Al Congresso nazionale della CGIL
È mancata una risposta di lotta immediata alle posizioni antisindacale, antiprecari e piduiste di Renzi
Né Camusso né Landini sono andati a fondo nella critica al governo. Solo la mozione due ha chiesto lo sciopero generale
Occorre un unico sindacato per un futuro migliore dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani
In chiusura del XVII Congresso della CGIL, svoltosi dal 6 all'8 maggio al Palacongressi di Rimini, Susanna Camusso è stata riconfermata alla guida del sindacato di Corso d'Italia.
Una rielezione che, in virtù della soffocante maggioranza con cui si presentava alla vigilia, non è mai stata in discussione anche se, numeri alla mano, ne esce abbastanza indebolita dalla 3 giorni di Rimini.
Insomma, è andato tutto come previsto, o quasi: la segreteria forte dell'appoggio dei landiani partiva con il 96,7% dei consensi. Ma il primo segnale di cedimento della cosiddetta “maggioranza bulgara” è arrivato subito dopo la relazione della Camusso con Landini che annuncia la presentazione di una lista e un documento alternativo cercando consensi tra gli scontenti dell’area camussiana e in particolare tra i cosiddetti emendatari.
Camusso blinda il Congresso
La maggioranza reagisce con il segretario organizzativo Vincenzo Scudiere che dal palco annuncia una variazione alla procedura di presentazione delle liste dei nomi per il nuovo Direttivo riducendo notevolmente i tempi e intima che tale procedura va conclusa entro le 9,30 del secondo giorno di congreso. Una mossa studiata a tavolino proprio per ricompattare la maggioranza intorno alla Camusso e impedire all'opposizione interna e alla minoranza di riorganizzarsi.
“Nemmeno nelle peggiori assemblee condominiali – ha replicato Landini – si chiude una discussione ancor prima di aprirla, non appena chiusa la relazione del segretario generale. Così la discussione non è democratica e si conferma l’idea autoritaria di come si gestisce il sindacato”.
Le contraddizioni interne alla maggioranza
Le contraddizioni sono infine esplose al momento di eleggere il Comitato direttivo nazionale. La lista numero uno, primo firmatario la Camusso, è scesa a 747 voti, pari all'80,5% dei 953 delegati della platea congressuale con conseguente e significativo ridimensionamento dei camussiani nel parlamentino della CGIL; la lista numero due di Landini, primo firmatario Ciro D'Alessio, che puntava ad eleggere 15, al massimo 16 componenti, ha ottenuto invece 155 voti (16,7%) ed è riscito a piazzarne addirittura 25; mentre la lista 3 di Cremaschi, primo firmatario Sergio Bellavita, che partiva con 23 delegati pari al 2,4% e ha dovuto “mendicare” 7 firme tra i delegati della maggioranza per poter superare lo sbarramento del 3% necessario per presentare la lista, ha ottenuto 26 voti (2,8%) ed è riuscita ad eleggere 4 delegati. Venti sono state invece le schede bianche, mentre 6 delegati non hanno espresso il voto.
Un risultato non immaginabile alla vigilia, con diversi camussiani esclusi dal Comitato direttivo e il rischio concreto di rimanere senza poltrona. Rabbiosa la reazione della segretaria che, in violazione delle norme statutarie e del regolamento congressuale, ha tentato di piazzare i trombati nelle commissioni di garanzia scatenando la conseguente protesta di Landini e Cremaschi che ad un certo punto hanno anche minacciato di lasciare il Congresso. A mediare, Vincenzo Colla, segretario dell’Emilia Romagna, e Carla Cantone, segretaria Spi, che hanno chiesto alla maggioranza di fare un passo indietro.
La rielezione della Camusso
Solo a questo punto, raggiunto l’accordo sulle commissioni e salvato il salvabile, i 151 membri che compongono il nuovo comitato direttivo della Cgil hanno potuto procedere all'elezione del nuovo segretario, riconfermando la Camusso. I votanti sono stati 143, 105 i voti a favore, 36 contrari, 2 astenuti e 8 non votanti. Ma tra i 36 contrari almeno 14, più i 2 astenuti, sono riconducibili alla maggioranza camussiana. Quindi la Camusso esce dal Congresso con un consenso personale ancora più ridotto che dall’80,5% è sceso al 73,4% in rapporto ai 143 votanti del direttivo e cala al 69% se rapportato a tutti i 151 membri del direttivo aventi diritto al voto. Non a caso subito dopo il voto è sbottata accusando di “slealtà” i suoi e ha scatenato una vera e propria caccia ai “traditori” che potrebbero annidarsi sia tra i renziani della sua stessa maggioranza (che le hanno votato contro proprio per darle un segnale) che tra gli scontenti di ex di Lavoro e Società che non hanno sposato in pieno la linea camussiana e sono stati quindi più sensibili alle critiche di Landini. Una tesi respinta al mittente dallo stesso segretario della Fiom che non accetta l'accusa di “traditore” e torna a schierarsi al fianco della Camusso sentenziando: “È stato un comportamento ingeneroso verso la segretaria. Credo il malcontento si annidi nelle regioni”.
Il gioco delle parti
Un Congresso dunque che, nonostante i mal di pancia interni alla maggioranza, sancisce una netta vittoria della Camusso e la piena affermazione della sua linea filopadronale, filogovernativa e collaborazionista coi crumiri Bonanni di Cisl e Angeletti di Uil. Una linea che è stata oggetto di forti critiche nei rispettivi interventi sia da parte di Landini che di Cremeschi ma che alla fine, né l'uno né l'altro, hanno avuto il coraggio di portare fino in fondo e di trarne le dovute conseguenze ossia: chiedere di azzerare tutti i vecchi sindacati e lavorare per la costituzione di un unico sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale alle assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati in grado di garantire la reale rappresentanza di tutte le istanze del mondo del lavoro e assicurare davvero un futuro migliore alle nuove generazioni. Come hanno proposto i marxisti-leninisti delegati alle assemblee e ai Congressi di categoria. E che avrebbe voluto dire il compagno Franco Panzarella, invitato al Congresso nazionale per il documento 2, al qualo non è stata concessa la parola.
Dunque lo “scontro” tra la Camusso e Landini, enfatizzato oltremodo dalla stampa borghese, non è uno scontro di linea politica strategica ma è tutto interno alla maggioranza e si gioca lungo i binari di una vergognosa corsa allo scavalco verso destra per conquistare l'accredito come interlocutore privilegiato e affidabile di Renzi e del suo nero governo.
Dopo averla imposta ai lavoratori e utilizzata per firmare accordi infami contro la stessa volontà dei lavoratori, adesso Camusso e Landini attaccano addirittura da destra la concertazione e fanno finta di non vedere che il Berlusconi democristiano che siede a Palazzi Chigi ha di fatto già cancellato non solo le relazoni sindacali ma lo stesso sindacato, proprio come fece Mussolini.
Dietro la presunta “rottura” fra Landini e Camusso si cela una lotta intestina per la spartizione delle poltrone e per ottenere l'agognato invito al tavolo della sala Verde di Palazzo Chigi.
Ecco perché la Camusso nella sua relazione non ha praticamente replicato alle bordate di Renzi che ha sparato a zero contro la CGIL. Senza nemmeno citarlo, il massimo che è riuscita a dire è che: "L’autosufficienza della politica sta determinando una torsione democratica" evitando di denunciare i crimini sociali di cui si è macchiato Renzi e il suo nero governo, la sua politica economica in stretta continuità con la macelleria sociale di Berlusconi, Monti e Letta e soprattutto non ha smascherato il suo programma di riforme presidenzialiste e piduiste.
Lo stesso ha fatto Landini che, da un lato, ha esordito affermando che: “Questo doveva essere un congresso unitario e così non è stato”; ha rinfacciato alla Camusso il clamoroso silenzio sulla vertenza Fiat e l'espulsione della Fiom dalla fabbrica da parte di Marchionne; ha criticato aspramente l'unità sindacale con Cisl e UIL e in particolare le ovazioni dei camussiani all'intervento di Bonanni, proprio lui “che ha firmato per anni contratti separati, e accordi che hanno tenuto la Cgil fuori dalle fabbriche e ora viene qui a fare le lezioni di democrazia?”. Landini è poi tornato a denunciare il “metodo e il merito dell'accordo del 10 gennaio 2014” e lo stravolgimento del Congresso “perchè il confronto auspicato nella premessa della mozione 'Il lavoro decide il futuro' si è concluso prima ancora di cominciare, per l'atto compiuto dalla segretaria generale della CGIL”; ma alla fine Landini è rientrato nei ranghi “nessuna rottura o scissione” ma un invito al governo a sedersi su un tavolo e trovare insieme le soluzioni; nel suo intervento infatti, Landini come la Camusso, non solo ha evitato accuratamente di attaccare il governo ma addirittura ha strizzato l'occhio a Renzi ripetendo le stesse parole del premier, ossia: "Il sindacato deve essere una casa di vetro sui bilanci e sulle spese” e invocando anche un "codice etico" per l'organizzazione. Landini ha anche accolto l'invito della Camusso a riaprire una vertenza delle pensioni: “Sono d'accordo che vada riaperta la vertenza con il governo sulle pensioni, sulla questione fiscale e sugli ammortizzatori sociali". Ma su che basi?
Il sindacato è un'altra cosa
Gli unici a dare battaglia contro la maggioranza camussiana e il governo sono stati i delegati della mozione due. Cremaschi, nel suo intervento, ha esordito criticando la Camusso per non aver fatto parlare i familiari delle 32 vittime di Viareggio e di aver invitato Moretti alle giornate del lavoro che hanno preceduto il Congresso. Ha denunciato i brogli nei congressi di base e la scarsa democrazia interna. Il governo Renzi “è un nostro avversario: il suo disegno è quello di desindacalizzare il paese, pensando a un modello pieraccionesco (in realtà piduista, ndr) e populista. E lo è anche per la sua politica economica, come dimostra la vicenda degli 80 euro in più in busta paga per una parte dei lavoratori. Il costo complessivo è di circa 10 miliardi, il piano di tagli del ministro Padoan è di 34 miliardi, quindi questi 80 euro sono in realtà una redistribuzione al nostro interno pagata sempre da noi... il primo atto dell’esecutivo – ha detto ancora Cremaschi - è stato togliere il pezzo di istruzione pubblica presente nell’apprendistato e flessibilizzare i contratti a termine. Sono trent’anni che ci spiegano che flessibilità e riduzione dei diritti del lavoro servono ad assicurare sviluppo e competitività, ma abbiamo verificato che è una colossale bugia. Occorre allora reagire a muso duro, senza farsi spaventare, soprattutto recuperando, come ci chiedono i lavoratori, la piena indipendenza dai quadri politici”.
Mentre nel documento conclusivo della mozione due è stato messo nero su bianco che il testo unico sulla rappresenza “non può essere praticato soltanto in parte, né emendato o corretto. L'accordo va cancellato”. Si esprime “totale avversità al decreto Renzi/Poletti denominato jobs act, con il quale si condannano milioni di lavoratrici e lavoratori a una condizione di precarietà strutturale”. Mentre sul governo Renzi si è limitato a dire che “Dietro la demagogia del governo Renzi si profila una vera e propria svolta autoritaria. Il progetto di revisione della legge elettorale e i tentativi di manomissione in senso reazionario della Costituzione, la crescente repressione e criminalizzazione del conflitto sociale sono il segno di una torsione autoritaria (in realtà fascista, ndr)”.
Solo i sostenitori del documento 2 hanno chiesto la proclamazione di “un vero sciopero generale contro la politica economica e sociale del governo Renzi, contro le politiche del padronato... per l'abrogazione della legge Fornero
su pensioni e ammortizzatori sociali; la riconquista dell'art.18; la
cancellazione dell’art.8; un nuovo intervento pubblico in economia e la
nazionalizzazione delle grandi imprese in crisi; il reddito sociale (su questa rivendicazione
non siamo d'accordo, ndr) e il salario minimo; un piano straordinario sull'occupazione, a partire dal blocco dei licenziamenti e dalla riduzione degli orari; la ricostruzione di una pratica rivendicativa che aumenti i salari; contro Tav e grandi opere; contro le privatizzazioni; contro le spese militari, dagli F35 agli Eurofighter; contro il jobs act e la precarietà; contro i trattati imposti dalla Troika e dai governi italiani”.
14 maggio 2014