiente Lorenzo Nicastro (IDV), il parlamentare di Sel Nicola Fratoianni (all'epoca assessore regionale), alcuni consiglieri regionali fra cui il piddino Donato Pentassuglia; l'ex presidente della Provincia di Taranto Giovanni Florido, il sindaco del capoluogo ionico, Ippazio Stefàno, dirigenti e funzionari ministeriali e della Regione Puglia, un poliziotto, un carabiniere, un sacerdote, nonché uno stuolo di dirigenti ed ex dirigenti del Siderurgico tarantino. Tra questi figurano i cosiddetti “fiduciari”, cioè un gruppo di persone non alle dipendenze dirette dell'Ilva che però in fabbrica, secondo l'accusa, avrebbero costituito un “governo-ombra” che prendeva ordini dalla famiglia Riva. Ad 11 indagati la Procura contesta il reato di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale e a reati contro la pubblica amministrazione, nonché l'avvelenamento di acque e sostanze alimentari. Tra le imputazioni, anche quella di omicidio colposo per due “morti bianche” all'Ilva.
Per quanto riguarda Vendola è ormai chiaro che costui è talmente invischiato nel malaffare dell'Ilva che non sono bastate le oltre sette ore di interrogatorio sostenute lo scorso 23 dicembre per “chiarire la sua posizione” e convincere la Procura a proscioglierlo dall'accusa di concussione. Un interrogatorio caratterizzato da “troppi non ricordo” e da troppe contraddizioni in cui è caduto il leader di Sinistra ecologia e libertà secondo la richiesta di rinvio a giudizio.
Secondo i magistrati Vendola in accordo con Fabio Riva, proprietario della fabbrica, e l’ex potente responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà ha abusato “della sua qualità di Presidente della Regione Puglia” e “mediante minaccia implicita della mancata riconferma nell’incarico” di direttore dell’Arpa Puglia, ha costretto Giorgio Assennato ad “ammorbidire” la posizione dell’agenzia regionale di protezione ambientale “nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva s.p.a. ed a dare quindi utilità a quest’ultima, consistente nella possibilità di proseguire l’attività produttiva ai massimi livelli, come sino ad allora avvenuto, senza perciò dover subire le auspicate riduzioni o rimodulazioni”.
Assennato, con una nota del 21 giugno 2010, aveva suggerito “sulla scorta dei risultati dei campionamenti della qualità dell’aria eseguiti dall’Arpa nell’anno 2009 che avevano evidenziato valori estremamente elevati di benzo(a)pirene, l’esigenza di procedere ad una riduzione e rimodulazione del ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico di Taranto”. Un’ipotesi che aveva mandato su tutte le furie i Riva e lo stesso Vendola che il giorno dopo, il 22 giugno 2010, in un incontro con gli assessori Nicola Fratoianni e Michele Losappio, aveva “fortemente criticato” l’operato dell’Arpa e sostenuto che ‘cosi com’è Arpa Puglia può andare a casa perché hanno rotto…’” ribadendo che “in nessun caso l’attività produttiva dell’Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni”.
Non solo. I Pm scrivono che dopo sole 24 ore Vendola ha convocato il direttore scientifico dell’agenzia, Massimo Blonda, “per ribadirgli i concetti espressi nell’incontro” del giorno precedente. Infine, il 15 luglio successivo, aveva indetto una riunione informale alla quale hanno partecipato anche i Riva, Archinà e l’allora direttore dell’Ilva Luigi Capogrosso, mentre Giorgio Assennato, “che pure era stato convocato” era stato lasciato fuori dalla stanza e “ammonito dal dirigente Antonicelli, su incarico del Vendola, a non utilizzare i dati tecnici sul benzo(a)pirene come ‘bombe carta che poi si trasformano in bombe a mano’”.
Accuse gravissime, insomma, per le quali Nichi Vendola rischia di finire sotto processo. Altro che: “abbiamo difeso l'ambiente, la fabbrica e i lavoratori” come sostiene Vendola che invece farebbe bene a decretare il totale fallimento del suo governo rassegnando immediatamente le dimissioni.
Fabio Riva e Archinà dovranno rispondere anche di corruzione in atti giudiziari per aver versato secondo i pm una tangente da 10mila euro a Lorenzo Liberti, docente universitario e all’epoca dei fatti consulente della procura che indagava sulle emissioni della fabbrica. Il sindaco di Taranto Stefàno è accusato di omissioni in atti d’ufficio, perché in qualità di primo cittadino e quindi di autorità locale avrebbe omesso di adottare provvedimenti per “prevenire e di eliminare i gravi pericoli” derivanti dall’allarmante situazione di emergenza dovuta ai veleni dell’Ilva di cui era a conoscenza. Un atteggiamento omissivo, che secondo i magistrati, avrebbe procurato alla famiglia riva e all’Ilva un vantaggio economico visto che non sono stati abbassati i livelli produttivi. Mentre l’ex presidente della Provincia Florido, finito in carcere il 15 maggio 2013 è accusato insieme all’ex assessore all’Ambiente, Michele Conserva, e ad Archinà, di tentata concussione: secondo le dichiarazioni del dirigente Luigi Romandini, Florido a Conserva avrebbero fatto pressioni perché il dirigente rilasciasse l’autorizzazione alla discarica Ilva per permettere all’azienda di smaltire i rifuti all’interno risparmiando così milioni di euro. Richiesta di rinvio a giudizio anche per Luigi Pelaggi, ex capo della segreteria tecnica del ministro dimissionario Stefania Prestigiacomo e membro della commissione che nel 2011 rilasciò l’autorizzazione a produrre all’Ilva.
Questa vicenda non fa che confermare quel che noi marxisti-leninisti andiamo denunciando da anni, e cioè che è impossibile riuscire a gestire le istituzioni borghesi dalla parte della classe operaia e delle masse popolari e che regolarmente qualsiasi esponente sia votato per governarle, anche i finti “sinistri” come Vendola e De Magistris, finisce regolarmente per essere costretto ad accettare le regole, a servire gli stessi padroni e a sguazzare nella corruzione.
Noi riaffermiamo che l'unica strada in grado di salvaguardare insieme e contestualmente salute, ambiente e lavoro è la nazionalizzazione dell'Ilva senza indennizzi per i pescecani Riva, che anzi devono pagare tutti i costi inerenti i danni dell'inquinamento a Taranto e della bonifica dello stabilimento: e se non lo faranno tempestivamente devono rispondere con tutti i loro patrimoni da confiscare per via giudiziaria. Solo con la nazionalizzazione dell'Ilva si può e si deve porre sotto il diretto controllo dei lavoratori e della popolazione tarantina l'intero ciclo produttivo affinché siano prioritariamente garantiti e tutelati i diritti e la salute dei lavoratori e di tutti gli abitanti dei quartieri circostanti. Un piano complessivo che tuteli salute, lavoro e ambiente e impedisca la smobilitazione di questo settore strategico per il nostro Paese che non può tornare indietro come ai tempi del vecchio siderurgico Italsider, che certamente non era così inquinante come lo è diventato oggi, ma che comunque non aveva gli standard di sicurezza e tutela ambientale pretesi oggi giustamente e in modo combattivo dai lavoratori e dalle masse popolari tarantine.
19 marzo 2014