Dell'Utri si rifugia in Libano per sfuggire all'arresto
Il 9 maggio la I sezione penale della Corte di Cassazione, (proprio quella del famigerato giudice ammazzasente Corrado Carnevale), ha respinto il ricorso degli avvocati difensori e ha quindi confermato in via definitiva la condanna inflitta il 25 marzo 2013 dalla Corte d'Appello di Palermo a 7 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Marcello Dell’Utri: cofondatore insieme a Berlusconi di Forza Italia nonché senatore della Repubblica fino a qualche mese fa.
La Cassazione ha dunque accertato che per diciotto anni Dell’Utri ha regolato i rapporti tra i boss di Cosa Nostra (prima guidata da Stefano Bontade e poi, dopo la “mattanza”, dai corleonesi di Totò Riina) e Berlusconi, con l’ex premier che negli anni ha elargito enormi somme di denaro ai padrini siciliani.
Per non finire in galera Dell'Utri si è rifugiato a Beirut dichiarandosi addirittura “prigioniero politico”. Ma ora pare proprio che, dopo quasi mille udienze, migliaia di pagine di deposizioni, più di trecento testimoni, due processi d’appello, una sentenza di rinvio della Cassazione e una latitanza lampo in Libano: a vent’anni esatti dall’iscrizione nel registro degli indagati, per Dell’Utri sia arrivato finalmente il momento di cominciare a pagre il suo lungo conto con la giustizia.
La richiesta per la sua estradizione è stata già consegnata il 18 maggio nelle mani del Presidente della Repubblica libanese, mentre i funzionari italiani dell’interpol a Beirut e quelli libanesi stanno concordando le modalità del rimpatrio che potrebbe avvenire entro la fine di questa settimana con un aereo della compagnia di bandiera dello Stato richiedente l’estradizione, quindi Alitalia, e con destinazione la città di residenza, ossia Milano dove Dell'Utri arriverà ammanettato e scortato dalle forze internazionali della gendarmeria libanese e, appena scenderà dalla scaletta dell’areo e toccherà il suolo italiano, verrà condotto in carcere a bordo di un blindato della polizia.
Dovrebbe terminerà così anche la latitanza trascorsa prevalentemente piantonato nel reparto di prima classe dell’ospedale privato Al Hayat a Beirut.
Le prime notizie inerenti l'attività mafiosa di Dell'Utri furono inserite negli atti della procura di Palermo nel fascicolo numero 6031/94 che segna l’inizio della storia giudiziaria di Dell’Utri. Ad accusarlo di contiguità con Cosa Nostra sono diversi pentiti: è lui l’uomo cerniera che fin dal 1974 ha fatto da intermediario tra i boss palermitani e Berlusconi, allora giovane imprenditore milanese bisognoso di protezione e finanziamenti. Per questo motivo ad Arcore viene “assunto” Vittorio Mangano, ufficialmente stalliere di Villa San Martino, in realtà boss della famiglia palermitana di Porta Nuova.
Dell'Utri fu condannato a nove anni in primo grado per concorso esterno, poi diventati sette in appello. La sentenza approda per la prima volta in Cassazione già il 9 marzo 2012, quando la Suprema Corte certifica i rapporti con Cosa Nostra fino al 1977, chiedendo però un nuovo processo d’appello che provasse adeguatamente il rapporto con la piovra tra il il 1977 e il 1982, periodo in cui l’ex senatore va a lavorare dal finanziere Filippo Alberto Rapisarda. “I rapporti tra Cosa Nostra e Dell’Utri non si sono mai interrotti e si sono protratti senza soluzione di continuità dal 1974 fino al 1992” ha sottolineato il sostituto procuratore generale Aurelio Galasso, chiedendo alla corte presieduta da Maria Cristina Siotto di confermare la condanna a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa Nostra, inflitta per la seconda volta in appello a Dell’Utri il 25 marzo 2013. La nuova sentenza degli ermellini era prevista originariamente per il 15 aprile scorso, ma era stata rinviata dopo che i legali di Dell’Utri, gli avvocati Massimo Krogh e Giuseppe Di Peri, avevano fatto pervenire alla corte due certificati medici che attestavano la loro impossibilità a seguire l’udienza.
Nel frattempo per l’ex senatore di Forza Italia era già stato spiccato un mandato di cattura dalla corte d’appello di Palermo, messa in allarme dalla Dia su una possibile fuga dell’imputato all’estero. Fuga raccontata dal fratello gemello dell’ex senatore, Alberto Dell’Utri, in una chiacchierata con l’amico Vincenzo Mancuso all’interno del ristorante romano Assunta Madre, mentre le cimici della procura capitolina registravano tutto. E in effetti quando gli ufficiali della Dia sono andati a cercare Dell’Utri per trarlo in arresto, l’ex senatore era già in fuga dall’Italia, a Beirut, in Libano, dove era arrivato con un volo da Parigi. Una latitanza lampo quella dell’ex presidente di Publitalia, dato che gli agenti dell’intelligence libanese sono riusciti a rintracciarlo all’hotel Phoenicia di Beirut già il 12 aprile.
4 giugno 2014