Ucraina
Referendum in Donetsk e Lugansk: vince il sì all'indipendenza dall'Ucraina
Mosca auspica il dialogo tra esse e Kiev
Il risultato del referendum separatista dell'11 maggio nelle regioni russofone dell'Ucraina Sud-orientale di Donetsk e Luganskore a favore dell'indipendenza da Kiev era scontato, analogamente alla Crimea dove il 16 marzo scorso erano state votate la secessione dall'Ucraina e l'incorporazione nella Federazione russa.
Gli elettori erano circa 5 milioni, di cui 3,2 milioni nella regione di Donetsk e 1,8 milioni in quella di Lugansk e, secondo quanto dichiarato dal vice presidente della commissione elettorale dell'autoproclamata repubblica popolare di Donetsk, i votanti sono stati oltre il 74% degli aventi diritto; quasi il 96% dei voti di Lugansk e il 90% di quelli di Donetsk è andato a favore dell'indipendenza dall'Ucraina. Dati simili a quelli della Crimea, ma se allora il nuovo zar del Cremlino Vladimir Putin ci aveva messo solo due giorni per firmare l'accordo per il riconoscimento della Crimea come paese sovrano e indipendente e annettersi la penisola nel Mar Nero, questa volta ha tirato il freno a mano e auspicato il dialogo tra le due regioni e il governo centrale di Kiev.
Il comunicato dell'ufficio stampa del Cremlino affermava che Mosca “rispetta l'espressione della volontà della popolazione e spera nel dialogo tra i rappresentanti di Kiev, di Donetsk e di Lugansk”. Staremo a vedere se si tratti di una pausa momentanea voluta da Putin per non incendiare da subito e definitivamente l'Ucraina o un aggiustamento della tattica di Mosca che dopo il muro contro muro potrebbe “accontentarsi” di una soluzione che preveda uno statuto speciale per le due regioni, una forma di autonomia ma pur sempre all'interno di un Ucraina magari non dentro la Nato e in buoni rapporti con la Russia.
D'altra parte l'esito del referendum era quello di “dichiarare il nostro diritto di autodeterminazione, non vogliamo smettere di essere parte dell’Ucraina, tantomeno diventare parte della Russia”, affermava il responsabile della commissione elettorale di Donetsk. Smentito dal capo dell'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, che proclamava la sovranità del nuovo Stato in base ai risultati del referendum e annunciava di voler chiedere alla Russia di esaminare la richiesta di annessione.
Da parte del governo liberista e fascista di Kiev, spalleggiato dagli imperialisti Usa e Ue che sono i veri antagonisti dell'imperialismo russo, non ci sono dubbi, il referendum è stata una “farsa di propaganda senza conseguenze giuridiche”, ha affermato il presidente ucraino ad interim Oleksandr Turcinov. Che tra l'altro non ha fermato neanche nel giorno del voto l'offensiva dell'esercito, appoggiato da mercenari della statunitense Academy e da formazioni paramilitari del governativo partito neonazista Pravy Sektor, per riprendere il controllo delle città controllate dagli indipendentisti russofoni, probabilmente aiutati da Mosca.
Per Kiev e i paesi imperialisti occidentali l'unico voto che conta è quello delle presidenziali del 25 maggio. Obama ci punta per rafforzare il suo governo filo-occidentale e mettere le mani sul paese, o forse anche solo su una parte se non ci riesce con le regioni russofone dell'Est; Putin può permettersi di aspettare un momento e vedere se dalla consultazione uscisse un governo meno legato a doppio filo con Washinghton; l'Unione europea a guida tedesca sta con gli Usa ma punta sul fatto che comunque nei prossimi mesi l’architettura dell’Ucraina probabilmente dovrà essere cambiata in senso autonomista o federale per evitare che lo Stato si spacchi per conto suo, sotto la regia delle pressioni esterne. L'altra possibilità è che le frontiere siano modificate con le armi.
La Merkel e Hollande in una nota congiunta dell'11 maggio hanno chiesto esplicitamente al governo di Kiev di fermare gli attacchi e le truppe nelle regioni orientali. “L’uso illegittimo della forza per proteggere i beni e le persone deve essere proporzionato”, hanno affermato i due leader europei chiedendo a Kiev di “astenersi dal condurre azioni offensive prima delle elezioni” del 25 maggio. Stesso appello lanciato il 13 maggio dal ministro degli Esteri russo Lavrov. Appello al momento disatteso dal governo di Kiev.
14 maggio 2014