I Bossi saranno processati per truffa e appropriazione indebita
Lo scandalo che travolse l’intera Lega, molti dei suoi esponenti di maggiore spicco e che determinò la definitiva destituzione di Umberto Bossi dalle funzioni di segretario scoppiò nei primi mesi del 2012, quando venne reso noto che un’inchiesta giudiziaria della procura di Milano iniziata alla fine del 2011 aveva messo alle strette l’allora tesoriere Francesco Belsito per avere pesantemente truccato il bilancio della Lega, da cui emergevano scandalose spese che nulla avevano a che fare con la politica: ne beneficiavano da tempo, secondo i magistrati milanesi, Bossi e i suoi due figli Riccardo e Renzo, la senatrice leghista Rosy Mauro in combutta con il suo amichetto nonché agente della polizia di Stato Pietro Moscagiuro, ed è certo che anche l’attuale governatore lombardo Maroni e Calderoli sapevano tutto.
“Il Bolscevico” si è occupato sin da aprile 2012 di questo scandalo che ha travolto la Lega, da ultimo con il n. 45/2013 quando l’inchiesta aveva ormai scoperchiato i gravissimi reati per i quali ora la procura milanese chiede il rinvio a giudizio con l’accusa di truffa e di appropriazione indebita per Umberto Bossi e per i suoi due figli: sono oltre 40 i milioni di euro di rimborsi elettorali incassati illegalmente dalla Lega quando era ancora sotto la gestione del “Senatur”, soldi pubblici finiti nelle casse del partito che, complice il tesoriere Belsito, aveva presentato a Camera e Senato rendiconti fortemente irregolari. 500.000 euro sono stati dilapidati dai tre Bossi per pagare una serie di spese personali come multe, lavori per la ristrutturazione della casa di Gemonio, vestiti, gioielli, spese odontoiatriche, una macchina nuova, una laurea in Albania, rate universitarie, un assegno divorzile e persino spese veterinarie per il cane.
E’ per questo lungo elenco di indecenze che i pm Robledo, Pellicano e Filippini hanno chiesto il rinvio a giudizio per i tre Bossi e altre sei persone, ossia l’ex tesoriere Francesco Belsito, i tre ex componenti del comitato di controllo di secondo livello, Stefano Aldovisi, Diego Sanavio e Antonio Turci, l’imprenditore Stefano Bonet e il commercialista Paolo Scala. Per tutti le accuse a vario titolo sono di truffa aggravata ai danni dello Stato, appropriazione indebita e riciclaggio.
Nella richiesta di rinvio a giudizio i magistrati accusano il solo Umberto Bossi di avere speso tra il 2009 e il 2011 oltre 208.000 euro di soldi pubblici, esemplificati da assegni da 20.000 e da 1.583 euro per la ristrutturazione edilizia della casa di Gemonio, da 160 euro per un acquisto di regalo nuziale, assegni per un totale di 27.000 euro per abbigliamento e gioielli, un assegno di 1.500 euro per il dentista, di 81.000 euro per lavori in una casa a Roma.
Al figlio Renzo vengono contestate più di 145.000 euro di spese, esemplificate da migliaia di euro in multe, 3.000 euro di assicurazione auto, 48.000 euro per l’acquisto di una vettura e 77.000 euro per l’iscrizione ad una università albanese per conseguire una laurea.
All’altro figlio, Riccardo, invece i pm contestano di avere speso quasi 158.000 euro per pagare debiti strettamente personali, noleggi di autovetture, rate dell’Università dell’Insubria, l’affitto, il mantenimento dell’ex moglie, l’abbonamento della pay-tv, luce, gas e anche il veterinario per il cane.
Insomma quella dei Bossi è un'associazione familiare a delinquere.
9 luglio 2014