In un Brasile militarizzato
Cortei popolari contro lo sperpero del Mondiale

 
Nel pomeriggio del 12 giugno a San Paolo la polizia usava lacrimogeni, proiettili di gomma sparati ad altezza d’uomo e granate stordenti per disperdere una manifestazione contro i Mondiali di calcio. Il corteo voleva raggiungere lo stadio del Corinthias, dove si sarebbe svolta la cerimonia inaugurale e la partita inziale del torneo. Il bilancio degli scontri è stato di decine di arresti e altrettanti feriti.
I manifestanti si erano radunati nei pressi della stazione della metropolitana Carrao, a circa 13 chilometri dallo stadio da dove era partito il corteo dietro uno striscione rosso con la scritta "Se non abbiamo diritti, non ci sarà il Mondiale". Alcuni manifestanti portavano le immagini della decina di lavoratori morti nei cantieri aperti per la ristrutturazione e costruzione degli stadi dove si svolgeva la Coppa del mondo. Quando il corteo ha tentato di dirigersi verso lo stadio è partita la carica della polizia che lo ha disperso.
La protesta è arrivata lo stesso dentro lo stadio dove la presidentessa Dilma Rousseff non ha tenuto il tradizionale discorso di apertura per evitare aperte contestazioni, che comunque ci sono state con fischi verso di lei di una parte degli spettatori. Altre manifestazioni si sono svolte a Rio de Janeiro, dove nella mattinata la polizia aveva effettuato degli arresti preventivi senza mandato di attivisti delle organizzazioni della protesta.
Nel 2007, quando la Fifa, la federazione mondiale del calcio, assegnò il torneo al Brasile, l’allora presidente Lula assicurò che l’evento sarebbe costato poco più di 1 miliardo di euro, la maggior parte dei quali sarebbero stati spesi in infrastrutture per il paese. L’ultima stima ufficiale fatta dal ministro dello Sport Luis Fernandes parla di una spesa di 12,8 milioni di dollari. In gran parte spesi per far bella figura nel corso del torneo, e non per il paese, nella ristrutturazione di 6 stadi e nella costruzione di 6 nuovi. Per la Fifa ne bastavano 8, il governo è andato oltre e ha costruito vere e proprie “cattedrali nel deserto”, come il nuovo stadio di Brasilia che non serve nemmeno alla locale squadra di calcio ma si è “mangiato” 600 milioni di euro. La presidentessa Dilma Rousseff per soffocare l’annunciata protesta sociale aveva deciso la militarizzazione delle città con un imponente schieramento di un centinaio di migliaia di uomini sul campo, tra le forze di polizia e dell’esercito, affiancati da guardie private tra le quali i mercenari americani della Blackwater. Garantire la “sicurezza” dell’evento è costato oltre un miliardo di dollari al bilancio statale.
Il governo di Brasilia utilizza la competizione calcistica per mettere in vetrina il Brasile, potenza economica emergente, tra le prime del mondo, i movimenti sociali e i sindacati volevano mettere in evidenza la diffusione della protesta sociale verso il torneo mondiale di calcio. Le rivendicazioni dei manifestanti erano chiare: a fronte di una spesa pubblica per l’organizzazione dell’evento di oltre 13 miliardi, il governo di Dilma Rousseff ha operato drastici tagli alla spesa pubblica e sociale, dall’istruzione alla sanità, dai trasporti alle pensioni fino agli alloggi popolari. Accompagnata dagli sgomberi di ampi settori delle favelas o dei luoghi dedicati alle infrastrutture dell’evento all’insegna della speculazione edilizia. Il Movimento lavoratori senza tetto (Mtst) ha denunciato l’espulsione di circa 250.000 persone dai terreni interessati al business degli stadi. Movimenti sociali e sindacati affermano che i soldi spesi per l’organizzazione del Mondiale dovevano essere impiegati per costruire più case, scuole e ospedali e non per accrescere i profitti delle grandi imprese.

18 giugno 2014