La giustizia di Renzi e Orlando è piduista
Intimidazione dei magistrati, semi-bavaglio alle intercettazioni. Restano le leggi vergogna di Berlusconi. Abolizione del ricorso in Cassazione se l'esito del processo sarà il medesimo nei primi due gradi di giudizio
Alfano: “Vittoria su tutta la linea”
Dopo una vergognosa trattativa con l'ex Guardasigilli Alfano, condotta a nome del NCD ma anche per conto di Berlusconi, il ministro Orlando ha presentato nel Consiglio dei ministri (Cdm) del 29 agosto la sua “riforma” della Giustizia. Una “riforma” annunciata da Renzi come una delle priorità del suo programma di governo con la motivazione ufficiale di snellire i tempi della giustizia e abbattere l'enorme mole di processi che intasano i tribunali e le procure, ma che in realtà strumentalizza questo problema reale come un cavallo di Troia demagogico per far passare ben altro: e cioè la controriforma piduista della Giustizia per intimidire i magistrati e sottometterli al potere del governo e dei partiti del regime neofascista immersi nella corruzione e negli scandali, completando da “sinistra” quel piano di Gelli che Berlusconi era riuscito ad attuare solo in parte da destra.
Se lo scopo di Renzi e Orlando fosse stato davvero quello di risolvere i gravi problemi della giustizia la loro “riforma” non avrebbe neanche dovuto prendere in considerazione i temi della responsabilità civile dei giudici e delle intercettazioni, da sempre cavallo di battaglia di Berlusconi e della destra neofascista, e che non c'entrano nulla col malfunzionamento del sistema giurisdizionale. A parte infatti il decreto legge sulla giustizia civile, con cui Orlando promette di dimezzare in mille giorni l'enorme arretrato e ridurre a meno di un anno la durata delle cause civili, già molto criticato e giudicato velleitario da magistrati, giuristi e perfino avvocati, negli altri sei provvedimenti approvati dal Cdm, tra disegni di legge ordinari e di delega al governo, non c'è assolutamente nulla diretto a far funzionare meglio la macchina della giustizia: né stanziamenti straordinari per colmare la nota carenza di mezzi delle cancellerie, né assunzioni di magistrati e personale ausiliario per far fronte alle piante organiche cronicamente sottodimensionate e schiacciate sotto una montagna di procedimenti in continua crescita.
Ci sono in compenso dei provvedimenti ben mirati a non toccare, o a sfiorare appena, le scandalose leggi ad personam
di Berlusconi fatte apposta per intralciare la giustizia e proteggere se stesso e la corruzione politica, economica e finanziaria: come la depenalizzazione del falso in bilancio, la ex Cirielli che accorcia i tempi della prescrizione dei processi, la scissione del reato di concussione in “costrizione” e “induzione” (operato dalla legge “anticorruzione” Severino approvata anche con i voti del PD sotto il governo Monti, che ha favorito fra l'altro la scandalosa assoluzione in appello di Berlusconi per il processo Ruby), e così via. E ci sono poi misure che portano chiaramente impresso il marchio di fabbrica del delinquente di Arcore e della P2, come appunto l'indurimento della responsabilità civile dei giudici e la stretta sull'uso delle intercettazioni e sulla loro pubblicazione, che mirano apertamente a intimidire i magistrati e imbavagliare la stampa.
Un testo che “potrebbe piacere a Berlusconi”
Non a caso, dopo la sconcia trattativa condotta con Orlando fino a pochi minuti prima della presentazione della “riforma” in Cdm, e continuata anche durante la seduta, Alfano ha potuto dichiarare trionfante, di aver vinto “su tutta la linea”. E il suo compare di partito e viceministro della Giustizia, Enrico Costa, ha rincarato: “Siamo molto soddisfatti perché siamo riusciti ad ottenere quello che il PDL, nel governo Monti, non aveva ottenuto”. Sottolineando anche che questo è un testo che “potrebbe piacere a Berlusconi”. Il quale infatti non ha chiuso la porta alla “riforma” di Renzi e Orlando, ma si è limitato a dichiarare sornionamente che “se il governo modifica quello che non va, a partire dal falso in bilancio, noi ci siamo”.
Infatti il decreto riguarderà la sola giustizia civile, tutto il resto, che riguarda la giustizia penale, e sulla quale anche Berlusconi vuole avere voce in capitolo, è rinviato a disegni di legge da presentare in parlamento, e quindi aperti alle incursioni delle truppe cammellate del neoduce, Forza Italia, NCD, Lega, GAL: come appunto sul falso in bilancio, sulla “riforma” della prescrizione e sulla responsabilità dei giudici. Oppure è demandato direttamente al governo con disegni di legge delega, come quello sulle intercettazioni, così da favorire accordi extraparlamentari diretti tra Renzi e Berlusconi sulla scottante materia.
Intanto però Alfano ha fissato già i paletti invalicabili che i provvedimenti dovranno assolutamente rispettare, e che Orlando ha di buon grado accettato. Così per esempio, se da una parte sono state aumentate le pene per il falso in bilancio, dai 2 anni massimi a cui l'aveva portate Berlusconi a 2-6 per le società quotate in Borsa, ed è stato introdotto il reato di autoriciclaggio punibile fino ad 8 anni, dall'altra è stata cancellata l'ipotesi di equiparare le procedure per la corruzione e i reati finanziari ai reati di mafia, il che avrebbe potuto portare fra l'altro alla possibilità di sottoporli ad intercettazione.
Stessa musica anche per la ex Cirielli sulla prescrizione breve, che non è stata cancellata ma solo ritoccata, fermando la prescrizione dopo la condanna di primo grado. Ma, allo scopo di depotenziare questa già timida modifica, Alfano ha imposto l'introduzione di una sorta di “processo breve” secondo il suo vecchio progetto quando era il Guardasigilli di Berlusconi: se infatti il processo di appello non viene celebrato entro due anni, e quello in Cassazione entro un anno, il conteggio del tempo per la prescrizione riparte. E va da sé che nel caso di sentenza di appello assolutoria e/o di non condanna definitiva in Cassazione, l'imputato recupera pure gli anni di prescrizione congelati.
In questo modo le due principali leggi vergogna di Berlusconi, che tanto gli sono servite per farla franca in diversi processi, e che il PD aveva promesso ai suoi elettori di voler cancellare, restano ancora lì, con qualche ritocco di facciata, a disposizione dei politicanti corrotti della destra e della “sinistra” borghesi. E per di più Alfano ha ottenuto anche una norma transitoria con la quale il nuovo calcolo della prescrizione non si applicherà ai processi in corso: un altro bel regalo a Berlusconi e agli altri politici corrotti sotto processo, come Formigoni e Galan.
Un'arma puntata contro l'indipendenza dei magistrati
Sull'inasprimento della responsabilità civile per i giudici, già prevista oggi per “dolo o colpa grave” a carico del magistrato giudicante, non ci sono stati problemi, dato che da tempo su questo tema PD e NCD-FI filano d'amore e d'accordo: “Chi sbaglia paga”, ha sentenziato infatti con demagogica arroganza il nuovo Berlusconi nell'annunciare il giro di vite contro i magistrati in conferenza stampa. Il grimaldello principale per scardinare i limiti stabiliti dalla legge Vassalli del 1988 ai ricorsi dei condannati contro i giudici, ricorsi adesso estesi anche ai giudici onorari e con certe limitazioni perfino ai giudici popolari, è stato trovato abolendo del tutto il filtro giudiziario di ammissibilità sui ricorsi stessi. Il che, come ha denunciato l'Associazione nazionale dei magistrati (Anm), provocherà una valanga di ricorsi pretestuosi, soprattutto da parte di condannati ben dotati di mezzi e avvocati per sostenere le costose cause, con almeno due inevitabili conseguenze: intimidire i magistrati, condizionando la loro indipendenza e spingendoli ad una sorta di soggezione psicologica nel giudicare gli imputati “eccellenti”, e aggravare la già disastrosa situazione dei carichi di lavoro e dell'arretrato processuale.
Ma non basta: la sanzione per il giudice che perde la causa civile con il condannato passa da un terzo a metà dello stipendio annuale, e a suo carico si apre un procedimento disciplinare obbligatorio (anche quindi in caso di accordo tra le parti) da parte di una speciale sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (Csm): la cui istituzione e composizione, guarda caso, è attualmente oggetto di una sconcia trattativa tra Renzi e Berlusconi, nel quadro del rinnovo degli otto consiglieri di nomina parlamentare del Csm e di due giudici della Corte costituzionale, che siano ovviamente tutti di provata fedeltà politica ai due banditi: come lo sono certamente i due candidati scelti per la Consulta, il rinnegato Violante per il PD, e, dopo una feroce faida interna in Forza Italia, il berlusconiano Donato Bruno.
Rispunta la legge bavaglio sulle intercettazioni
A ben vedere, in questa stessa logica di allargare le maglie della giustizia ai potenti e stringerle viceversa a chi non ha mezzi né santi in paradiso, rientrano anche i cosiddetti filtri alle impugnazioni, tra cui l'inammissibilità del ricorso in Cassazione se si sono avute due sentenze uguali di condanna o assoluzione in primo grado e in appello. Ma anche qui con un'eccezione che sembra ritagliata apposta per i processi di Berlusconi: il ricorso sarà ammesso se i ben pagati avvocati del condannato riusciranno a dimostrare che c'è stata una “palese violazione di legge”.
Sulle intercettazioni la trattativa è stata più difficile ed è stato deciso di rimandarla ad una legge delega. Ma è certo che la stretta ci sarà, come chiede a gran voce da sempre Berlusconi e ormai anche la maggioranza del PD, partito sempre più coinvolto in corruzione e scandali: intanto è stata cassata subito l'ipotesi di utilizzare le intercettazioni con i criteri applicati ai reati di mafia anche per quelli di corruzione. Poi si studieranno altre possibili restrizioni agli inquirenti definendo “disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità al principio costituzionale dell'art. 15, attraverso prescrizioni che incidano anche sulla modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale all'udienza di selezione del materiale intercettativo”.
Tradotto significa che si porranno limiti alle intercettazioni di indagati e al loro uso integrale, sia per richiedere gli arresti, che per rafforzare le motivazioni di rinvii a giudizio e sentenze, e nella loro selezione per la pubblicazione da parte della stampa: basta che nell'intercettazione compaiano casualmente dei non indagati. E' insomma il vecchio progetto di Alfano e Berlusconi che rispunta dietro la formulazione furbastra escogitata da Orlando e Renzi, che hanno assicurato ipocritamente di non voler “mettere bavagli” o “ridurre lo strumento investigativo”, ma solo “studiare gli strumenti più idonei a evitare la diffusione di notizie che non hanno rilevanza penale”.
Tra questi limiti, ovviamente, c'è allo studio anche un semi-bavaglio alla stampa, rispolverando non solo il divieto di pubblicazione delle intercettazioni di persone non strettamente indagate, ma anche l'obbligo di pubblicare le altre solo in forma riassuntiva. Ma secondo una dichiarazione di Costa si andrebbe addirittura verso la riesumazione della legge Mastella del 2008, approvata con voto bipartisan, che imponeva la trascrizione e la pubblicazione di tutte le intercettazioni solo nei contenuti fino alla celebrazione del processo.
Il regista dell'operazione è Napolitano
Se il buondì si vede dal mattino, gli antefatti di questa nuova spallata neofascista e piduista alla magistratura c'erano già tutti all'atto dell'insediamento del Berlusconi democristiano, quando Napolitano ha bocciato la nomina a Guardasigilli di Gratteri e approvato invece quella del servizievole “giovane turco” Orlando, e quando lo stesso Renzi si è rifiutato di rimuovere ben quattro sottosegretari indagati e la ministra agli Affari regionali Lanzetta, ugualmente indagata: “Un avviso di garanzia non è una condanna”, aveva tagliato corto la ministra delle Riforme Boschi alla Camera, annunciando la nuova linea “garantista” del PD renziano.
Linea che Renzi aveva subito applicato e allargato esprimendo la sua solidarietà e l'invito a ritirare le dimissioni al condannato Vasco Errani; e che oggi ha ulteriormente rafforzato attaccando le recenti inchieste giudiziarie a carico dei due candidati alle primarie del PD in Emilia Romagna, Richetti e Bonaccini, entrambi renziani, con lo slogan che “i candidati li scelgono i cittadini, non i giudici”. Mentre per di più difende a spada tratta l'amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi, da lui stesso nominato, indagato nell'inchiesta per le tangenti Eni in Nigeria.
Contemporaneamente attacca frontalmente i magistrati accusandoli di opporsi alla “riforma” per difendere i propri privilegi, e a questo scopo ha fatto inserire nel decreto sulla giustizia civile il taglio di un terzo delle loro ferie, così da additarli demagogicamente all'opinione pubblica come i responsabili diretti del malfunzionamento della Giustizia. Anche l'imposizione senza precedenti di un membro del governo, il sottosegretario all'economia Legnini, a candidato per la vicepresidenza del Csm, rientra nel suo disegno di sottomettere la magistratura al potere esecutivo.
Un disegno ben compreso dai settori più democratici e progressisti della magistratura, che con un comunicato della Anm del 9 settembre bocciano su tutta la linea la controriforma di Renzi e Orlando, criticandola in tutti i suoi aspetti, sia a livello tecnico che nelle intenzioni politiche. Non solo perché questi “non toccano il tema centrale delle risorse” ma anche perché si riducono a “interventi di scarso respiro e a norme punitive, ispirate a logiche che credevamo appartenere al passato” (chiara allusione al ventennio berlusconiano, ndr). Norme e interventi che “Offendono la magistratura con l’insinuazione che la crisi della giustizia dipenda dalla presunta irresponsabilità e scarsa produttività dei magistrati e reiterano la mistificazione di una riforma della giustizia che si pretende di realizzare con la riforma dei giudici”.
Un fermo e circostanziato comunicato di protesta che il Berlusconi democristiano ha accolto però con raddoppiata arroganza, liquidandolo con un “brr che paura!” profferito dal salotto televisivo di Vespa. E tutto ciò nel silenzio assordante del rinnegato Napolitano, il grande regista della controriforma della giustizia e del Csm, sempre pronto invece a bacchettare il “protagonismo” dei magistrati quando intervengono sui media a difesa della loro indipendenza.
17 settembre 2014