Rapporto Istat 2014
L'Italia è un inferno di disuguaglianze e precarietà
6,3 milioni di persone in cerca di occupazione. Cresce la disoccupazione e la povertà, soprattutto al Sud. Il settore operaio è quello che perde più posti di lavoro. La metà dei precari ha contratti inferiori a un anno
E' questo il quadro che emerge dai dati forniti dall'Istituto italiano di statistica riguardo l'anno 2013 e l'intero periodo di crisi economica (2008-2013) e che conferma come le iniquità sociali e territoriali si siano ulteriormente diffuse e incancrenite. Dei dati emersi dal corposo Rapporto Istat ci interessa mettere in evidenza ed analizzare quelli relativi alla condizione di vita e lavoro delle masse popolari italiane.
Certamente uno degli elementi più preoccupanti è l'occupazione in continuo calo. Nel 2013 è diminuita di 478 mila unità (- 2,1% rispetto al 2012). Tra i più colpiti sono gli operai, -958mila unità tra il 2008 e il 2013, con una contrazione del 15,1%. Ciò a dimostrazione di come le scelte politiche dei governi che si sono succeduti in questi anni, ben lungi dal risolvere il problema dell'occupazione, lo hanno addirittura aggravato. Un dato che mette a nudo l'acquiescenza dei governi nei confronti delle dislocazioni e delle esternalizzazioni, con un danno enorme al lavoro operaio e al reddito delle masse popolari italiane.
Un settore particolarmente colpito è quello delle costruzioni con 396 mila occupati in meno nei cinque anni e ben 162 mila nel 2013.
I dati sono confermati dall'aumento del tasso di disoccupazione, passato dal 10,7% del 2012 al 12,2% del 2013 (+5,4 punti percentuali rispetto al 2008). L’aumento ha riguardato soprattutto il Mezzogiorno (19,7 %, +7,7 punti). In termini assoluti significa che il numero di disoccupati in Italia è raddoppiato dall’inizio della crisi e nel 2013 arriva secondo l'Istat a 3 milioni 113 mila unità. Inoltre sono 6,3 milioni gli individui potenzialmente impiegabili.
I giovani (15-34) sono il settore sociale più colpito dalla crisi: gli occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unità. Il tasso di occupazione scende dal 50,4% del 2008 al 40,2% del 2013.
In generale, e soprattutto per i giovani, calano sia il lavoro a tempo indeterminato sia quello precario e si accorcia la durata dei contratti (nel 2013 poco più della metà dei precari ha un contratto per meno di un anno).
L’unica forma di lavoro che continua a crescere è il lavoro parzialmente standard (a contratto indeterminato e a part-time). Esso aumenta rispetto al 2008 di 572 mila unità. Per lo più non si tratta di nuove assunzioni ma di trasformazione, imposta al lavoratore, dunque involontaria, a tempo parziale di un precedente contratto a tempo pieno.
A consolidare le disuguaglianze e la precarietà di vita contribuiscono altri fattori, oltre alla crescita della disoccupazione. In primo luogo la diminuzione di spesa sociale da parte delle istituzioni. E' nel 2011 che, per la prima volta dal 2003, la spesa sociale risulta in diminuzione rispetto all’anno precedente. Ciò in quasi tutte le regioni italiane ma, in relazione ai valori preesistenti già nettamente inferiori alla media nazionale, il calo più consistente si osserva al Sud (-5%). Quantificando, un meridionale può usufruire mediamente di una spesa sociale annua di circa 50 euro per i servizi e gli interventi offerti dai Comuni, contro i 160 euro del Nord-est.
Ciò nonostante risultino in crescita le difficoltà economiche tra le masse popolari. L’indicatore di povertà assoluta, che era stato stabile fino al 2011, infatti sale del 2,3% nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione in povertà assoluta. La deprivazione grave, si attesta nel 2013 al 12,5%.
Dai dati del Rapporto emerge come questa condizione di difficoltà in tutta Italia e nel Sud in particolare sia aggravata dalle politiche privatizzatrici che, a partire dal 2008, hanno ridotto le prestazioni a carico del settore pubblico e aumentato quelle del settore privato a carico dei cittadini. Ciò ha consentito l'incancrenirsi delle disuguaglianze rispetto anche alla salute e all'accessibilità alle cure. Gli svantaggi maggiori e strutturali si hanno nel Mezzogiorno, dove le condizioni di salute sono peggiori rispetto al resto del Paese. Infatti se nel 2012 l’11,1% dei cittadini dichiara di aver rinunciato alle cure e ai farmaci, tale quota sale nel Mezzogiorno al 15% circa.
Si potrebbe pensare di primo acchito che il governo del Berlusconi democristiano Renzi, arrivato a fine febbraio del 2014, non sia responsabile di questa situazione pregressa alla sua nomina.
Falso. Nel governo Renzi ci sono pezzi consistenti dei precedenti governi che hanno determinato questo disastro. In primo luogo il PD, di cui Renzi è stato segretario, che ha spinto alle estreme conseguenze le politiche di precarizzazione del lavoro, privatizzazione dei servizi pubblici e depauperamento delle risorse delle masse popolari. Non dimentichiamo neanche che nella Firenze, da Renzi a lungo governata, è aumentata la disoccupazione, la povertà, a seguito anche delle privatizzazioni promosse dalla sua giunta.
Risultato: Renzi finirà per peggiorare ulteriormente le diseguaglianze e le precarietà.
Il governo del Berlusconi democristiano Renzi va spazzato via subito prima che completi il disastro. Le misure economiche e sociali di Renzi, dalla liberalizzazione dei contratti a termine e dell'apprendistato, che penalizza soprattutto i giovani e aumenta il precariato, ai tagli ai lavoratori statali, al blocco totale del turn over e degli stipendi, ai tagli alla spesa pubblica che si riverseranno sulla sanità, sui servizi sociali e sui trasporti, al piano delle massicce privatizzazioni, peggioreranno ulteriormente la condizione di grave sofferenza delle masse popolari italiane.
C'è quanto basta per indurre i vertici sindacali a proclamare uno sciopero generale di 8 ore e una manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi.
9 luglio 2014