Alla conferenza stampa con lo stile di Berlusconi
Renzi lega il suo futuro politico all'abolizione del Senato
76 euro al mese ai lavoratori. Niente ai pensionati. Per i padroni taglio del 10% dell'Irap e del 10% del costo dell'energia, flessibilità del lavoro, “nuovo codice del lavoro”, il Jobs act, privatizzazioni, sblocco del pagamento dei debiti, tagli alla sanità
I giovani penalizzati dalla liberalizzazione dei contratti a termine e dell'apprendistato
Il 12 marzo, dopo aver incassato il sì della Camera alla legge elettorale Italicum concordata con Berlusconi – un “fascistissimum” peggiore del Porcellum e della stessa legge Acerbo di mussoliniana memoria – un tronfio Matteo Renzi ha convocato una conferenza stampa per “stupire” il Paese con la presentazione del suo mirabolante programma per i primi 100 giorni di governo appena varato dal Consiglio dei ministri da lui presieduto. Più che una conferenza stampa, un vero e proprio evento mediatico in diretta televisiva, da lui personalmente diretto e interpretato in perfetto stile Berlusconiano, forse addirittura con più padronanza del mezzo ed efficacia persuasiva di quelle spesso inscenate dal suo modello e maestro.
Servendosi di schede esemplificative colorate e proiettate su uno schermo, alla maniera appresa dalle conferenze stampa di Obama, ma anche sapientemente studiate e calibrate sul “bambino di 12 anni” secondo gli insegnamenti di Berlusconi, e rivolgendosi sempre direttamente “al Paese” (cioè ai telespettatori e non ai giornalisti in sala), il presidente del Consiglio ha elencato con toni da imbonitore i provvedimenti appena presi, quasi tutti ancora sulla carta e mancanti di specifiche coperture, ad esclusione del decreto di liberalizzazione dei contratti a termine e dell'apprendistato, ma abbastanza roboanti da impressionare l'opinione pubblica: tagli alle tasse ai lavoratori e alle imprese, una “riforma” del lavoro e degli ammortizzatori sociali per rilanciare l'occupazione (Jobs act), un piano per la casa, un altro per l'edilizia scolastica, sforbiciate ai privilegi della “casta” politica e agli “sprechi” nella pubblica amministrazione (pa), il pagamento entro luglio di tutti i debiti arretrati dello Stato e degli Enti locali, e così via.
Quanto ai miliardi necessari, Renzi ha assicurato che ci sono, avendone trovati addirittura 20, il doppio di quelli necessari. Ma il colpo più ad effetto è stato senz'altro quello dell'annuncio della riduzione delle tasse nelle buste paga al di sotto dei 1.500 euro mensili a partire dal prossimo 27 maggio, una “restituzione” di 1000 euro all'anno per 10 milioni di lavoratori, corrispondenti a circa 76 euro mensili in media a testa: “Questa è sinistra. Questa è la manovra più di sinistra degli ultimi anni”, ha detto trionfalmente il premier. Ma a ben vedere è una misura che in quanto a intenti demagogici, indubbiamente efficaci alla vigilia delle elezioni europee, ricorda molto quella della promessa di Berlusconi di restituire i soldi dell'Imu agli elettori. E come per quest'ultima, resta da vedere dove saranno presi i soldi. Non a caso il “diversamente berlusconiano” ministro Lupi, si è lasciato sfuggire in tono ammirato: “Questo è peggio di Berlusconi!”, mentre il consigliere del neoduce, Giovanni Toti, ha osservato che si vedeva bene che “Renzi è uno cresciuto nell'era delle televendite”.
Corporativismo da seconda repubblica
Quello che più conta politicamente, comunque, è l'annuncio, e come è stato fatto. Il Berlusconi democristiano ha mostrato infatti in tutti i modi di aver preso questa sull'Irpef e le altre decisioni riguardanti i lavoratori in assoluta solitudine, senza consultare intenzionalmente i sindacati: “Se il sindacato è contro ce ne faremo una ragione”, aveva infatti detto poco prima rispondendo alle lamentele provenienti dalla CGIL su fisco e “ammortizzatori sociali”; e aveva liquidato con altrettanta supponenza anche il “solito derby tra sindacato e Confindustria” sulla destinazione dei 10 miliardi di sgravi fiscali. “Lo so che protestano, ma lo fanno perché questa manovra la facciamo senza consultarli”, ha detto infatti il premier rispondendo alle domande dei giornalisti in proposito. Ed ha aggiunto: “Ascoltiamo tutti, ma quello che c'è da fare lo sappiamo noi, pensando alle famiglie che stanno soffrendo”.
Dunque con ciò Renzi ha voluto dare anche un colpo mortale alla già agonizzante concertazione governo-sindacati-Confindustria, eredità della prima repubblica, per rimpiazzarla con il corporativismo della seconda repubblica neofascista, molto più affine a quello fascista di Mussolini, accentrandone il controllo direttamente nelle mani di Palazzo Chigi per poter operare personalmente e senza intermediazioni “a favore della povera gente”, come ha detto in un'intervista a L'Unità
. Non a caso, con la scusa di risparmiare sugli “enti inutili”, come misura ad alto valore simbolico, ha annunciato la soppressione del Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro), un organismo previsto nella Costituzione proprio per favorire la concertazione.
Renzi vuol dimostrare insomma in tutti i modi di essere “l'uomo solo al comando”, quello che non si fa dettare l'agenda da nessun altro che da se stesso, e che vuole arrivare là dove tutti i suoi predecessori hanno fallito perché impediti da lacci e lacciuoli. Esattamente come faceva Berlusconi quando sbandierava di essere “diverso” dagli altri politici perché è un imprenditore abituato a “fare” le cose. Tant'è vero che il giorno dopo, nel salotto televisivo di Porta a porta
, il premier ha praticamente siglato un nuovo “contratto con gli italiani” (come quello di Berlusconi nel 2001, gli ha ricordato Vespa), sentenziando che se il 27 maggio non arriveranno gli sgravi nelle buste paga, “allora vuol dire che Matteo Renzi è un buffone”. E non a caso ha ricevuto anche il plauso entusiastico di Marchionne, che si è detto “estremamente orgoglioso, il ragazzo è veloce e si muove nella direzione giusta, ha il mio totale appoggio” (si veda articolo a parte).
Anche il suo dialogo diretto con Landini scavalcando la segreteria della Cgil, che del resto il segretario della Fiom incredibilmente asseconda (“Matteo Renzi è una novità che va presa sul serio”, ha dichiarato costui commentando favorevolmente i provvedimenti annunciati), mira a spiazzare e mettere in posizione subalterna il sindacato. Tant'è che la stessa Camusso, che in un primo tempo aveva ventilato lo sciopero se Renzi intendeva andare avanti senza consultare il sindacato, non ha potuto far altro che inchinarsi dopo aver appreso degli sgravi in busta paga: “Se qualcuno non ti incontra ma accoglie le tue proposte va bene così”, ha dovuto dichiarare a denti stretti. Con questa mossa Renzi ha spiazzato anche la minoranza bersaniana e cuperliana del PD, che si è anzi spellata le mani ad applaudire la manovra “di sinistra”, come ha fatto a nome di tutti il leader dei “giovani turchi” Matteo Orfini, che ha commentato: “Molte cose buone. Molte cose che avevamo chiesto. Bene”.
Nel solco di Berlusconi e della P2
Del resto la “sinistra” del PD era già stata umiliata e sconfitta da Renzi in parlamento stroncando di concerto con Berlusconi le sue velleità di “miglioramento” dell'Italicum, e dileggiando mussolinianamente i “gufi” e i “disfattisti” che volevano farlo fuori “senza avere i numeri”: “Grazie alle deputate e ai deputati. Hanno dimostrato che possiamo davvero cambiare l'Italia. Politica 1 – Disfattismo 0. questa è #La svolta buona”, aveva twittato il premier sbeffeggiando i suoi avversari interni, e confermando al tempo stesso la sua abile padronanza degli strumenti di comunicazione più moderni e alla moda.
Quello della legge elettorale e delle altre “riforme” istituzionali e costituzionali del patto con Berlusconi, in particolare la cancellazione del Senato, è stato anzi il secondo piatto forte del suo show mediatico. Su questo tema Renzi si gioca tutto, e lo ha ribadito con enfasi in conferenza stampa: “Se non abolisco il bicameralismo perfetto chiudo con la politica. Il punto centrale è la riforma del Senato, un passaggio impressionante, storico, incredibile. Non ho paura di rischiare tutto me stesso”, ha detto infatti il premier, dando agli altri partiti 15 giorni di tempo per esaminare il testo della “riforma”: e poi la Boschi fisserà i tempi della sua approvazione, “possibile entro la fine del 2015”.
Renzi sta procedendo quindi come un bulldozer nel lavoro che Berlusconi ha dovuto interrompere forzatamente per la crisi economica e per le sue vicende giudiziarie, anche se con una tattica diversa, più adatta alle sue caratteristiche personali e spacciandola per una politica “di sinistra”: cancellare la democrazia e l'elettoralismo borghesi, con l'aiuto dello stesso Berlusconi, del presidenzialista Napolitano, della Merkel e della grande finanza, per completare la seconda repubblica neofascista e assicurare la sospirata “governabilità” al sistema capitalistico italiano, secondo il piano della P2. Se ne stanno accorgendo anche certi giuristi e costituzionalisti più attenti, come ad esempio il magistrato Domenico Gallo, che a proposito dell'Italicum, ricordando il 1924 e la legge Acerbo, si chiede su Micromega
se è mai possibile “dopo 90 anni, dopo la Resistenza, dopo l'avvento di una Costituzione democratica, fare una legge elettorale peggiore della legge Acerbo”.
Una manovra per nulla “di sinistra”
Anche per quanto riguarda gli altri provvedimenti annunciati, siamo tutt'altro che in presenza di una manovra “di sinistra”, come Renzi cerca di spacciarla, solo perché “per la prima volta un governo rimette dei soldi in tasca agli italiani”. Dei 20 miliardi “trovati”, 7 arriveranno dai risparmi della Spending review
appena consegnatagli dal commissario Cottarelli; altri 6,4 dall'utilizzo del margine dello 0,4% attualmente disponibile per arrivare al tetto del 3% del rapporto deficit/pil consentito dalle regole europee; altri 2 dal rientro dei capitali dall'estero; 1,6 dall'Iva sulle fatture pagate dalla pa; e infine, sempre a suo dire, 3 miliardi verranno dai risparmi sugli interessi sui titoli pubblici per effetto della riduzione dello spread. Ma di abbastanza sicuri e “strutturali” ci sono solo quelli della Spending review
, perché il rientro dei capitali dalla Svizzera, anche tralasciando che si tratta dell'ennesimo scandaloso condono a evasori e mafiosi, è ancora tutto da quantificare e realizzare, e anche il margine consentito dallo spread e l'Iva sui pagamenti arretrati sono solo provvedimenti aleatori e contingenti. Quanto all'utilizzo del margine di deficit fino al tetto consentito dalla Ue, già si è ridotto della metà (dallo 0,4% allo 0,2%) dopo il “nein” della Merkel, che ha preteso e ottenuto da Renzi rassicurazioni sul mantenimento del patto di stabilità e del “fiscal compact” da parte dell'Italia.
É chiaro perciò che le coperture per gli sgravi in busta paga andranno trovate soprattutto con la Spending review
, col che quello che viene dato ai lavoratori con una mano, viene ripreso con gli interessi con l'altra, attraverso tagli ai servizi sanitari, previdenziali, sociali e assistenziali. Non a caso ora Renzi ha accentrato la Spending review
direttamente nelle proprie mani: cioè sarà lui a decidere dove e come tagliare la spesa pubblica, e quel che è certo è che si sa già che saranno “tagli dolorosi”: si parla infatti di ben 34 miliardi “strutturali” da tagliare in tre anni, di cui più di 10 dai beni e servizi acquistati dallo Stato, 3 dalla cancellazione di 85 mila posti di lavoro e dal blocco totale del turn-over nella pa, altri 5,5 dal trasporto ferroviario e dalle partecipate locali, più di 3 dal “patto per la salute” (cioè dalla sanità), altri 1,7 dalle pensioni di guerra e di reversibilità, dagli assegni di accompagnamento e dall'innalzamento da 41 a 42 anni di contributi per le donne che vogliono andare in pensione.
Invece dalla Difesa, nonostante tutte le voci sparse ad arte di tagli consistenti sugli F-35 e altre voci, si chiedono solo 2,6 miliardi, di cui per il 2014 appena 100 milioni! Il ministro dell'Economia Padoan ha inoltre confermato che anche “le privatizzazioni continueranno e anzi saranno rafforzate”. Anche l'aumento delle tasse sulle rendite finanziarie dal 20 al 26%, con esclusione dei Bot, per finanziare la diminuzione dell'Irap alle aziende, è stata spacciata da Renzi (e salutata dalla minoranza del PD) come misura eminentemente “di sinistra”. Ma intanto è servita a mascherare la mancanza di una misura, questa sì di sinistra, come sarebbe stata la patrimoniale. E poi, applicandosi anche a conti correnti, risparmio postale, obbligazioni, fondi di investimento, va a colpire anche in non piccola misura le famiglie dei lavoratori dipendenti, che rappresentano il 35% della platea interessata, di cui il 7,5% di condizione operaia e il 13,5% impiegatizia, mentre un altro 40% è rappresentato da pensionati. Senza contare che questi ultimi sono stati lasciati completamente a bocca asciutta dagli sgravi fiscali, nonostante che le pensioni abbiano perso il 30% del potere di acquisto negli ultimi 10 anni, tant'è vero che con un loro comunicato unitario hanno bollato la manovra di Renzi come “nessuna svolta buona per i pensionati e gli anziani”.
Regalo immediato ai padroni sulla flessibilità
In compenso ai padroni Renzi ha regalato non solo lo sconto del 10% sull'Irap e del 10% sul costo dell'energia, ma soprattutto un'ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro e flessibilità nell'uso della mano d'opera. E subito, con un decreto legge, come antipasto in attesa del Jobs act basato sul “contratto unico a tutele crescenti” che prevede l'abolizione dell'articolo 18, della “riforma” degli “ammortizzatori sociali”, con l'abolizione della Cig in deroga e restrizioni alla Cig ordinaria e straordinaria, e di un non meglio precisato “nuovo codice semplificato del lavoro”, che prelude sicuramente ad una riduzione dei diritti normativi e di sicurezza dei lavoratori: provvedimenti questi affidati al governo con un disegno di legge delega da approvare nel giro di sei mesi.
Con la scusa intanto di superare le “rigidità” della “riforma” Fornero e favorire l'occupazione, il ministro del Lavoro Poletti ha illustrato un decreto legge che triplica la durata dei contratti a termine, da uno a tre anni, senza obbligo di specificare una causale (ora obbligatoria) per terminare il rapporto di lavoro, che potrà essere interrotto per ben 8 volte nell'arco di 36 mesi. Eliminata anche la foglia di fico della pausa obbligatoria di 10 giorni tra un contratto e l'altro stabilita nella Fornero per scoraggiare gli abusi.
Liberalizzato ulteriormente anche il regime dell'apprendistato: si potrà fare anche in forma non scritta e non ci sarà più l'obbligo per i padroni di stabilizzare almeno il 30% dei suoi apprendisti al termine del percorso formativo prima di poterne assumere altri. Inoltre, per l'apprendistato di primo livello, la retribuzione per le ore di formazione potrà essere del 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento, mentre il “datore di lavoro” è esonerato dall'obbligo di integrare la formazione professionalizzante e di mestiere (secondo livello), con l'offerta formativa pubblica.
Su questo decreto sfacciatamente liberista la stessa Camusso, pur avendo come si è detto approvato il piano di Renzi in generale, non ha potuto fare a meno di protestare perché “si è creata un'altra forma di precarietà. Siamo disposti a discutere di un contratto unico (senza art.18, ndr), ma prima bisogna abolire il decreto”. E non a caso, invece, pur aspettando sull'intera manovra “un'analisi approfondita dei testi”, su questo decreto la Confindustria ha espresso immediata soddisfazione, perché “elimina le rigidità nel mercato del lavoro”.
Altre misure di stampo demagogico
Altre misure ad alto contenuto demagogico annunciate da Renzi sono quelle cosiddette “anticasta”, il piano per l'edilizia scolastica e il piano casa. Le prime, a parte l'abolizione strumentale del Cnel di cui abbiamo già detto, consistono nell'annuncio della vendita all'asta di un centinaio di auto blu, nella soppressione di alcune sedi regionali della Rai (Mediaset ringrazia), e poco altro.
Del fantomatico piano per l'edilizia scolastica per 3,5 miliardi si sa poco o nulla, salvo che questi soldi, ammesso che ci siano, sono praticamente bloccati in mano ai comuni che non possono spenderli per il patto di stabilità, che Renzi ha promesso di superare senza specificare come e quando. Intanto ha accentrato questa partita a Palazzo Chigi, come ha fatto per per quella degli 1,6 miliardi già assegnati ad opere di difesa del territorio dal rischio idrogeologico. Da notare però che il sottosegretario all'Istruzione Reggi ha dichiarato testualmente: “Nessuno sa davvero quante e quali sono le scuole su cui dobbiamo intervenire, né conosce i fondi disponibili”.
Quanto al piano casa, a parte i tempi biblici previsti per il piano di riqualificazione delle case popolari da 468 milioni che dovrebbe consentire il recupero di 17 mila alloggi l'anno, nonché per la vendita degli stessi agli affittuari, c'è solo – come denunciano anche le associazioni degli inquilini – l'elemosina del rifinanziamento per 226 milioni in 7 anni del fondo a sostegno dei “morosi incolpevoli” (20 euro al mese a inquilino) e l'abbassamento dal 15 al 10% della cedolare secca per chi affitta casa a canone concordato. In compenso – e qui lo zampino dell'ex podestà di Firenze è evidente - è previsto anche in forma retroattiva l'assoluto divieto a concedere le residenze e gli allacci delle utenze negli spazi abitativi occupati “abusivamente”.
Il PMLI è nettamente contrario a questo piano piduista, liberista e antisindacale di Renzi, e invita le confederazioni sindacali e i “sindacati di base” a proclamare uno sciopero generale unitario di 8 ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi per respingerlo.
19 marzo 2014