Crescita a -0,1%
La ripresa non c'è, crolla il Pil
Altro che “speranza, ottimismo e fiducia nel futuro”; altro che “inizio di un nuovo boom, come quello degli anni Sessanta”; mentre il Berlusconi democristiano Renzi esulta per il “risultato storico” ottenuto dal PD alle elezioni europee e amministrative del 25 maggio, l'economia italiana va a picco e torna ai livelli di 14 anni fa.
Dopo la “ripresina” di +0,1% registrato a fine 2013, nel primo trimestre 2014 il prodotto interno lordo italiano (Pil) è tornato a scendere di nuovo: -0,1% rispetto ai tre mesi precedenti, -0,5% rispetto allo stesso periodo del 2013. Un risultato negativo che diventa drammatico se si guarda ai valori assoluti: il Pil non scendeva così in basso (340.591 miliardi) dal 2000.
Per trovare un valore inferiore cioè 338.362 miliardi, bisogna tornare indietro nell'era pre euro e tenere presente che, a quel tempo, l’economia era in crescita, mentre oggi è in recessione conclamata.
Ma non è tutto, perché l’Istat, che ha diffuso i dati il 15 maggio, ha comunicato anche che per il 2014 la crescita “acquisita” – cioè quella che si avrebbe a fine anno se nei prossimi trimestri l’economia non crescesse – è pari a -0,2 per cento.
“Nel primo trimestre del 2014 – sottolinea l'Istat in un comunicato - il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2005, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dello 0,5% nei confronti del primo trimestre del 2013.
Il calo congiunturale è la sintesi di un incremento del valore aggiunto nel settore dell'agricoltura, di un andamento negativo nell'industria e di una variazione nulla nel comparto dei servizi. Il primo trimestre del 2014 ha avuto una giornata lavorativa in meno del trimestre precedente e una giornata lavorativa in meno rispetto al primo trimestre del 2013.
Nello stesso periodo il Pil, in termini congiunturali, è aumentato dello 0,8% nel Regno Unito e ha segnato una variazione nulla negli Stati Uniti. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 3,1% nel Regno Unito e del 2,3% negli Stati Uniti. La variazione acquisita per il 2014 è pari a -0,2%”.
l'Istat spiega anche che il calo congiunturale è da imputare a un incremento del valore aggiunto dell’agricoltura, alla stagnazione dei servizi e al profondo rosso dell’industria. Il paese non produce, non consuma, ed è il fanalino di coda nell’Europa della crescita anemica. Peggio hanno fatto solo l’Estonia (-1,2%), l’Olanda (-1,4%), il Portogallo (-0,7%).
Immediato il contraccolpo negativo in Piazza Affari, che in poche ore ha bruciato 17,6 miliardi e perso il 3,6%, mentre i titoli di Stato hanno registrato una crescita degli interessi al 3,1% portando il famigerato spread oltre i 180 punti.
Dati e percentuali che fanno a cazzotti con le previsioni di Renzi e del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che nel Documento di economia e finanza avevano assicurato una “crescita prudente e rigorosa” dello 0,8 per cento nel 2014. Stime e cifre a dir poco “ottimistiche” subito smentite e ridimensionate dal Fondo monetario e dalla Commissione Ue che avevano parlato di una crescista non oltre lo 0,6% e ora definitivamente affossate dai dati Istat che aprono scenari ben peggiori sul fronte economico e finanziario e della macelleria sociale a cui sono sottoposte le masse popolari e lavoratrici.
Padoan ha evitato ogni commento e si è affidato a un tweet in cui scrive: “Pil speculazione spread… Teniamo alta la guardia: testa alla crescita, occhi sui conti, cuore all’occupazione” e, aggiungiamo noi, mano al portafogli.
Mentre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio con perfetta faccia di bronzo ha ribadito che “il Paese sta reagendo, vediamo la tendenza della ripresa” e “abbiamo fiducia nelle misure messe in campo”, come “il pagamento dei debiti della Pa, gli 80 euro, il taglio dell’Irap e l’applicazione della legge Sabatini”.
L’istituto di ricerche Nomisma ha confermato senza mezzi termini che “l’Italia è praticamente in stagnazione” e, anche tenendo conto di possibili rialzi nei successivi trimestri, “il Pil si attesterà allo 0,2%-0,3% e sarà molto difficile raggiungere la crescita dell’1,3% prevista nel Def per il 2015”.
Renzi ha già chiesto il rinvio del pareggio di bilancio al 2016 alla Commissione Ue che deciderà il prossimo il 2 giugno. Ma con questi dati è molto probabile che invece del rinvio arrivi una una procedura d’infrazione che prevede altre “riforme strutturali”, privatizzazioni, tagli alla spesa sociale, ulteriore precarizzazione del lavoro e conseguente aumento dei disoccupati.
Insomma se il 2014 doveva essere “l’anno di uscita dalla crisi” l'inizio è a dir poco catastrofico. A meno che Renzi e il suo governo non puntino tutto sul nuovo Sistema europeo dei conti nazionali e regionali, “Sec 2010”, che sostituirà il Pil e sarà adottato in tutta Europa da settembre. Infatti questo nuovo indice di calcolo, basato su parametri che tengono ancora meno in conto l'andamento dell'economia reale, ha la capacità taumaturgica di assicurarci già a partire dal 3 ottobre 2014, quando verranno diffusi i nuovi conti economici annuali, una “crescita” virtuale del Pil tra l’1 e il 2%.
4 giugno 2014