Faceva parte di un'organizzazione di stampo massonico collegata alla 'ndrangheta
Arrestato l'ex ministro Scajola (FI)
Ha favorito Matacena (FI) condannato per mafia, è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e peculato.Sospettati anche quattro poliziotti della sua scorta
Lo scorso 8 maggio l’ex ministro Claudio Scajola di Forza Italia (FI) è stato arrestato su ordine della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria con la gravissima accusa di aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena, noto imprenditore calabrese ed ex deputato del Pdl fuggito negli Emirati Arabi poco prima della condanna definitiva a 5 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l’accusa Scajola si sarebbe adoperato per favorire lo spostamento del compare di partito in Libano, Paese nel quale peraltro ha trovato rifugio anche il braccio destro di Berlusconi, Marcello Dell’Utri, prima che la sua condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa divenisse definitiva e che è tuttora in attesa di estradizione.
L’ex ministro è stato inoltre iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa - in quanto ritenuto appartenente a un’organizzazione di stampo massonico collegata alla ‘ndrangheta calabrese - e per peculato, in quanto gli viene contestato un uso strettamente personale della scorta composta da personale della polizia di Stato: a quest’ultimo proposito gli inquirenti sospettano che i quattro agenti della polizia di Stato in forza alla Questura di Imperia si siano prestati a scorrazzare illegalmente Scajola nei suoi incontri con i vari personaggi dell’organizzazione e in modo particolare con la moglie di Matacena, Claudia Rizzo.
Oltre a quello contro Scajola sono stati eseguiti altri provvedimenti cautelari, tutti relativi al sostegno della fuga di Matacena: sono finiti in carcere la moglie dell’imprenditore e politico calabrese Chiara Rizzo, sua madre Raffaella De Carolis, i suoi segretari Martino Polito e Maria Grazia Fiordilisi, il suo commercialista Antonio Chillemi e anche la segretaria di Scajola Roberta Sacco. Inoltre sono state eseguite numerose perquisizioni in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria e Sicilia, sono stati inoltre perquisiti gli uffici della Questura di Imperia e sono state sequestrate società commerciali italiane, collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro.
All’interrogatorio di garanzia condotto dal giudice per le indagini preliminari nel carcere romano di Regina Coeli Scajola si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Scajola, secondo i magistrati reggini, stava cercando di fare uscire Matacena da Dubai, dove tuttora si trova, per farlo andare in Libano dove sarebbe stato al sicuro dall’arresto per l’esecuzione della pena. Dopo essere scappato dall’Italia nel maggio 2013, infatti, Matacena ha girato alcuni Paesi fino ad arrivare negli Emirati Arabi dove era stato arrestato dalla polizia locale al suo ingresso nello Stato su segnalazione delle autorità italiane, tornando tuttavia in libertà pochi giorni dopo per un cavillo giuridico. Infatti negli Emirati Arabi non esiste il reato di criminalità organizzata e - in mancanza di un accordo bilaterale con l’Italia - non si poteva trattenere in carcere Matacena oltre il minimo indispensabile previsto da quella legislazione. D’altra parte però all’ex politico era stato ritirato il passaporto, quindi non poteva lasciare il Paese, ed è in questa fase che, secondo i magistrati italiani, Scajola avrebbe cercato di aiutare Matacena a trasferirsi in Libano.
In realtà l’inchiesta scoperchia molto di più del favoreggiamento di Scajola (ex boss DC di Imperia) verso il suo collega di partito: essa mette in luce una potente associazione segreta internazionale di stampo massonico animata da figure come il capo dei falangisti libanesi Amin Gemayel, vicepresidente dell’Internazionale democristiana, esponente di primo piano della destra cristiana, ex presidente del Libano e candidato alle imminenti elezioni presidenziali, e una serie di personaggi legati alla P2 di Licio Gelli come lo storico Emo Danesi e il giornalista Luigi Bisignani. Nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Scajola sono poi state perquisite le abitazioni di Giorgio e Cecilia Fanfani, ovvero i due figli dello statista democristiano nonché originario di Arezzo Amintore Fanfani. E poi c’è l’imprenditore calabrese Vincenzo Speziali, nipote dell’omonimo senatore di Forza Italia, che, grazie al suo matrimonio con una nipote di Gemayel, fa la spola fra Roma e Beirut e avrebbe avuto un ruolo importante anche nell’organizzare la latitanza di Dell’Utri in quel Paese.
Proprio Beirut, grazie a questa potente organizzazione massonica legata in particolar modo alla ‘ndrangheta calabrese e a Gemayel, è divenuta ormai da tempo il porto franco dei latitanti mafiosi, come dimostra anche una lettera scritta in lingua francese a firma del politico libanese, sequestrata a casa di Scajola al quale la lettera era indirizzata, in cui Gemayel rassicura l’ex ministro sul fatto che egli personalmente si interesserà per un comune amico che si trova a Dubai, e non è certo difficile pensare che si riferisca a Matacena.
Tutto questo hanno scoperto i magistrati reggini Giuseppe Lombardo e Federico Cafiero de Raho, eppure gli arresti di Scajola e degli altri difficilmente potranno impedire - data la potenza dell’organizzazione massonica - che Matacena con qualche cavillo possa raggiungere in Libano il padre fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, la cui procedura di estradizione è ancora tutta da definire e non è affatto detto che la giustizia italiana riesca a farlo rientrare: infatti il Paese arabo dovrà prossimamente eleggere il nuovo presidente il quale potrebbe negare l’estradizione di Dell’Utri per motivi politici, tenendo ben presente che uno dei candidati è proprio Amin Gemayel.
Tornando a Scajola poi, la sua intera vita politica è costellata da punti a dir poco oscuri: già sindaco democristiano di Imperia negli anni ’80 e ’90, sfiorato da inchieste di Mani Pulite, aderisce a Forza Italia nel 1995 ed entra in parlamento, diventando poi ministro dell’Interno tra il 2001 e il 2002, e gestendo come ben sappiamo il G8 di Genova che portò all’assassinio di Carlo Giuliani e alla macelleria criminale perpetrata dalle forze di polizia a Bolzaneto e alla scuola Diaz.
Rientrato al governo nel 2003 come ministro dell’Attuazione del programma, quindi nel 2005 alle Attività produttive e nel 2008 allo Sviluppo economico, fu costretto alle dimissioni nel 2010 per la vicenda della casa romana di via del Fagutale che si trova vicino al Colosseo, che risultò essere stata comprata a Scajola in parte dall’imprenditore e amico Diego Anemone che l’avrebbe acquistata (così disse il politico berlusconiano) addirittura a sua insaputa. Per questa vicenda Scajola fu incredibilmente assolto, come del resto fu archiviata l’inchiesta sul porto di Imperia partita nel settembre del 2010 che vide l'ex ministro indagato per associazione a delinquere. Ma i guai per Scajola non finiscono qui, infatti attualmente è in corso un’altra inchiesta, questa volta relativa a Finmeccanica, con i magistrati che ipotizzano il reato di corruzione internazionale in riferimento a un presunto tentativo di mediazione nell’affare delle forniture effettuate da Agusta Westland, Selex e Telespazio al governo di Panama nell’ambito di accordi stipulati con lo stato italiano attraverso la società panamense Agafia.
14 maggio 2014