Al Qaeda di Baghdadi conquista un terzo dell'Iraq
L'obiettivo è di costituire lo Stato islamico di Iraq e Siria
Gli Usa pronti ad aiutare il governo fantoccio di Maliki
Le formazioni dell’Isil (Stato islamico in Iraq e Levante) conquistavano il 17 giugno la città di Tal Afar, nel nord-ovest dell'Iraq, una città che conta 200 mila abitanti il cui controllo è strategico, perché posizionata sulla tratta verso la Siria. L'esercito iracheno ha invece ripreso il controllo di Qaim, la città situata nella provincia occidentale di Anbar a 330 chilometri a ovest della capitale Baghdad. La cronaca registra gli ultimi movimenti sul terreno della oramai guerra aperta tra l'esercito del governo fantoccio dello sciita Maliki e le forze islamiche sunnite dell'Isil, chiamato anche Isis, dove l'ultima lettera della sigla sta per Siria, dato che punta a costituire lo Stato islamico di Iraq e Siria formato dalle regioni abitate dalla popolazione sunnita a cavallo tra i due paesi.
Un obiettivo che si è avvicinato con gli attacchi militari dei mesi scorsi fino alla recente conquista delle città di Tikrit, poi ripresa dall'esercito di Baghdad, e Mosul, la seconda città irachena. L'Isil ha conquistato circa un terzo del paese, le regioni nordoccidentali, da Anbar a Ninawa fino a Salah-a-din, da Mosul a Fallujah e Baiji e portato gli attacchi fino a un centinaio di chilometri dalla capitale.
Nella provincia di Salah-a-din, il controllo di Kirkuk, il ricchissimo centro petrolifero abbandonato dall'esercito di Baghdad in fuga, è passato, d'intesa o meno con l'Isil, ai miliziani curdi che non hanno mai nascosto l’intenzione di annettere la città entro i confini della vicina regione autonoma curda di Erbil. Sulla carta l'Iraq risulta così spaccato in tre parti: curda a nord, sunnita nel nord ovest e sciita a sud. Uno scenario per l’Iraq post-Saddam che era fra le probabili soluzioni ipotizzate alla fine dell’Operazione Iraqi Freedom, l'aggressione imperialista lanciata da George Bush nel 2003, che modificava quei confini tra i pesi tracciati col righello dai colonialisti britannici e francesi dopo la Prima guerra mondiale.
L'Isil nasce ufficialmente nel 2013 dall'Isi, sigla che sta per Stato Islamico dell'Iraq e braccio ufficiale di Al Qaeda, attivo nella resistenza all'occupazione imperialista nelle zone sunnite del nord ovest del paese. Il leader del gruppo è, dal 2010, Abu Bakr al-Baghdadi, il comandante sul campo della formazione islamica che partecipa dal 2012 anche alla guerra in Siria contro il regime di Assad. Guerra finanziata e armata anche dai paesi arabi reazionari, dalla Turchia e dall'imperialismo americano e europeo. Per Al-Baghdadi la partecipazione alla guerra in Siria è parte della strategia per costituire lo Stato islamico a cavallo tra i due paesi; la formazione sponsorizzata ufficialmente da Al Qaeda in Siria è invece il gruppo Jabhat al Nusra che punta a spodestare Assad e sostituirlo a Damasco con un governo sunnita. Fra i due gruppi ci saranno scontri armati e sembrerebbe prevalere l'Isil che è sconfessato da Al Qaeda; con una situazione che sembra in stallo in Siria l'Isil rilancia l'iniziativa in Iraq, approfittando tra l'altro della debolezza del premier sciita Nouri al Maliki e del suo governo fantoccio che si è contraddistinto per l’obiettivo di centralizzare ulteriormente il potere guadagnato, forte del sostegno di Washington, tagliando fuori le istanze politiche ed economiche della comunità sunnita. Non a caso sarebbero migliaia i disertori dell'esercito iracheno che nelle ultime settimane hanno rafforzato le formazioni dell'Isil.
A fronte dell'offensiva dell'Isil, il segretario di Stato americano John Kerry ha pavesato un eventuale impegno militare degli Usa seppur “temporaneo” e che “non includerà in alcun caso militari sul campo”; un intervento modello Libia per capirsi.
Nel frattempo sono entrate nel Golfo Persico la portaerei George H.W. Bush e altre unità navali. L'azione, precisava la Casa Bianca, sarà concordata "passo dopo passo" con Bagdad e aperta a una possibile collaborazione dell'Iran, dopo che il presidente iraniano Hassan Rowhani si era detto pronto a intervenire in sostegno di Baghdad.
Il governo iraniano non è solo preoccupato di sostenere la leadership sciita di Baghdad ma anche di tenere sotto controllo quel conflitto regionale interconfessionale tra sciiti e sunniti che oggi coinvolge Siria e Iraq ma che potrebbe allargarsi, indipendentemente dalle ragioni che muovono l'Isil, sotto la sponsorizzazione dei paesi arabi reazionari e della Turchia che non resta a guardare, e mettere nel mirino il bersaglio “grosso”, la Repubblica islamica dell'Iran, quantunque meno pericolosa sotto la guida di Rowhani. Un attacco partito dalla Siria con gli attori principali, gli imperialisti americani e gli imperialisti sionisti di Tel Aviv dietro le quinte.
18 giugno 2014