Il Pil -0,2%, il peggiore degli ultimi 14 anni
L'Italia di Renzi in recessione
“L'Italia ha le condizioni per la ripresa: lavoreremo in agosto e a settembre ci sarà una ripartenza con il botto. Italiani, andate in ferie tranquillamente”. Appena cinque giorni dopo la sparata ottimistica di Renzi alla conferenza stampa del 1° agosto, è arrivata la doccia gelata dei dati Istat sul Pil (Prodotto interno lordo) del secondo trimestre 2014, che segnano un altro arretramento dell'economia italiana: -0,2%, il che significa che l'Italia è nuovamente in recessione, essendo il Pil diminuito per due trimestri consecutivi, dato che nel periodo gennaio-marzo aveva già registrato un -0,1%.
Si tratta, secondo l'istituto nazionale di statistica, del peggior risultato degli ultimi 14 anni per quanto riguarda il trimestre aprile-giugno, che riporta il Paese in recessione per la terza volta negli ultimi cinque anni. Se poi, come alcuni economisti prevedono, la tendenza negativa dovesse confermarsi anche nel resto dell'anno e il 2014 dovesse chiudersi in rosso, questo sarebbe il terzo anno consecutivo di recessione per il Paese. E quel che è peggio è che il nuovo arretramento riguarda tutti e tre i grandi comparti dell'economia, agricoltura industria e servizi. Non c'è insomma un solo settore che “tiri” in qualche modo l'economia del Paese in questo momento. Neanche le esportazioni, perché anzi secondo l'Istat il loro calo è il maggior responsabile del decremento del Pil, mentre l'apporto della domanda interna è stato nullo: il che, dato che questo è il primo trimestre a guida totalmente Renzi e del suo bonus elettoralistico, significa anche che gli 80 euro hanno avuto un impatto zero sui consumi, come già avevano segnalato le associazioni dei commercianti.
Un vero disastro, che ridicolizza e svela tutta l'inconsistenza dell'ottimismo parolaio del nuovo Berlusconi con cui cerca di incantare le masse per nascondere quel che sta preparando alle loro spalle. Basti pensare che nel Def (il Documento di economia e finanza adesso da aggiornare e perciò rinviato da settembre ad ottobre), il governo prevedeva per quest'anno un aumento del Pil dello 0,8%, e su questa base aveva fissato un rapporto deficit/Pil del 2,6%; mettendo così in conto uno 0,4% di margine (rispetto al 3% fissato dal patto di stabilità europeo) da poter spendere per la “ripresa”. Invece è ormai chiaro che sarà grassa se l'anno chiuderà a zero e se si potrà parlare di un anno di stagnazione piuttosto che di recessione.
Del resto a fine luglio lo stesso Renzi, avvertito della doccia gelata in arrivo, perché il Fondo monetario internazionale aveva già ridimensionato la crescita italiana dallo 0,8% ad un più misero 0,3%, aveva cercato di attutire il colpo ammettendo che “non siamo nelle condizioni di avere quel percorso virtuoso che immaginavamo di avere”; ma dando la colpa alla “ripresa a livello europeo che non sta arrivando o sta arrivando in modo meno forte del previsto”.
Tuttavia nella conferenza stampa del 1° agosto, dove pure aveva dovuto ammettere, causa la “situazione difficile”, di non poter rispettare la promessa dell'estensione del bonus di 80 euro ai pensionati, aveva assicurato che non ci sarà nessuna stangata in arrivo, e così ha ripetuto come un mantra fino ad oggi. In un'intervista a “La Repubblica” del 4 agosto aveva ribadito che “non ci sarà una manovra correttiva quest'anno”, confermando “solo” l'impegno già preso a ridurre la spesa di 16 miliardi (quelli per il 2015 previsti dalla Spending review
, ndr), e aveva sentenziato: “In ogni caso non toccheremo le tasse: tutti i denari che servono verranno dalla riduzione della spesa”. Una promessa rassicurante per i più abbienti e per le imprese, ma non certo per le masse popolari, visto che alla fine è sempre su di esse che ricadranno i tagli alla spesa pubblica.
Intanto oggi, dopo l'annuncio che l'Italia è tornata in recessione, non si parla più “solo” di 16 miliardi, ma si parla di almeno 23-25 miliardi da trovare per la Legge di stabilità 2015. Anche perché altrimenti a fine anno il tetto del 3% deficit/Pil sarà raggiunto se non sfondato, e questo provocherebbe una procedura di infrazione da parte della Ue. Renzi, cercando anche di fare asse con Hollande e di tirare dalla sua parte Draghi, preme sulla Merkel per dilazionare le scadenze, ma ammesso che lo ottenga la cosiddetta troika (Ue, Fmi e Bce) ha già fatto sapere che vuole in cambio “riforme strutturali e certe”, tradotte cioè in provvedimenti scritti nero su bianco, e non solo promesse verbali come da Berlusconi nel 2011. In particolare riguardo al lavoro, con la soppressione dei contratti nazionali e i salari legati alla produttività aziendale, la libertà di licenziamento, ecc. E poi tagli alla spesa pubblica e alle tasse alle imprese, privatizzazioni e liberalizzazioni.
Dunque, per quanto Renzi continui a spargere ottimismo e rassicurazioni, la stangata del governo è in preparazione e sarà dolorosissima. Sono già state avanzate ipotesi di un nuovo prelievo di “solidarietà” dalle pensioni (Poletti), di un nuovo blocco dei contratti del pubblico impiego (già bloccati dal 2009) e così via. Ipotesi tutte smentite per ora dal bugiardo Renzi, mentre intanto il commissario alla Spending review
Cottarelli sta preparando un piano per tagliare drasticamente il numero delle società partecipate dagli Enti locali, che impiegano circa 500 mila persone e che secondo un suo rapporto dovrebbero passare da 8000 a 1000 nel giro di tre anni, con un risparmio di 2-3 miliardi, ma anche con “inevitabili esuberi del personale”.
Non a caso Berlusconi, riconfermando la “opposizione responsabile” di Forza Italia al governo, ha offerto ripetutamente a Renzi il suo appoggio anche sulla politica economica, purché riguardi “misure liberali” come riduzione delle tasse e taglio alla spesa. Intanto il primo partner di Renzi nella maggioranza, il leader del NCD Alfano, ha colto subito la palla al balzo dell'annuncio Istat per invocare la cancellazione seduta stante dell'articolo 18 per tutti. Richiesta respinta da Renzi, ma con motivazioni ancor più minacciose della pretesa di Alfano: “L'articolo 18 – ha risposto infatti il premier – è solo un simbolo, un totem ideologico. Proprio per questo trovo inutile discutere adesso se abolirlo o meno. Serve solo ad alimentare il dibattito agostano”. E subito dopo ha aggiunto che il governo intende semmai riscrivere tutto lo Statuto dei lavoratori, articolo 18 compreso: lo sta cucinando il ministro del Lavoro Poletti dentro il Jobs Act, che prevede il “contratto a tutele crescenti” (niente art. 18 per i primi tre anni, poi si ma con pesanti limitazioni), e un nuovo Statuto sotto la voce “nuovo codice del lavoro semplificato”, che manometterà altri diritti acquisiti dei lavoratori.
3 settembre 2014