Il renziano è accusato di associazione a delinquere per aver “gestito in famiglia” decine di milioni di fondi per gli enti di formazione
Richiesta d'arresto per Genovese, ex sindaco di Messina e ora deputato PD
Truffa da 6 milioni alla Regione
Dal nostro corrispondente della Sicilia
I 20mila voti che, raccolti nel 2012 alle primarie del PD da Francantonio Genovese, “onorevole” renziano (e campione di salto della quaglia: DC; PPI, CDU, UDR, PPI, La Margherita, PD dal 2007, dal 2013 area Renzi), ex-sindaco di Messina, lo fecero salire sul podio del piddino più votato d'Italia, sono eredità del nonno pluriministro, Antonio Gullotti, che in tasca aveva il 41% di tutte le tessere DC siciliane. Una dote “politica” che ha reso la cosca democristiana dei Genovese la più corteggiata e foraggiata di fondi pubblici dal gruppo dirigente del PD, del quale è parte integrante. Lo stesso ereditiere di voti democristiani, con l'appoggio dell'allora ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale, è stato segretario regionale del PD, eletto il 14 ottobre 2007, e sostenitore della linea dell'anticomunista di Walter Veltroni.
Ora per il renziano, nonché boss della formazione professionale che ha fagocitato illecitamente milioni di euro destinati ai giovani siciliani, azionista e dirigente della traghetti Caronte di Pietro Franza, arriva la richiesta di arresto. Il GIP (Giudice per le Indagini Preliminari) ha accolto e girato alla Camera la richiesta del sostituto procuratore, Sebastiano Ardita. Già la scorsa estate, a chiusura della prima parte dell’inchiesta, la Procura di Messina aveva arrestato la moglie di Genovese, Chiara Schirò, e la cognata Elena, moglie del deputato regionale PD Franco Rinaldi (indagato).
Le accuse sono gravissime. Secondo l'inchiesta, Genovese in cinque anni (da notare che ha aderito al PD nel 2007) con un sistema di enti e società a lui riconducibili, ha incassato ben sei milioni di euro. Quattro ordinanze di custodia ai domiciliari, sono state notificate a persone del clan Genovese, con incarichi nel PD o negli enti e nelle società da lui controllate. Tra questi Salvatore La Macchia, capo della segreteria tecnica dell’ex-assessore regionale alla Formazione del governo Lombardo (MPA), Mario Centorrino, economista del PD e tra coloro che qualche anno fa lanciarono il movimento dei professori. Ci chiediamo come potesse l'assessore essere all'oscuro di tutti gli intrallazzi che riguardavano il suo assessorato che finanziava i progetti della famigghia Genovese, rimborsava spese quintuplicate per lo svolgimento dei corsi di formazione professionale e ometteva ogni controllo sulle ingenti somme sborsate.
Il ruolo del gruppo dirigente del PD
Anche Rosario quaquaraquà Crocetta, che adesso a parole “critica” i Genovese, nei fatti impone alle masse popolari siciliane una politica di alleanze e scambi clientelari che favorisce il proliferare di tali lobby similmafiose nelle istituzioni borghesi da lui dirette. Del resto quanti degli oltre 89mila voti raccolti da PD, UDC e Lista Crocetta nella provincia di Messina per la sua elezione a governatore nell'ottobre del 2012 provengono dai Genovese? Tanti, se Genovese controlla oltre l'80% dei voti PD della provincia. Che motivo avrebbe avuto altrimenti Crocetta di nominare assessore ai Trasporti il fedelissimo di Genovese, segretario provinciale del PD messinese, Nino Bartolotta? Non è del resto vero che la “Mandarian Wimax Sicilia spa” di Genovese, si è aggiudicata negli ultimi anni appalti per decine di milioni di euro, tra cui uno di 42 milioni, dalla Regione siciliana e dalle province che il governatore Rosario Crocetta ha commissariato?
Ma c'è un'altra considerazione da fare. La dimensione della vicenda non è più solo siciliana, Genovese ha da tempo varcato lo Stretto avendo trovato terreno fertile nelle politiche ultraliberiste, privatizzatrici antipopolari fomentate dai recenti gruppi dirigenti nazionali. Egli oggi è la personificazione della politica renziana, è il tipo del democristiano riciclatosi nel PD, scalandone i vertici, arraffando soldi e cariche a più non posso. Com'è vero che “un si pigghia s'un si rassimigghia” (“chi si rassomiglia si piglia”) è entrato in sintonia di interessi e strategie con il Berlusconi democristiano Renzi. Due gocce d'acqua nell'atteggiamento rapace e antipopolare, nella storia personale e nella fulminea scalata ai vertici del PD. Lo dimostra anche la sortita messinese che portò il 21 giugno del 2013, l'allora sindaco di Firenze in profumo di segreteria, al comizio per la candidatura a sindaco del picciotto di Genovese, Felice Calabrò. Stipulato il patto, qualche mese dopo Francantonio, abbandonato Bersani, diventa il “grande elettore” di Renzi in Sicilia, garantendogli la segretaria.
26 marzo 2014