Il sistema di tangenti PD nello scandalo Mose
Spuntano i nomi di Enrico Letta e di Cacciari
L'ex premier ha ricevuto 150 mila euro per la campagna elettorale. L'ex sindaco di Venezia ha chiesto dei favori
Orsoni costretto alle dimissioni
Per oltre un ventennio tutte le cosche parlamentari e i vari boss politici locali sia della destra che della “sinistra” del regime neofascista hanno gonfiato il proprio portafoglio nel mare degli appalti per la costruzione del Mose: la più mostruosa, inutile, dannosa e costosa opera ingegneristica a livello europeo.
Dalle indagini emerge uno spaccato a dir poco inquietante di quello che secondo gli inquirenti costituisce un vero e proprio sistema delle tangenti messo in piedi dal PD per avere il controllo totale di tutti gli appalti in Laguna e che conferma come da Milano-Expo fino al Mose e a altre decine di inchieste i fondi neri, le tangenti e il finanziamento illecito ai partiti: “sono stati utilizzati per campagne elettorali e, in parte, anche per uso personale da parte di diversi esponenti politici di entrambi gli schieramenti”.
La conferma è arrivata nel corso della settimana dagli stessi protagonisti della cricca delle tangenti del Mose durante gli interrogatori di garanzia.
Oltre ai cento e passa politici, funzionari pubblici, magistrati, imprenditori, manager, professionisti, consulenti, finanzieri, vecchi mariuoli e nuovi tangentisti finiti in galera o indagati, dai faldoni della Tangentopoli veneziana adesso spuntano anche i nomi dell'ex presidente del Consiglio Enrico Letta, di suo zio Gianni Letta e dell'ex sindaco di Venezia (dal 1993 al 2000 e dal 2005 al 2010) Massimo Cacciari (Pci, Ds, Margherita, Pd).
Letta junior viene tirato in ballo per un finanziamento di 150 mila euro elargiti dal “burattinaio delle tangenti” Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova (CVN), alla società “Italia Futuro Servizi srl” controllata al 100 per cento dalla Fondazione VeDrò di Letta che li ha utilizzati per le primarie del PD del 2007.
Mentre dai verbali di interrogatorio del vicedirettore del consorzio Roberto Pravatà e dell'ex amministratore delegato della Mantovani, Piergiorgio Baita, salta fuori che in diverse occasioni le tangenti sono state mascherate sotto forma di favori, subappalti e sponsorizzazioni fittizie. Ad esempio l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e consigliere strettissimo e fidatissimo di Berlusconi, ha chiesto al Consorzio anche un “intervento per Pietro Lunardi (ministro dei Lavori pubblici del Berlusconi II e III dal 2001 al 2006 ndr) per permettergli di liquidare la condanna a 1 milione e mezzo di euro inflittagli nel 2006 dalla Corte dei Conti per aver rimosso l'allora presidente dell'Anas senza delibera consiliare”. Non solo. Letta senior ha chiesto al Consorzio di far lavorare la Technital del costruttore A.M. poi arrestato due settimane fa.
I finanziamenti a Cacciari e Letta
Cacciari invece è stato tirato in ballo per aver esercitato pressioni sul Consorzio affinché acquistasse le azioni e facesse lavorare la “Thetis”: una sorta di “consorzio bis” nato dall'intesa fra Eni e il comune di Venezia. Inoltre ha chiesto e ottenuto, secondo quanto riferito da Mazzacurati, 300 mila euro per “salvare il Venezia calcio” che guarda caso è di proprietà della famiglia Marinese cioè dei padroni della ditta Guaraldo che opera nell'edilizia e nei parcheggi pubblici e per la quale Cacciari aveva chiesto aiuto proprio a Mazzacurati.
Sul rapporto tangentizio tra Mazzacurati ed Enrico Letta, Pravatà ha messo a verbale che: “L'ingegnere mi convocò per dirmi che il Consorzio Venezia Nuova avrebbe dovuto concorrere al sostenimento delle spese elettorali dell'onorevole Enrico Letta, che si presentava come candidato per un turno elettorale, attorno al 2007, con un contributo dell'ordine di 150mila euro”. In quell'occasione, racconta Pravatà, il “finanziamento illecito” avvenne con “l'intermediario” di Letta per il Veneto, Arcangelo Boldrin, per il quale fu “predisposto un incarico fittizio per un’attività concernente l'arsenale di Venezia”.
Dunque i rapporti tra Enrico Letta e mister Mose iniziano nel 2007 e proseguono – in modo continuativo – dal 2010 al 2012 quando, con altri tre versamenti da 20mila euro ciascuno, Mazzacurati finanzia VeDrò e in risposta alla richiesta di Letta del 25 maggio 2012 scrive: “In riferimento alla vostra cortese comunicazione datata 25 maggio scorso, vi comunichiamo che il Consorzio Venezia Nuova è lieto di collaborare con voi a sostegno del progetto VeDrò con un contributo di 20.000 euro iva esclusa”. Il documento non è indirizzato direttamente alla fondazione di Enrico Letta, ma alla Italia Futuro Servizi srl, con sede a Roma, ed è datato 26 giugno 2012, controllata al 100 per cento da VeDrò. Di questi certificati i finanzieri ne hanno sequestrati tre, per un totale di 60mila euro alla fondazione per gli anni 2010, 2011, 2012, nel computer di Riccardo Capecchi, allora tesoriere di VeDrò e oggi direttore generale di Poste Energia.
Dagli atti dell'inchiesta risulta che gli inquirenti soo arrivati a scoprire il rapporto tra Capecchi e Mazzacurati indagando sulle “consulenze” dell'imprenditore Andrea Collalti, al quale, secondo gli uomini delle fiamme gialle, il Cvn ha “corrisposto, nel periodo dal 2007 ai 2011 l'importo complessivo di circa 5 milioni di euro”. Le somme corrisposte alle società di Collalti, secondo l'accusa, sono “riconducibili ad operazioni (consulenze) in tutto o in parte inesistenti”. In questo contesto è emersa la figura di Capecchi e i suoi “attuali e diretti contatti” con Mazzacurati e di questi coi Letta.
In sostanza Capecchi è per Enrico Letta il Marco Carrai di Renzi. Raccoglitore di fondi e procacciatore di sponsor politici fra cui figurano, tra gli altri, Eni, Enel, Finmeccanica che dal 2006 al 2012 hanno finanziato interamente le settimane in cui la fondazione riuniva i lettiani presso l’ex centrale elettrica di Cle a Dro, provincia di Trento.
A parlare dell'ex presidente del consiglio Letta, e dello zio Gianni, è anche Pio Savioli, il collettore di tangenti per conto di Mazzacurati. Il 12 settembre 2013 Savioli dice agli inquirenti: “Mi sono permesso di fare un elenco di nomi e situazioni… Sono i nomi di chi a Roma si incontrava più spesso con Mazzacurati… io mi ricordo Gianni Letta, Tremonti… di tale Milanese, Matteoli, mi ricordo del presidente del Consiglio attuale”. In quel momento, a ricoprire la carica era appunto Enrico Letta, nominato il 28 aprile precedente.
Di che tipo di incontri si trattasse, Savioli non lo dice. Ma parla di almeno altri due milioni di finanziamenti a favore dei componenti del cosiddetto "secondo livello romano" che aveva rapporti stretti con il presidente del Consorzio e tra cui ci sarebbero Ettore Incalza, il capo della struttura tecnica di Missione del ministero delle Infrastrutture, Carlo Malinconico, sottosegretario alla Presidenza del consiglio del governo Monti, e Antonio Bargone, sottosegretario ai Lavori pubblici nel primo governo Prodi e nei due governi D'Alema. Savioli fa solo i nomi, ma non aggiunge dettagli sulla natura di tali contatti.
Ma dagli atti dell'inchiesta risulta che nella cricca non c’è soltanto Marco Milanese, braccio destro di Giulio Tremonti che, per spingere sul Cipe, secondo l’accusa incassa due tranche da 500mila euro. Alla corte di Mazzacurati c'è tutta una schiera di funzionari con responsabilità di governo e istituzionali che fa la spola tra Roma e Venezia. C’è Erasmo Cinque, l'uomo imposto al Consorzio da Altero Matteoli, che presenta Mazzacurati ad Andrea Collalti. Quest’ultimo, non indagato, a sua volta, è vicino all’ex presidente del Cipe, Mario Baldassarri, e agli ex di An. E poi ancora Bruno Canella, ex vicepresidente della Regione Veneto, nonché segretario provinciale di Fli a Venezia, definito dallo stesso Mazzacurati, “un uomo di Fini” che ha messo su un piccolo consorzio e preme per partecipare alla mangiatoia degli appalti.
Le “dimissioni” Orsoni
Ha vuotato il sacco anche il sindaco dimissionario Orsoni che dopo una settimana di domiciliari ha patteggiato 4 mesi e 15 mila euro di multa per finanziamento illecito. Orsoni ha raccontato ai magistrati che i soldi delle tangenti venivano consegnati dentro alcune buste che lui spesso non ha nemmeno aperto. Furono i deputati Davide Zoggia e Michele Mognato e l'arrestato Giampietro Marchese consigliere regionale che, ha precisato Orsoni: “mi spinsero nel 2010 a chiedere soldi al Consorzio del Mose... Avevo delle perplessità. Ma mi dissero che era sempre avvenuto così a Venezia, che si andava a chiedere il contributo a Mazzacurati. Che era una cosa avvenuta in passato con i precedenti sindaci la consideravano una cosa normale, già rodata, in quanto già accaduta”. Il 12 giugno, appena rimesso in libertà, Orsoni si è scagliato contro Renzi e il vertice del PD perché: "con me ha avuto un comportamento inaccettabile, ha affrontato quanto mi è accaduto in modo superficiale e farisaico... Alcuni di quelli che dopo il mio arresto ai domiciliari hanno detto di non conoscermi mi telefonavano da un anno e hanno continuato a farlo fino a martedì per chiedermi di ripresentarmi... Potrei dare le dimissioni e mandare tutti a quel paese. In questo momento non lo faccio perché non sono così impetuoso come qualcun altro. Mi sono riservato qualche giorno di tempo”. Neanche il tempo di finire la frase e Renzi intima alla sua vicesegretaria Deborah Serracchiani di “dimettere” il sindaco perché: “Non ci sono le condizioni perché Orsoni prosegua nel suo mandato”. Poche ore dopo Orsoni si dimette e amaro commenta “mi hanno dimesso” e ha annunciato querele contro i vertici del Pd che lo hanno “bollato come criminale prima ancora di sapere di cosa ero accusato”. Sprezzante la replica di Renzi: “Non guardiamo in faccia a nessuno, nel momento in cui uno patteggia è evidente che non può fare il sindaco”.
Sistema tangenti PD
La procura è convinta di aver individuato il sistema utilizzato dal PD in Veneto per riscuotere le mazzette. Il primo a parlarne agli inquirenti il 20 novembre 2013 è stato l’imprenditore Mauro Scaramuzza: “L’appalto doveva essere assegnato alla società Sacaim, perché questo permetteva al dottor Lino Brentan di predisporre… di procurare una scorta per il Partito Democratico dell’area veneziana”. Brentan, classe 1948, dopo una breve esperienza politica come consigliere provinciale di Venezia del PD e assessore poi, viene piazzato ai vertici di decine di consigli di amministrazione, il più importante dei quali è quello nella Società delle Autostrade di Venezia e Padova. Arrestato la prima volta nel 2012 per una tangente da 170 mila euro, rappresenta secondo la procura “il mazziere dei soldi... il perno di un sistema, il 'sistema Pd', per il finanziamento alla politica ideato negli anni per sostenere campagne politiche e singoli candidati”. É lui che smista le tangenti al PD, tra il 2007 e il 2009, quando, tra gli appalti che la procura ha messo nel mirino, c’è anche la “mitigazione” della terza corsia della tangenziale Venezia–Mestre. Un “sistema” che attraverso un complesso sistema di gare taroccate, appalti e subappalti sulle opere infrastrutturali della regione risulta identico a quello in uso all'Expo di Milano e al Mose di Venezia e di cui si era avuta notizia già otto anni fa con l'appalto dei lavori per la terza corsia Venezia–Mestre. Per quella gara si presentano tre società, ma quella che vince, la Mantovani, con un ribasso del 41 per cento, viene esclusa per motivi formali. Brentan riesce a evitare che le altre due società presentino ricorso e, in questo modo, l’appalto viene aggiudicato alla seconda classificata, la Sacaim, che aveva presentato un ribasso del 31 per cento. Brentan per evitare i ricorsi al Tar “promette l’esecuzione dei lavori in subappalto alla Mantovani” e per di più “fissa lui il prezzo del subappalto”. Scaramuzza, dice di avergli poi versato 65mila euro e spiega che Brentan si muoveva per creare una “scorta per il Pd veneziano” in vista della campagna elettorale per la provincia di Venezia dove era candidato Davide Zoggia, fedelissimo di Pierluigi Bersani, ex sindaco di Jesolo presidente della Provincia Venezia nel 2004, responsabile nazionale Enti Locali del Pd con Bersani che nel 2009 lo nomina anche all’interno della sua segreteria nazionale; responsabile nazionale dell’organizzazione politica del Pd con Epifani e ora deputato dal 2013. Il nome di Zoggia compare anche nel libro paga delle tangenti della coop Coveco ma soprattutto fa parte del trio di collettori di tangenti targate PD decritto da Orsoni che ha parlato di “insistenze reiterate e pressanti del Partito Democratico, avanzate dai suoi responsabili politici e contabili, Zoggia, Marchese e Mognato”, per incassare i finanziamenti.
Ciò conferma che il PD è coinvolto fino al collo nello scandalo delle tangenti. Non si tratta di “qualche mela marcia” o delle “scorie del vecchio apparato PCI revisionista” come vuol far credere Renzi, ma di un vero e proprio sistema di corruttele e ruberie che investe tutto il partito dalla periferia fino a Palazzo Chigi e chi non si adegua e osa puntare il dito chiamando a còrreo tutto il sistema tangentizio viene tagliato fuori come conferma il “dimissionamento” di Orsoni. Mentre l’attuale capogruppo dei senatori PD e vice-presidente del PD Luigi Zanda, ex democristiano come Renzi e soprattutto segretario personale dell'ex capo dei gladiatori e picconatore Cossiga al ministero degli Interni dal 1976 al 1978, pur essendo stato chiamato pesantemente in causa nell’inchiesta sul Mose per aver ricoperto ininterrottamente la carica di presidente del famigerato Consorzio Venezia Nuova dal 1986 al 1995, viene premiato con la presidenza della commissione Affari costituzionali al posto del “dissidente” Mineo.
La verità è che nei pochissimi casi in cui il PD risulta che abbia rubato meno degli altri partiti è perché aveva meno potere e di conseguenza meno pretese sul fronte tangentizio. Mentre là dove ha le mani in pasta da molto più tempo, come ad esempio Milano e Venezia, il PD sguazza nella mangiatoia delle tangenti esattamente come e più delle altre cosche parlamentari. Non è un caso se il governo Renzi ha subito approvato le norme sulla responsabilità civile dei magistrati e invece ha rimandato per l'ennesima volta alle calende greche le cosiddetta legge anticorruzione.
18 giugno 2014