Lo certifica l'Istat
1 italiano su 10 è povero. In totale 6 milioni e 20 mila poveri
La metà nel Mezzogiorno
Solo il socialismo può cancellare la povertà
I dati relativi al 2013 diffusi dall'Istat sono estremamente preoccupanti e mostrano come al peggiorare della condizione delle masse popolari italiane non ci possa essere un limite persistendo l'attuale sistema economico capitalistico.
La dimensione numerica della povertà assoluta è drammatica: coinvolge circa 303 mila famiglie e 1 milione 206 mila persone in più rispetto al 2012. Si tratta di persone che, in base alla definizione dell'Istat, non riescono ad affrontare la spesa minima necessaria per acquisire i beni e servizi che, nel contesto italiano, vengono considerati essenziali per una data famiglia per conseguire uno standard di vita accettabile. In sostanza persone al di sotto della soglia di sopravvivenza. In totale nel 2013 si tratta di 2 milioni 28 mila famiglie per un totale di 6 milioni e 20 mila poveri assoluti. Tra essi ben 1 milione 434 mila sono i minori. Erano 1 milione 58 mila nel 2012. Quindi sono cresciuti di 376 mila unità in un anno.
In percentuale la povertà assoluta in Italia è aumentata dal 6,8 al 7,9%, in particolare per effetto dell'aumento registratosi nel Mezzogiorno, dal 9,8 al 12,6%. Nel Sud, dove vive appena più di un terzo della popolazione italiana, le persone in povertà assoluta sono 3 milioni 72 mila e l'impoverimento delle masse va al galoppo. In valore assoluto sono oltre 725 mila poveri in più in un anno.
I dati, inoltre ci dicono che l'incidenza della povertà assoluta, cioè del rapporto tra il numero di famiglie con spesa media mensile per consumi pari o al di sotto della soglia di povertà e il totale delle famiglie residenti, in Italia cresce soprattutto tra le famiglie operaie, dove passa dal 9,4 all'11,8%, o nelle famiglie dove la persona di riferimento è in cerca di occupazione, dal 23,6 al 28%.
Aumenta anche la povertà relativa, la cui soglia è definita dall'Istat pari “per una famiglia di due componenti alla spesa media procapite del Paese”. Nel 2013 tale cifra ammontava di 972,52 euro.
Nel 2013, il 12,6% delle famiglie italiane è in condizione di povertà relativa per un totale di 3 milioni 230 mila nuclei, pari a 10 milioni 48 mila persone e al 6,6% della popolazione.
Anche in questo caso è il Mezzogiorno a soffrire di più. Qui all'aumento dell'incidenza della povertà assoluta si accompagna l'aumento dell'intensità della povertà relativa, cioè della misura di quanto in percentuale la spesa delle famiglie definite povere è al di sotto della soglia di povertà. Tale percentuale passa dal 21,4 al 23,5%. In sostanza nel Sud oltre ad esserci più poveri rispetto al 2012 la loro povertà è molto peggiorata.
I dati anche per quanto riguarda la povertà relativa, dimostrano un progressivo aumento delle famiglie operaie in condizione di indigenza. L'incidenza di povertà relativa per le famiglie operaie passa da 16,9 al 17,9%. Anche in questo caso il Mezzogiorno fa registrare una percentuale ben superiore a quella registrata nel Paese. Infatti nel Sud l'incidenza di povertà relativa per le famiglie operaie passa dal 32,3 al 33,4%.
Sono dati che confermano come i governi della destra e della “sinistra” borghesi abbiano scaricato unicamente sulle masse popolari, in primo luogo sugli operai e i giovani, il costo della la crisi economica e finanziaria del capitalismo. Il governo del Berlusconi democristiano Renzi con la liberalizzazione dei contratti a termine e dell'apprendistato, che penalizza soprattutto i giovani e aumenta il precariato, i tagli ai lavoratori statali, il blocco totale del turn over e degli stipendi, i tagli alla spesa pubblica che si riverseranno sulla sanità, sui servizi sociali e sui trasporti, col piano di massicce privatizzazioni, peggiorerà ulteriormente la condizione di grave sofferenza delle masse popolari italiane e dei settori sociali già più colpiti. Va spazzato via subito prima che completi il disastro.
Ma, persistendo il sistema economico capitalista, non cambieranno di una virgola le condizioni delle masse. Come ha detto il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, nell'Editoriale in occasione del 37° Anniversario della fondazione del Partito marxista-leninista italiano, ricorso il 9 Aprile: “Quello che occorre è cambiare il sistema economico, lo Stato e la classe dominante, abolire lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, le classi, le disuguaglianze sociali e di sesso, le disparità territoriali e tra città e campagna, dare il potere al proletariato.
Questo si chiama socialismo, ed è su di esso che gli sfruttati e gli oppressi, i movimenti anticapitalisti, le ragazze e i ragazzi più coscienti, avanzati e combattivi che lavorano, che sono disoccupati, precari, studenti dovrebbero riversare la loro massima attenzione”.
Gli spaventosi dati della povertà riguardanti gli operai italiani confermano l'appello del Segretario generale e la necessità che il proletariato capisca “che senza il potere politico non ha nulla, che il suo compito storico è quello di abbattere il capitalismo e instaurare il socialismo. Una consapevolezza che esso ha acquisito dalla Rivoluzione d'Ottobre fino ai primi anni ottanta e che poi ha perduto col completo tradimento dei revisionisti togliattiani e berlingueriani. Una consapevolezza che può e deve riacquistare appropriandosi della sua cultura rappresentata dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao”. Che gli elementi più avanzati e combattivi del proletariato allora si uniscano al PMLI, appoggiandone concretamente la strategia per il socialismo.
23 luglio 2014