Un nuovo colpo all'istruzione pubblica
La “riforma” di Renzi e Giannini apre la scuola ai capitalisti e la fonda sulla meritocrazia e la gerarchizzazione
Unicobas proclama lo sciopero per il 17 settembre. Gli studenti in piazza il 10 ottobre e il 14 novembre
Dopo le anticipazioni del sottosegretario Reggi a luglio e quelle della ministra montiana Stefania Giannini al recente meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, il 3 settembre il Berlusconi democristiano Renzi è uscito allo scoperto e ha reso noto il rapporto del governo sulla scuola. Si tratta di un dossier intitolato “La buona scuola” composto da 136 pagine divise in sei capitoli e corredato da un allegato in cui si sintetizzano i dodici punti che daranno il via, a partire da gennaio 2015, alla “grande riforma scolastica” di Renzi e Giannini.
“Riforma” piduista e fascista
Un “patto educativo”, così lo ha definito Renzi, che fa proprie e porta alle estreme conseguenze le odiose controriforme Moratti e Gelmini; sferra un attacco senza precedenti ai diritti e alle tutele sindacali degli insegnanti, personale ausiliario, tecnico e amministrativo (Ata); colpisce duramente il diritto all'istruzione di milioni di studentesse e di studenti che Renzi cerca di abbindolare con le roboanti promesse di stabilizzazione dei precari e di forti investimenti nell’edilizia scolastica; cancella i residui spazi democratici borghesi a cominciare dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL); elimina gli scatti di anzianità, sopprime la libertà di insegnamento; azzera gli Organi Collegiali; irreggimenta tutto il personale docente e gli Ata e punta dritto alla piena realizzazione della scuola del regime neofascista, classista, meritocratica, gerarchizzata e completamente asservita alle borghesie locali, che affida tutto il potere ai presidi-manager e ai padroni capitalisti secondo il piano della P2 e trasforma gli istituti tecnici e professionali in veri e propri reparti di addestramento e avviamento al lavoro di mussoliniana memoria.
Si tratta di una “riforma” piduista e fascista sia nella forma che nella sostanza e finanche nelle modalità con cui è nata ed è stata posta in essere. Una “riforma”, si badi bene, non di iniziativa del parlamento, il luogo che dovrebbe essere deputato a legiferare in uno Stato borghese, bensì calata dall'alto e annunciata via internet dal capo del governo in persona con un video-proclama: versione moderna e tecnologica dei radio-proclami di Mussolini e delle famigerate adunate fasciste sotto il balcone di Piazza Venezia. A riprova che la seconda repubblica neofascista è di fatto già una realtà e che è il governo ad agire e a riformare non il parlamento ridotto a un “parco buoi” esautorato dei suoi poteri e ridimensionato a semplice luogo di approvazione incondizionata dei diktat governativi.
Col pretesto di dare al suo nero disegno scolastico una parvenza democratica, il nuovo Berlusconi Renzi si è rivolto direttamente agli elettori e ha lanciato una consultazione di due mesi nella scuola e nella società con la falsa promessa di renderli parte attiva del processo accogliendo “idee, suggerimenti e proposte migliorative”. In realtà è facile immaginare che al termine della consultazione si millanteranno migliaia di email e tweet ricevuti a sostegno delle proposte del presidente del consiglio, mentre il dissenso e le proteste delle studentesse e degli studenti, dei genitori, docenti e personale Ata che già sono scesi sul piede di guerra contro la riforma saranno oscurati e tacitati.
Ecco perché oggi più che mai occorre mobilitarsi per sbarrare il passo al Berlusconi democristiano Renzi che se non viene fermato in tempo rischia di durare altri venti anni. Bisogna dare l'avvio a nuovo autunno caldo in tutte le piazze del Paese. A partire dallo sciopero del 17 settembre indetto da Unicobas, occorre organizzare altre assemblee e iniziative di lotta in tutte le scuole e le università del Paese. Bisogna pressare i vertici sindacali confederali a dare il pieno appoggio alla mobilitazione nazionale lanciata dagli studenti per il prossimo 10 ottobre e 17 novembre e costringerli a proclamare subito uno sciopero generale di otto ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi per spazzare via il governo Renzi e la nera riforma scolastica.
Reclutamento, carriera, organico funzionale
Per indorare la pillola nei primi tre punti della riforma Renzi annuncia la fine del precariato e l'avvio di “un piano straordinario per assumere 150 mila docenti a settembre 2015 e chiudere le Graduatorie ad Esaurimento (GaE). A partire “dal 2016 si entra solo per concorso” (punto 2) e entro il 2019 entreranno altri “40 mila giovani qualificati... D’ora in avanti si diventerà docenti di ruolo solo per concorso, come previsto dalla Costituzione. Mai più ‘liste d’attesa’ che durano decenni”. Tutto ciò per garantire alle scuole (punto 3) “un team stabile di docenti per coprire cattedre vacanti, tempo pieno e supplenze, dando agli studenti la continuità didattica a cui hanno diritto”.
Si tratta di un vero e proprio ricatto: assunzioni in cambio della rinuncia a qualsiasi altro diritto e tutela sindacale. Non solo. Insospettisce anche il numero di assunzioni sbandierato: 150mila che corrispondono esattamente al numero di cattedre tagliate da Berlusconi, Tremonti e Gelmini nel triennio 2008-2011. Inoltre c'è da dire che secondo le prime stime questo provvedimento costerebbe, secondo i calcoli del governo, circa tre miliardi di euro l’anno a partire dall’esercizio finanziario 2016 ma si sorvola sul fatto che manca totalmente la copertura finanziaria.
Dunque quella che a prima vista potrebbe sembrare una vittoria delle lotte dei precari potrebbe ben presto tramutarsi nell'ennesima beffa. E comunque anche se Renzi dovesse trovare le adeguate coperture finanziarie i precari assunti sarebbero una frazione di quelli che aspettano da anni che sia riconosciuto il loro sacrosanto diritto alla stabilizzazione. Nel nostro Paese infatti non si applica neanche la pur permissiva normativa che impone di non sfruttare i lavoratori con contratti a tempo determinato oltre tre anni senza una prospettiva certa di stabilizzazione. L’Italia è anche oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea su questo punto, e certo non farebbe una bella figura Renzi proprio nel semestre di presidenza italiano a mantenere in piedi una situazione simile. Da qui l'idea di annunciare la fine del precariato e poi, una volta concluso il semestre di presidenza europea, gabbare ancora una volta tutti i precari. Un'ipotesi molto probabile visto che già quest'anno si assumono meno docenti di quelli previsti dal Decreto legge Scuola dello scorso anno proprio perché la ragioneria dello Stato ha fatto sapere che non ci sono i soldi sufficienti. I nuovi “organici funzionali” che si costituiranno impediranno, promette Renzi, il proliferare degli insegnanti precari negli anni successivi, garantiranno la copertura delle supplenze “brevi” e permetteranno il reclutamento dei futuri insegnanti solo attraverso concorsi per solo abilitati.
In realtà è quasi certo che la soppressione delle graduatorie di istituto, da cui venivano attinti i supplenti brevi, e l'istituzione dell'organico funzionale saranno realizzati sulla pelle dei docenti di ruolo attraverso un aumento dell’orario di lavoro a parità di stipendio. Si parla infatti di “banca delle ore” da utilizzare nella propria scuola o nella rete di scuole di cui si fa parte per coprire le necessità di supplenze temporanee.
Gerarchizzazione, meritocrazia e irreggimentazione del corpo docente
Il fumo sull'assunzione dei precari serve solo per nascondere ai docenti e all'opinione pubblica l’eliminazione degli scatti di anzianità, che verranno sostituiti da scatti di “merito”, attribuiti a non più dei due terzi del corpo docente ogni tre anni sulla base del giudizio del “Nucleo di Valutazione di ciascuna scuola o rete di scuole, a cui partecipa anche un membro esterno”. (proposta n. 4 e 5).
Dunque sarà il preside manager, a cui sarà attribuito di fatto tutto il potere nella scuola, i suoi scagnozzi e i padroni che finanzieranno la scuola, a decidere non solo i programmi e curricula, ma anche chi sono i docenti “meritevoli” di un aumento di stipendio e chi invece ne sarà escluso. Con tutte le conseguenze che si possono immaginare a cominciare dalla libertà di insegnamento che sarà gravemente minata e ulteriormente piegata ai voleri del preside e agli interessi dei capitalisti e delle borghesie locali.
In pratica si tratta delle stesse proposte avanzate negli ultimi anni dalla Gelmini: da una parte il sistema nazionale di valutazione, che ruota attorno ai discriminatori test dell’Invalsi, e dall’altra l’arbitrarietà dei dirigenti e della loro cerchia di capetti che andrà a costituire il nucleo di valutazione, con l’apporto dei privati che investono nella scuola.
Non a caso l'ex ministra berlusconiana Gelmini, proprio colei che ha tagliato 8,4 miliardi di euro alla scuola e 1,1 all’università nel 2008, ha dichiarato enfaticamente che il “patto educativo” proposto da Renzi e Giannini è identico a quello di Forza Italia. “Alla fine il tempo ci ha dato ragione: dopo anni di battaglie per risollevare un sistema educativo intorbidito dalla coda del ’68, ora anche la sinistra finalmente ha dovuto dare atto ai governi Berlusconi di aver agito nella direzione giusta per riportare la scuola italiana ai fasti che merita — ha detto Gelmini — Parole quali merito, carriera dei docenti, valutazione, premialità, raccordo scuole-impresa, modifica degli organi collegiali della scuola, sono state portate alla ribalta dal centrodestra, seppur subendo le censure e le aspre critiche da parte di sinistra e sindacati”.
E infatti Renzi propone di dare ancora maggiore potere ai dirigenti delle singole scuole nel decidere addirittura sui docenti da utilizzare nella didattica sulla base di un registro nazionale dei docenti che riporti i curriculum formativi di ciascuno (proposta n. 6), di aumentarne la discrezionalità attraverso l’abolizione di una serie di “procedure burocratiche” (proposta n. 7). Il registro nazionale dei docenti diventerà “lo strumento che ogni scuola (o rete di scuole) utilizzerà per individuare i docenti che meglio rispondono al proprio piano di miglioramento e alle proprie esigenze... Il dirigente scolastico potrà in tal modo chiamare nella sua scuola i docenti con un curriculum coerente con le attività con cui intenda realizzare l’autonomia e la flessibilità della scuola”.
In altre parole i presidi-manager potranno assumere i docenti che più li aggradano per chiamata diretta selezionandoli in base ai “crediti didattici, formativi, e professionali che faranno parte del portfolio del docente, che sarà in formato elettronico, certificato e pubblico. La progressione di carriera si articolerà in un riconoscimento e in una valorizzazione delle competenze acquisite, e dell’attività svolta per il miglioramento della scuola”.
Si tratta di un affronto inaccettabile che colpisce gli insegnanti meno pagati d’Europa, con gli stipendi fermi dal 2009 (e ancora per tutto il 2015, come annunciato dalla ministra Madia), puntando a dividere i lavoratori, ad asservirli ai diktat dei dirigenti scolastici. Questo provvedimento colpirà innanzitutto i precari, gli ultimi arrivati nelle scuole che andranno automaticamente a finire nel terzo non meritevole di prendere gli scatti e favorirà un clima di guerra fra poveri all’interno del corpo docente di ciascuna scuola per accaparrarsi i 4 spiccioli di aumento promessi. La funzione docente come l’abbiamo conosciuta finora sarà stravolta e si aprirà la corsa ad accumulare punti di valutazione attraverso il mercato dei master privati, ad impegnarsi in progetti e progettini di gradimento del dirigente anziché nella didattica per gli studenti, ad orientare la didattica alla performance nei quiz Invalsi e tutto ciò che risulta utile per rientrare nei due terzi di docenti graziati dallo scatto di merito triennale.
Anche gli organi collegiali saranno aboliti, come era già intenzione dei governi precedenti che hanno sostenuto la proposta di legge Aprea. Al loro posto ci sarà la nuova governance scolastica composta da: consiglio dell’Istituzione scolastica; dirigente scolastico; consiglio dei docenti e nucleo di valutazione. Al collegio (consiglio) dei docenti rimarrà la sola competenza della programmazione didattica. Mentre il consiglio di classe e l’assemblea degli studenti, previsti dall’attuale normativa, non sono nemmeno menzionati.
La scuola pubblica asservita al capitale privato
Con il falso slogan “Valorizzazione dell’autonomia delle scuole” che apre la seconda parte delle proposte di riforma, il governo Renzi intende intervenire anche sui programmi delle scuole rilanciando sotto altri nomi le tre “i” di berlusconiana memoria: inglese, informatica (coding) e imprese (economia, proposta n. 10). Si dice di voler valorizzare le attività laboratoriali facendo finta di non sapere che la recente riforma Gelmini alle superiori ha ridotto al lumicino le ore di laboratorio. Se le intenzioni di Renzi fossero davvero queste bsterebbe abrogare la Gelmini per restituire a tutti gli istituti e in particolare ai tecnici e ai professionali le ore di laboratorio sufficienti per svolgere le attività laboratoriali.
Per i tecnici e professionali, frequentati quasi esclusivamente da figli di operai e immigrati, invece c’è in serbo la trappola dell’alternanza obbligatoria tra scuola e lavoro negli ultimi tre anni del percorso scolastico (proposta n. 11), che sarà svolta presso le aziende del territorio attraverso stage non retribuiti e senza alcuna garanzia di assunzione al termine, grazie anche al Jobs Act di cui lo stesso governo Renzi è promotore.
Le imprese avranno a disposizione un bacino di manodopera giovane e gratuita da cui attingere e plasmare a proprio piacimento gli studenti più “laboriosi” addestrandoli come tanti soldatini a svolgere le mansioni di cui hanno bisogno. Non solo. Le aziende saranno anche direttamente coinvolte nella gestione del sistema di istruzione pubblico, attraverso i piani di digitalizzazione delle scuole (proposta n. 8), al finanziamento diretto con incentivi fiscali e all’utilizzo delle strutture negli orari pomeridiani (proposta n. 12). I padroni avranno anche la possibilità di diversificare gli indirizzi culturali di ciascuna scuola piegandole alle esigenze delle proprie aziende che le finanzieranno dando vita a una odiosa competizione tra scuole per attrarre i finanziamenti.
17 settembre 2014