Al Sud il 60,9% senza lavoro
Un giovane su due è disoccupato
In totale 3 milioni e 487 mila stanno a casa
Sull'Italia che il Berlusconi democristiano Renzi si vanta di stare cambiando sono piovuti come una doccia gelata i dati sull'occupazione nel 1° trimestre 2014 rilevati ad aprile e pubblicati a giugno dall'Istat, che non solo confermano che il lavoro continua inesorabilmente a calare, ma che la disoccupazione, e in particolare quella giovanile, ha raggiunto proprio adesso il livello più alto da 37 anni a questa parte, da quando cioè l'istituto nazionale di statistica ha iniziato a pubblicare la serie storica dei rilevamenti annuali.
I disoccupati tra i 15 e i 64 anni hanno raggiunto infatti la cifra totale di 3 milioni e 487 mila, pari al 13,6% delle forze di lavoro, ma tra queste, nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni, i disoccupati alla ricerca disperata di un lavoro qualsiasi rappresentano ben il 46%, cioè quasi la metà, e al Sud sono addirittura la maggioranza, il 60,9%. Cifre mostruose, specie se comparate con quelle già non esaltanti, ma comunque molto meno gravi, della media europea, che secondo i dati diffusi contemporaneamente da Eurostat è in leggero calo e si attesta all'11,7% per i disoccupati in generale e al 23,5% per i giovani, esattamente la metà dei nostri. Peggio di noi, ma ormai di poco, fanno solo la Grecia, col 56,9% di giovani disoccupati, Spagna (53,5%) e Croazia (49%). Anche perché l'aumento di disoccupati (totali) che c'è stato nell'ultimo anno (vedi tabella 1) è stato imponente: il 6,5%, pari a +212 mila unità tra il primo trimestre del 2013 e il primo trimestre 2014, con una punta del +23,5% nel Centro Italia, e se questa tendenza non cambia non ci vorrà molto tempo a raggiungere il gruppo di testa.
Flagellato ancor di più il Sud
Sempre dalla tabella 1 diffusa dall'Istat si rileva altresì che quasi la metà dei disoccupati (1 milione e 603 mila) è concentrata nel Mezzogiorno, e che questa forbice si sta continuamente allargando, visto che anche l'incremento di 212 mila disoccupati che c'è stato negli ultimi 12 mesi è ripartito in misura più che doppia al Sud rispetto al Nord: il 7,3%, pari a 109 mila unità al Sud, contro il 3,5%, pari a 40 mila unità al Nord. L'Istat rileva anche che oltre la metà dei nuovi disoccupati registrati nell'ultimo anno sono persone in cerca di primo impiego: 127 mila persone, quasi tutte giovani tra i 15 e i 34 anni, un balzo del +15,2% in un anno. E che praticamente tutti i nuovi disoccupati sono persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi. Tant'è che la disoccupazione di lunga durata ha avuto un balzo dal 54,8% del 1° trimestre 2013 al 58,6% di oggi. Ma quel che è peggio è che nel numero dei disoccupati sono conteggiate solo le persone che cercano attivamente un lavoro (almeno una volta nelle quattro settimane prima della rilevazione). Non sono invece conteggiate altre 2 milioni e 442 mila persone che il lavoro hanno smesso di cercarlo perché scoraggiate, tra cui 2 milioni di cosiddetti “neet”, giovani che non lavorano, non studiano e non fanno formazione, semplicemente languono in casa e per le strade.
Dilaga la disoccupazione giovanile
Oltre che dai suddetti livelli assoluti questa allarmante situazione è confermata in pieno anche in termini relativi dai dati sul tasso di disoccupazione, che è il rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze di lavoro (occupati+disoccupati dai 14 ai 64 anni, pari a circa 25 milioni e 660 mila unità), come si può vedere dalla tabella 2. Il tasso di disoccupazione nazionale, in crescita ininterrotta da ben 11 trimestri, ha raggiunto oggi il 13,6%, con un incremento dello 0,8% in un anno, e al Sud è salito al 21,7%, con un incremento doppio, l'1,6%. Ma se si considerano solo le donne, al Sud l'incremento è addirittura triplo (2,3%), mentre al Nord il tasso di disoccupazione è rimasto stabile e al Centro la disoccupazione femminile è leggermente diminuita. Calabria, Campania e Sicilia detengono il triste record di disoccupati tra le regioni del Meridione, con tassi rispettivamente del 25,4%, 23,5% e 23,2%.
Se poi invece dell'intera massa dei disoccupati si considera solo la fascia dei giovani dai 15 ai 24 anni (tabella 3), la situazione assume aspetti veramente drammatici, con il 46% di senza lavoro (+4,1% in un anno), cioè la metà dell'intera forza lavoro giovanile, 347 mila persone, cercano oggi inutilmente una qualsiasi occupazione in Italia. Nel Mezzogiorno, poi, i giovani disoccupati sono il 60,9%, con un incremento del 9% in un anno, il doppio di quello nazionale e il quadruplo di quello del Nord!
La piaga della disoccupazione giovanile appare anche più grave se vista in rapporto all'intera massa dei giovani, come per esempio guardandola dal lato del tasso di inattività, che è il rapporto tra le persone non appartenenti alle forze di lavoro e la popolazione (tabella 4). Mentre infatti gli inattivi totali (popolazione meno forze di lavoro tra i 15 e i 64 anni) sono meno di 4 su 10 e risultano leggermente diminuiti, nella fascia 15-24 anni gli inattivi sono invece 7 su 10 (73,2%, con un incremento dello 0,8 in un anno), e quasi 8 su 10 (77,1%) tra le donne.
Aggravata anche la piaga del precariato
Il quadro non cambia sostanzialmente neanche con i dati destagionalizzati, ossia epurati dai fattori stagionali, che presentano cifre leggermente inferiori a quelle non destagionalizzate finora esposte, ma comunque sempre da record negativo (vedi tabella 5).
E gli effetti sociali si vedono: tra il 2008 e il 2013 la crisi ha espulso dal lavoro 1 milione e 830 mila giovani tra i 15 e i 34 anni, mentre in 94 mila hanno lasciato l'Italia e oggi l'Istat stima che un giovane su tre è “sovraistruito per il lavoro che svolge”, compresi molti laureati in ingegneria. É ricominciata l'emigrazione, e non solo di giovani e laureati e non soltanto verso l'estero, ma anche all'interno, da Sud a Nord come negli anni '50 e '60: un'emorragia pari a 87 mila persone ogni anno dal 2003 al 2013.
Anche la piaga del precariato si è aggravata nell'ultimo anno. Sono infatti diminuiti gli occupati a tempo pieno (-1,4%, pari a -255 mila unità), e tra questi oltre il 60% dei casi riguarda contratti a tempo indeterminato. Sono invece aumentati (ma non altrettanto) gli occupati a tempo parziale (+1,1%, pari a +44 mila unità), ma la crescita riguarda esclusivamente il part time involontario, che coinvolge il 62,8% dei lavoratori a tempo parziale.
Unica ricetta il liberismo
E c'è da considerare che questi dati non risentivano ancora degli effetti del decreto Renzi-Poletti che ha liberalizzato i contratti a termine e l'apprendistato! Senza contare poi il Jobs Act in preparazione, che abolirà l'articolo 18 per i neo assunti, e la controriforma degli “ammortizzatori sociali” che quando sarà approvata getterà sulla strada altre migliaia di lavoratori che oggi hanno ancora quel minimo di protezione che offre la cassa integrazione in deroga.
L'aria che tira l'ha annunciata chiaramente il ministro del Lavoro Poletti, parlando il 7 giugno al convegno dei giovani industriali di Santa Margherita Ligure, più applaudito dello stesso Squinzi a suo fianco sul palco, quando ha detto che “dobbiamo cambiare testa. Liberarci del retropensiero sbagliato secondo cui l'impresa è il luogo dove si sfrutta il lavoro. L'idea storica del conflitto non ce la fa più a interpretare il mondo di oggi”. E mandando i giovani padroni letteralmente in delirio quando ha attaccato la concertazione e la CGIL, tanto che il moderatore di turno ha osservato di non capire chi dei due fosse il presidente di Confindustria.
Un grottesco show che il rinnegato ex presidente delle coop “rosse” ha ripetuto il giorno dopo sul palco compiacente della “Repubblica delle idee” a Napoli, ribadendo che “serve un cambiamento radicale della cultura del lavoro”, e avendo la faccia tosta di definire “di sinistrissima” il suo decreto filopadronale che liberalizza il lavoro a termine e l'apprendistato.