L'uscita dall'euro non avrebbe conseguenze disastrose per le masse popolari?
Il Partito propone l'uscita dell'Italia dall'euro. Se il giorno dopo si arrivasse al socialismo sarebbe evidente il grande beneficio per la stragrande maggioranza della popolazione. Ma se si esce dall'euro restando nel capitalismo le conseguenze sarebbero disastrose per le larghe masse popolari. Cosa ne pensate?
Pier – Biella
Caro compagno Pier,
ci sembra significativo che nel porre il quesito tu dia già per certo che le conseguenze dell'uscita dell'Italia dall'euro avrebbero conseguenze catastrofiche per le larghe masse popolari. In effetti questa è senz'altro la convinzione largamente più diffusa nell'opinione pubblica, anche perché è quella sostenuta dalla stragrande maggioranza degli economisti, dei mass media, delle istituzioni e dei partiti borghesi, anche se oggi, paradossalmente, più da quelli della “sinistra” che della destra borghese.
Lo scenario che viene presentato generalmente in caso di uscita dell'Italia dall'euro e di ritorno ad una moneta nazionale, diciamo la lira, è infatti dei più terrificanti: la lira sarebbe immediatamente svalutata e i prezzi salirebbero alle stelle, ci sarebbe una massiccia fuga di capitali all'estero, le banche fallirebbero, lo Stato sarebbe schiacciato sotto il suo enorme debito che nessun investitore estero vorrebbe più finanziare, quindi non potrebbe più pagare gli stipendi, le pensioni, la sanità, e così via.
Il fatto però che questo scenario sia sostenuto e propagandato con toni terroristici proprio da quelle forze economiche e politiche che difendono a spada tratta la Ue imperialista e la sua politica ultraliberista di “austerità” e di massacro sociale che sta già
causando conseguenze disastrose ai lavoratori e alle masse popolari del nostro e di altri paesi europei, dovrebbe indurre qualche sospetto sulla sua oggettività e a chiedersi quanto ci sia di scientificamente fondato e quanto invece di demagogico in un tale modello.
In realtà tra gli stessi economisti borghesi non c'è unanimità di vedute sul suddetto scenario. Generalmente esso, in varianti più o meno catastrofiche, è sostenuto dagli economisti di scuola liberista, mentre quelli di scuola keynesiana, pur non negando la serietà dei rischi conseguenti all'uscita da un sistema di cambi fissi come quello dell'euro per tornare alla moneta nazionale, non li vedono così catastrofici e irreparabili, e mettono anche l'accento sulle opportunità positive che questo ritorno, purché non improvviso e forzato ma pensato e programmato, può aprire per un'economia bloccata e in declino come quella capitalistica italiana.
Per esempio la svalutazione della lira, che da una parte porterebbe un indubbio beneficio alle esportazioni facendo ripartire la produzione e l'occupazione, dall'altra si ripercuoterebbe solo gradualmente sui prezzi, e inoltre il loro aumento potrebbe essere frenato da un efficace controllo da parte dello Stato. Controllo che se fosse esteso anche ai movimenti di capitale e unito ad una seria lotta all'evasione fiscale e alla nazionalizzazione di alcune banche e aziende chiave del Paese permetterebbe allo Stato di fronteggiare non disarmato l'ondata di fallimenti da panico e gli attacchi della speculazione internazionale; e così via.
Che poi è la stessa diatriba, ma proiettata su una scala ancor più ampia e incerta, che oppone le due scuole economiche borghesi su quale sia la ricetta migliore per uscire dall'attuale crisi economica e finanziaria del capitalismo: quella liberista-deflazionistica basata sul “rigore” dei conti pubblici, i tagli al costo del lavoro e alla spesa pubblica, le privatizzazioni e le liberalizzazioni ecc. (in altre parole quella adottata dalla Ue, dalla Bce e dal Fmi e imposta per prima in tutta la sua brutalità alla Grecia), e quella di tipo keynesiano, propugnata per esempio dal premio nobel Krugman ed altri (e applicata in una certa misura dalla Fed americana e da Obama), che propone invece la via espansionistica e moderatamente inflazionistica, basata sulla gestione controllata del debito e dell'inflazione per stimolare la ripresa produttiva e l'occupazione.
Le conseguenze certe dell'attuale politica di “austerità”
Naturalmente occorre ricordarsi che siamo sempre in un sistema capitalista, e che per avvalorare un simile scenario meno catastrofico occorrerebbe un approccio politico di tipo statalista e socialdemocratico, mentre invece oggi domina largamente quello antistatalista liberista, che per giunta ha impregnato fino al midollo anche i partiti della “sinistra” borghese, oggi socialdemocratici solo di nome, quando ancora lo sono, ma liberali, liberisti e antistatalisti di fatto al pari e a volte anche più della destra borghese. Ma tutto questo per dire che le conseguenze catastrofiche di un'uscita dall'euro non sono così meccanicamente e automaticamente determinate come si vorrebbe far credere; dipendono anche dalle scelte politiche e dalla situazione sociale specifica in cui vengono calate, e in questo ambito la lotta di classe può giocare un ruolo determinante nell'orientare i processi economico-politici verso uno scenario o l'altro, fare cioè pagare le conseguenze dell'uscita dall'euro e dalla Ue ai lavoratori e alle masse popolari piuttosto che al grande capitale finanziario e industriale e alla borghesia.
Quello che invece è certo al cento per cento è che sono proprio le politiche messe in atto dai governi per restare nell'euro e nella Ue imperialista (l'esempio della Grecia è lampante, ma anche l'Italia ormai è sulla stessa strada) che stanno massacrando e portando sempre più alla rovina e alla disperazione i rispettivi popoli. Il patto di stabilità e il Fiscal compact, inseriti con un golpe istituzionale nella nostra Costituzione, che ci obbligano al pareggio di bilancio e a tagliare per i prossimi vent'anni qualcosa come 40-50 miliardi di euro ogni anno per abbattere il debito, non ci lasciano scampo e ci precludono qualsiasi possibilità di scegliere autonomamente quali politiche economiche sarebbero più adatte per il bene del Paese e delle generazioni future.
E non è neanche detto che questi immani e insensati sacrifici servano poi a farci restare agganciati al sistema dell'euro. Non sono pochi gli economisti borghesi, pur non contrari all'Unione europea, come i 300 che nel 2010 firmarono un appello per cambiare le “politiche dei sacrifici”, che paventano un'implosione prima o poi del sistema dell'euro proprio a causa dell'insistenza su queste politiche restrittive, o comunque che alcuni dei paesi aderenti “potrebbero essere forzatamente sospinti al di fuori della Unione monetaria o potrebbero scegliere deliberatamente di sganciarsi da essa per cercare di realizzare autonome politiche economiche di difesa dei mercati interni, dei redditi e dell'occupazione”.
É paradossale che oggi siano proprio i partiti della “sinistra” borghese i più fedeli e accaniti difensori dell'euro e della Ue, quando perfino il PCI revisionista l'aveva bollata come un'alleanza imperialista tra governi e monopoli capitalistici in funzione antisocialista fin dai suoi primi embrioni apparsi negli anni '50. Ma è il destino inevitabile di tutti i rinnegati e i traditori diventare più realisti del re, e così oggi la “sinistra” borghese lascia un enorme campo libero alla destra neofascista, nazionalista, xenofoba e razzista, nello sfruttare strumentalmente ed elettoralmente ad uso interno il malcontento e la rabbia sempre più dilaganti contro la Ue e le sue odiose politiche antipopolari.
Qual è la giusta posizione di classe?
Nel rapporto al 5° Congresso nazionale del PMLI del dicembre 2008, il Segretario generale Giovanni Scuderi ha così chiarito qual è la giusta posizione di classe da tenere verso la Ue: “L'Unione europea è un'organizzazione monopolistica e imperialistica, una superpotenza mondiale.
L'Ue è irriformabile. Parlare di 'Europa sociale', di 'Altra Europa', di 'Europa a sinistra' come fanno i falsi comunisti, neorevisionisti e trotzkisti è puro inganno, che serve unicamente ad offrire una copertura a 'sinistra' all'imperialismo europeo, dare ad esso una base di massa e spingere in una palude gli antimperialisti, i no global e i pacifisti”
(come si attagliano perfettamente queste parole al nuovo imbroglio elettoralista della “Lista Tsipras”!).
“La borghesia e i suoi lacché –
continuava Scuderi - presentano l'Unione europea come una conquista dei popoli del vecchio continente. In realtà i popoli non c'entrano un bel nulla, perché non sono stati essi a ideare e costruire l'Ue. Tutto è stato compiuto e si compirà al di sopra delle loro teste dai circoli borghesi dominanti europei conformemente ai loro interessi di classe e alle loro aspirazioni egemoniche, regionali e mondiali. Bisogna distruggerla, cominciando a tirarne fuori l'Italia”
.
Pertanto, se si accetta questa visione e quindi di lottare per l'uscita dell'Italia dalla Ue imperialista, occorre essere coerenti e rivendicare anche l'uscita dell'Italia dall'euro, poiché allo stato attuale i due sistemi sono indissolubilmente legati tra loro e l'uno non può esistere senza l'altro. Questa è attualmente la posizione di classe su cui occorre tenere dritta la barra e cercare di portare il nostro proletariato, l'unica coerente con la lotta per conquistare il socialismo in Italia e in Europa. In ogni caso non possiamo lasciare questa cruciale questione nelle mani della destra berlusconiana, neofascista e leghista e in quelle del narcisista e qualunquista di destra Grillo, né andare oggettivamente a rimorchio di chi vuole tenere i lavoratori e le masse popolari italiane inchiodati al carro dell'euro e della Ue imperialista col terrore delle conseguenze catastrofiche di un'uscita da essi.
2 aprile 2014