I grandi manager fanno parte dell'aristocrazia operaia?
Cari compagni,
rieccomi a voi di nuovo con una domanda teorica. Stavo discutendo con alcuni compagni in merito alle classi sociali nella società capitalista odierna.
La discussione verteva sul ruolo dei grandi manager nelle società multinazionali. Alcuni compagni ritengono che essi siano parte di una aristocrazia operaia o comunque dei lavoratori in quanto nonostante la posizione privilegiata essi non sono proprietari dei mezzi di produzione, ma sono solo dei salariati usati dagli azionisti. Naturalmente politicamente i manager non sono proletari da difendere, ma restando al dato economico la loro appartenenza di classe non sarebbe borghese.
Stando invece all'opuscolo nr. 13 del compagno Giovanni Scuderi però i manager sarebbero da classificare proprio come borghesi o addirittura parte dell'alta borghesia. Questo perché - se ho capito bene - Lenin non si basava solo sul rapporto di proprietà che i gruppi di persone (non) hanno coi mezzi di produzione per stabilire la classe sociale cui appartengono, ma anche su altri elementi che però fatico ad afferrare. Lenin (in "La grande iniziativa", 1919) diceva infatti che le classi si distinguono per:
1) il posto che occupano nel sistema di produzione sociale
2) il rapporto con i mezzi di produzione (fissato da leggi)
3) la loro funzione dell'organizzazione sociale del lavoro
Mi potreste spiegare questi 3 punti, perché fatico a distinguerli gli uni dagli altri concretamente e non capisco assolutamente come il rapporto coi mezzi di produzione possa essere "fissato da leggi"?
Vi ringrazio molto. Un caro saluto e viva il socialismo!
Max - Svizzera
Caro compagno Max,
i criteri seguiti per definire e individuare le classi sociali e il modo in cui concretamente si applicano per includere gruppi di persone ora in questa ora in quella classe sociale e per tracciarne i confini sono una questione più che mai controversa e dibattuta. Al punto che settori consistenti della stessa sociologia borghese, per sottrarsi a un conflitto che finirebbe per mettere a nudo le insanabili disuguaglianze su cui si fonda il sistema economico e politico capitalistico, contestano l'idea stessa di classi sociali preferendo parlare di ceti e di stratificazione a più dimensioni. E non c'è da stupirsene perché il sistema borghese vanta l'uguaglianza formale di tutti i cittadini, contrariamente al feudalesimo e allo schiavismo dove le classi erano persino codificate.
Non devi deprimerti se trovi l'argomento oscuro e non riesci a distinguere tutti gli elementi che Lenin indica come decisivi per distinguere una classe dall'altra. Diverso e assai più chiaro e incontrovertibile è il caso della discussione da te avuta con alcuni compagni che con motivazioni fantasiose e grottesche arrivano a includere addirittura i grandi manager delle società multinazionali all'interno del proletariato, sia pure nella aristocrazia operaia. Motivazioni che non rivelano semplicemente una scarsa comprensione dell'analisi marxista-leninista delle classi ma tradiscono il tentativo opportunistico di annacquare il proletariato fino a includervi persino i medio-alti borghesi.
Nessuno dei grandi Maestri del proletariato internazionale ha mai ridotto la distinzione tra proletariato e borghesia semplicemente a quella tra salariati o non salariati. E quei compagni che sono invece sostenitori di questa volgare banalizzazione sono poi costretti a contraddirsi laddove capiscono che i manager non sono politicamente difendibili quantunque sarebbero, a loro dire, da includere economicamente nel proletariato.
Peraltro ti ricordiamo che da sempre i riformisti socialdemocratici e i rinnegati revisionisti hanno fatto leva su un preteso allargamento dei confini della classe operaia per prepararsi a tradirla e a sposare anche formalmente la causa della borghesia. Negli anni settanta il PCI revisionista si preparava al governo con la DC e alla rinuncia definitiva a ogni idea di socialismo teorizzando strumentalmente che i quadri tecnici dovessero annoverarsi tout court tra gli operai. A quelle teorizzazioni ingannevoli ne seguirono molte altre fino alla tesi della scomparsa della classe operaia. Vedi, dunque, quanto è importante non lasciarsi infinocchiare da erronee definizioni di proletariato. Se si sbaglia l'individuazione di chi sono i nostri amici e chi i nostri nemici non riusciremo mai a realizzare l'obiettivo per cui sono nati gli autentici comunisti: rovesciare il capitalismo e dare il potere politico al proletariato. E tanto più incorreggibile sarà l'errore se esso riguarderà proprio quella classe che essi rappresentano e che ha la missione storica di creare il socialismo.
La citazione di Lenin richiamata dal compagno Scuderi è la più completa e chiara definizione di classe sociale che ne hanno dato i Maestri. "Si chiamano classi
– scrive Lenin nell'opera “La grande iniziativa” del 1919- quei grandi gruppi di persone che si distinguono tra di loro per il posto che occupano in un sistema storicamente determinato di produzione sociale, per il loro rapporto (per lo più sanzionato e fissato da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell'organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo in cui ottengono e per la dimensione che ha quella parte di ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sono gruppi di persone, l'uno dei quali può appropriarsi il lavoro dell'altro grazie al differente posto che occupa in un determinato sistema di economia sociale
" Lenin, Op. complete, Ed. Riuniti, vol. 19, pag. 384
La definizione di classe sociale fornita da Lenin è una sintesi esemplare dal punto di vista sia materialista sia dialettico. E merita una seria e approfondita riflessione.
I criteri indicati da Lenin per distinguere le classi sono tre:
Il posto che occupano in un sistema storicamente determinato di produzione sociale
. Spetta a Marx il merito di aver dimostrato che l'esistenza delle classi è connesso a determinate forme storiche di società. Ciò significa che le classi sono definibili non in astratto o in modo univoco nella storia umana ma sempre in concreto, ovvero in rapporto a un determinato sistema economico. L'apparizione delle classi coincide con lo sviluppo della divisione del lavoro e il sorgere della proprietà privata. Esse esistono, compaiono, mutano o si estinguono in relazione al sistema economico dominante e alla sopravvivenza di forme secondarie di produzione. In epoca imperialista alcune classi sono praticamente scomparse, come i proprietari di schiavi, altre sono fortemente ridimensionate o sono in via di estinzione, come la nobiltà, la quale subisce una trasformazione fino a imborghesirsi e a identificarsi con la borghesia (com'era accaduto fin da subito nel corso della Rivoluzione industriale inglese), altre ancora, come la gran massa dei contadini poveri, hanno nel tempo subito una drastica riduzione e insieme un processo di proletarizzazione. Nel contempo ai parassiti che vivono della rendita fondiaria si sono affiancati un nuovo strato di borghesi alimentato dal parassitismo, rendita e speculazione finanziari. L'interesse di Marx non si riduceva all'ambito storico e sociologico ma investiva la politica e i destini della società umana: "Quel che ho fatto di nuovo è stato di dimostrare: 1) che l'esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione; 2) che la lotta di classe necessariamente conduce alla dittatura del proletariato; 3) che questa dittatura stessa costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi
". (Lettera di K. Marx a Giuseppe Weydemeyer, 5 marzo 1852
)
Il rapporto (per lo più sanzionato da leggi) con i mezzi di produzione.
Sei uno schiavo salariato, cioè sei costretto a vendere la tua forza-lavoro, o sei un capitalista proprietario dei mezzi di produzione che si appropria del plusvalore e del profitto prodotto dagli operai? Hai un rapporto diretto o indiretto con i mezzi di produzione? Sei un artigiano proprietario dei mezzi di produzione che produce per te stesso il plusvalore o ti avvali del lavoro salariato di un certo numero di operai? Le leggi di cui parla Lenin sono quelle che legano lo schiavo al padrone di schiavi, il servo della gleba al signore feudale, l'operaio moderno al capitalista. Quelle leggi che sembrano naturali ma che naturali non sono. Come al padrone di schiavi appariva naturale disporre della vita e della morte dei propri schiavi insieme alla proprietà dei mezzi di produzione, così il capitalista moderno guarda alla schiavitù salariata come all'unica e migliore forma economica. Tu ci domandi quali sono queste leggi. Ebbene la più importante nel sistema economico capitalistico è questa: la capacità di lavoro, venduta da ciascun operaio al capitalista che lo assume, viene considerata alla stregua di qualsiasi altra merce, viene cioè pagata tanto quanto basta a riprodurla, dando con ciò al capitalista il diritto di appropriarsi dell'intero frutto del lavoro operaio. Nasce da qui, secondo Marx, l'alienazione dell'operaio rispetto all'artigiano tradizionale: “L'alienazione dell'operaio nel suo oggetto si esprime, secondo le leggi dell'economia politica, in modo che, quanto più l'operaio produce, tanto meno ha da consumare, e quanto più crea dei valori, tanto più egli è senza valore e senza dignità, e quanto più il suo prodotto ha forma, tanto più l'operaio è deforme, e quanto più è raffinato il suo oggetto, tanto più è imbarbarito l'operaio, e quanto più è potente il lavoro, tanto più impotente diventa l'operaio, e quanto più è spiritualmente ricco il lavoro, tanto più l'operaio è divenuto senza spirito e schiavo della natura
.” (Manoscritti economico-filosofici del 1844, Op. complete, Ed. Riuniti, vol. 3 pag. 299) La borghesia si differenzia dalle classi sfruttatrici che l'hanno preceduta semplicemente per come esercita il suo sfruttamento su uomini che formalmente e apparentemente godono degli stessi diritti degli altri uomini, pur essendo sfruttati salariati. Depredati e oppressi come in passato lo erano l'antico schiavo o il servo della gleba. Ecco perché Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista spiegano che il moderno capitalismo non ha eliminato il conflitto tra le classi ma “ha soltanto posto nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo delle antiche.”
La funzione nell'organizzazione sociale del lavoro.
Questo terzo criterio è estremamente utile e illuminante perché esamina la funzione svolta nella società e quindi, aggiunge Lenin, il modo e l'entità di ricchezza sociale di cui si appropriano i diversi gruppi di persone
. Un alto burocrate statale è anzitutto un lavoratore improduttivo e svolge la funzione di gestire, organizzare e dirigere la macchina statale borghese, finendo per ricevere un compenso proporzionato a tale funzione, assai superiore al salario medio operaio, che, come ben sai, garantisce appena la rigenerazione e sopravvivenza della forza-lavoro. Le classi non sono definite dal reddito, come propongono quanti vogliono spostare l'asse dai rapporti di produzione ai rapporti di distribuzione, e tuttavia il reddito percepito entra in gioco in modo subordinato, quale espressione della funzione svolta nella società borghese. Alcuni tipi di tecnici in fabbrica sono pur sempre salariati che partecipano alla produzione e valorizzazione del capitale e tuttavia il loro rapporto con i mezzi di produzione risulta più sfumato mentre il loro stipendio è in misura diversa superiore al salario medio operaio. In taluni casi la loro posizione è assimilabile all'aristocrazia operaia più tradizionale, di cui parla Marx. Sono in molti casi i sottufficiali e non la truppa dell'esercito industriale. Ci sono tecnici e tecnici. Per esempio non c'è dubbio che i cronometristi concorrono a valorizzare il capitale, sono lavoratori produttivi, tuttavia in fabbrica svolgono un ruolo analogo a quello dei caporali o sergenti in un esercito, ecco perché per poter giustamente individuare la loro collocazione di classe bisogna anche considerare la loro funzione nell'organizzazione del lavoro.
Ma c'è un'avvertenza che Lenin formula nel periodo finale della citazione, che può essere considerata una sorta di quarto e conclusivo criterio, ovvero che ci si può appropriare il lavoro altrui sia in forma diretta come fa il capitalista sia in forma indiretta, in base al differente posto occupato in un determinato sistema di economia sociale. Il che significa che si può appartenere alla classe sfruttatrice anche se formalmente non si posseggono i mezzi di produzione, perché è il posto occupato nell'organizzazione sociale a garantire la partecipazione al banchetto del profitto capitalistico in porzioni diverse secondo il grado occupato e il ruolo svolto.
E ora chiariamo al meglio il perché i grandi manager industriali non fanno parte dell'aristocrazia operaia ma della borghesia medio-alta. I loro stipendi milionari non sono in alcun modo assimilabili a un salario operaio, anzitutto perché in genere sono corrisposti in parte in denaro e in altra parte in azioni dell'azienda capitalistica che sono chiamati a gestire e dirigere. Il nuovo Valletta Marchionne ha ricevuto nel 2013 un compenso in euro pari a 5,7 milioni ma la somma delle azioni oggi possedute dal numero uno della Fiat (3 milioni) e quelle che otterrà entro il febbraio 2015 è pari a un un pacchetto di circa 27 milioni di azioni, il 2,2% della società. Di recente Marchionne insieme a Elkann hanno acquistato oltre 130mila azioni Fiat ciascuno. E' dunque chiaro che non c'è nessunissima differenza tra un Marchionne e un Agnelli, se non nell'entità del patrimonio azionario posseduto. Analogamente a Marchionne tutti i grandi manager finiscono per possedere una quota più o meno rilevante dell'azienda in cui lavorano o hanno lavorato, sono cioè dipendenti e insieme azionisti.
Quand'anche disponessero solo del loro stipendio più o meno ricco, i manager non potrebbero comunque essere considerati aristocrazia operaia poiché essi sono i generali e i colonnelli dell'esercito industriale, di cui parla Marx, mentre gli operai ne sono i semplici soldati. L'aristocrazia operaia è costituita da operai altamente qualificati, che occupano ristretti e superiori settori produttivi, in grado di godere di condizioni di lavoro individuali e salari privilegiati. Niente a che vedere con i manager, il cui stipendio solo per una insignificante frazione è formato dall'equivalente dei mezzi di sostentamento mentre per la parte preponderante è alimentato dal plusvalore. Il grande manager può non possedere una quota dei mezzi di produzione ma fa parte della borghesia medio-alta “in quanto personificazione del capitale nel diretto processo di produzione
”, per dirla con Marx, e in virtù della “funzione sociale che egli riveste nella sua qualità di dirigente e di dominatore della produzione
”. (Capitale, Libro III, cap.51) Con ciò non vogliamo dire che i manager sono dei capitalisti, come ha ben chiarito Marx nel Capitale, a cui ti rimandiamo (cfr. Il Capitale, Libro III, Cap. 23, Interesse e guadagno di imprenditore). “In alcune società capitalistiche per azioni
-scrive Marx in quel capitolo- lo stipendio dei dirigenti viene qui defalcato dal profitto lordo
”.
I manager sono il braccio operativo dei capitalisti, la loro missione è quella di spremere il massimo profitto capitalistico, tant'è che solitamente nelle controverse sindacali rappresentano la controparte degli operai chiamata a trattare e siglare gli accordi con i dirigenti sindacali. E così gli azionisti, che non hanno alcun ruolo operativo ma si aspettano di ricevere periodicamente la loro quota di profitti, per ricompensare profumatamente questi cani da guardia del capitale, destinano loro una fetta del plusvalore estorto agli operai, tanto più ricca quanto più costoro saranno stati capaci col loro operato in azienda di arricchirli.
Ci auguriamo di aver contribuito a chiarire i tuoi dubbi, contraccambiamo i saluti e gridiamo insieme a te viva il socialismo mentre ci impegniamo a sviluppare la lotta di classe per conquistarlo.
4 giugno 2014