Alla faccia della nuova legge che prevedeva di recedere dalle locazioni
La Camera non disdice gli affitti d'oro e sperpera 32,5 milioni
400 deputati non rinunciano ai loro privilegi
Mentre alle masse lavoratrici e popolari il parlamento nero impone nuove stangate e chiede nuovi “sacrifici per uscire dalla crisi”, la Camera non rinuncia agli “affitti d’oro” e continuerà a pagare 32,5 milioni l’anno per gli uffici superconfortevoli di 400 deputati ospitati negli immobili di proprietà della “Milano 90” del boss dei palazzinari romani Sergio Scarpellini.
A dicembre 2013 la Camera aveva deciso con una legge di interrompere le costosissime locazioni. Ma a oggi né Letta né il Berlusconi democristiano che lo ha sostituito a Palazzo Chigi hanno mosso un dito per mettere fine a questo vergognoso sperpero di denaro pubblico rubato al popolo e regalato Scarpellini.
Da mesi si assiste a un intollerabile scaricabarile tra l’ufficio dei Questori, l’ufficio di presidenza della Camera e le varie cosche parlamentari di Montecitorio: tutti a parole affermano di voler interrompere i contratti ma nessuno si sogna di farlo per davvero.
Lo scandalo che ruota intorno ai tre palazzi situati nel centro di Roma attorno a Montecitorio e denominati Palazzo Marini due, tre e quattro, è doppio. Il primo riguarda gli esorbitanti costi fuori mercato: 650 milioni di euro di affitto dal 1997 per vent’anni (a fronte di un valore commerciale di 330 milioni stimato dal Demanio). Il secondo scandalo riguarda una clausola capestro, raramente adottata nel diritto amministrativo, che impedisce in modo esplicito il recesso anticipato dei contratti.
A fine 2013 per far ingoiare l'antipopolare spending review agli italiani, la Camera su proposta del grillino Riccardo Fraccaro aveva approvato una norma per poter recedere dalle locazioni. Ma fino ad oggi è rimasta lettera morta perché “Quella norma è stata valutata a rischio” dall’Avvocatura dello Stato in quanto prevede tempi di preavviso troppo stretti, 30 giorni, e Scarpellini potrebbe impugnare il provvedimento. E poi perché i 400 deputati e relativi collaboratori, nel giro di un mese, avrebbero dovuto lasciare i loro comodi e lussuosi uffici e finire in “mezzo a una strada”. Per questi motivi i deputati avevano giurato di “migliorare” la norma-Fraccaro inserendo una modifica nel “salva-Roma”. Per due volte, però, quel decreto è stato ritirato. Col risultato che ora la Camera (vigente solo la norma Fraccaro) può chiedere la recessione dei contratti di locazione ma col rischio di affrontare una causa civile che, in caso di condanna, avvertono dall'Avvocatura dello Stato, avrebbe costi esorbitanti per Montecitorio.
Di parere opposto Fraccaro che sottolinea come: “Gli immobili di Scarpellini costano trentadue milioni di euro all’anno; 7 mila euro al mese per deputato. Una cifra assurda. La norma consente il recesso: perché i democratici fanno resistenza e la presidente Boldrini non mette al voto il recesso dei contratti in ufficio di Presidenza?”. I contratti, spiega Fraccaro, avranno una scadenza naturale nel 2016, 2017 e 2018. “Interromperli prima — ha aggiunto — farà risparmiare per questo periodo 32,5 milioni all’anno”.
La Boldrini ha replicato dicendo che la votazione può essere messa all’ordine del giorno solo se arriva la richiesta dall’ufficio dei Questori. Che non è arrivata. Mentre il questore della Camera Gregorio Fontana di Fi si è coperto di ridicolo affermando che “In tempi di spending review siamo tutti d’accordo a interrompere i costosissimi affitti. Ma chi si prende la responsabilità di lasciare senza ufficio 400 deputati e relativi collaboratori? E di mettere trecento dipendenti sulla strada? Vogliamo che tutti i 630 deputati si assumano pubblicamente in Aula, con una votazione, la responsabilità”.
E mentre la Camera non si decide, Scarpellini ha già messo le mani avanti chiedendo il rinnovo dei contratti per altri diciotto anni.
2 aprile 2014