L'uomo di Renzi all'Eni indagato
Descalzi accusato di corruzione internazionale. Stessa accusa per Scaroni
Il nuovo amministratore della multinazionale si deve dimettere
Renzi in parlamento attacca in modo mussoliniano i magistrati inquirenti
Dal 10 settembre il nuovo amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, designato dal premier Matteo Renzi alla guida del colosso energetico italiano appena quattro mesi fa, è indagato dalla procura di Milano per corruzione internazionale. Insieme a Descalzi sono finiti sotto inchiesta anche l’ex amministratore delegato (ad) Paolo Scaroni, il capo della Divisione esplorazioni Roberto Casula, i faccendieri Gianluca Di Nardo e il piduista Luigi Bisignani (che a fine 2011 ha patteggiato una condanna di un anno e sette mesi a Napoli per associazione a delinquere nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta loggia P4) e i loro soci in affari a livello internazionale: il nigeriano Emeka Obi e il russo Ednan Agaev.
L'inchiesta ruota intorno all’acquisizione, nel 2011, di un giacimento petrolifero al largo della Nigeria. All’epoca dei fatti Scaroni era il numero uno del gruppo petrolifero; Descalzi guidava la divisione Oil & gas e Casula presiedeva la controllata locale Nigerian Agip Exploration Ltd.
Secondo gli inquirenti, per ottenere la concessione del campo di esplorazione petrolifera denominato “Opl 245”, detenuta dalla società Malabu riferibile a Dan Etete, ex ministro del petrolio nigeriano, l'Eni ha pagato una mega tangente da oltre 200 milioni di dollari, un quinto degli 1,09 miliardi versati al governo di Lagos.
Il filone di indagine milanese è partito dopo l’acquisizione da parte dei Pubblici ministeri (Pm) Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro delle intercettazioni dell’indagine del 2010 dei colleghi di Napoli Henry John Woodcock e Francesco Curcio sulla cosiddetta P4. Dalle intercettazioni dell’indagine napoletana era già emerso l’intervento di Bisignani e Di Nardo sui vertici dell’Eni di allora. Bisignani, intercettato, parlava al telefono con l’ex numero uno Scaroni e anche con Descalzi. Dalle conversazioni emergeva come nel 2010 l’ex ministro nigeriano Etete avesse contattato Di Nardo per trattare, con l’intercessione di Bisignani, la vendita a Eni della concessione Opl 245, un immenso campo con riserve stimate in 500 milioni di barili equivalenti di petrolio. “L’uomo che sussurrava ai potenti”, stando alle indagini, ha presentato Di Nardo a Scaroni, che a sua volta lo ha messo in contatto con Descalzi.
Le trattative tra Eni e Etete, che insieme all’ex capo del governo, il generale Abacha, fin dal 1999 si erano autoassegnati l’immenso giacimento attraverso la società Malabu, iniziano nel 2010 ma l'affare viene chiuso solo ad aprile 2011 direttamente con il nuovo governo nigeriano insediatosi a metà 2010 e che accusava proprio l’ex ministro Etete (già condannato per riciclaggio in Francia nel 2007) di essersi appropriato indebitamente della concessione. La cifra pagata però è rimasta la stessa concordata in prima battuta tra Etete e Eni con l'intermediazione di Bisignani e Di Nardo, ossia: 1 miliardo e 92 milioni di dollari. Contestualmente il governo nigeriano ha incassato 200 milioni di dollari da Shell e ha girato una somma identica alla Malabu.
I loschi retroscena che hanno caratterizzato l'affare sono emersi quando, lo scorso anno, Obi e Agaev, hanno citato in giudizio Malabu davanti alla High Court di Londra reclamando il pagamento del 19% della somma. Cioè la maxi percentuale promessa per la mediazione. Obi è uscito vincitore e si è visto riconoscere 110,5 milioni. Ma dal processo londinese è emerso anche che una parte delle mazzette è stata destinata agli stessi manager Eni. A ribadirlo è lo stesso Etete che ha riferito all'Alta Corte londinese che l’affare per l' acquisto dell’Opl 245 era una truffa dei vertici Eni ai danni del proprio gruppo. Per questo motivo le carte della sentenza londinese sono state immediatamente aggiunte al fascicolo dei Pm di Milano e sono servite ad esempio a inquadrare meglio il ruolo e il coinvolgimento di Descalzi, che nel febbraio 2010, durante le trattative con Malabu, ha per esempio partecipato a un incontro all’hotel Principe di Savoia con Etete, Obi e Agaev. Agli atti giudiziari ci sono anche l'assunto del giudice secondo cui la cena di lavoro “dimostrava precisamente a Etete cosa le entrature in Eni di Obi erano in grado di ottenere per Malabu”. E anche nel periodo agosto-ottobre 2010 “Obi si è incontrato frequentemente con Eni e in particolare con Descalzi”.
Le autorità londinesi, su richiesta dei Pm milanesi, hanno sequestrato in via preventiva 190 milioni all’intermediario nigeriano Emeka Obi, residente in Inghilterra, bloccando un conto inglese e uno svizzero da 110 e 80 milioni a lui intestati. Il sequestro si basa sull'ipotesi che Eni per ottenere la concessione ha corrotto pubblici ufficiali africani a cominciare dall’ex ministro del petrolio Dan Etete e dal figlio dell’ex presidente Sani Abacha con l’intercessione di Obi, Di Nardo, Bisignani e altri intermediari. Non solo. “la somma di 190 milioni”, che secondo gli inquirenti è solo una parte della maxi-tangente da oltre un miliardo pagata da Eni, se non fosse stata bloccata tra Gran Bretagna e Svizzera, sarebbe stata “certamente destinata” non solo “a remunerare pubblici ufficiali” africani ma anche “a pagare kickbacks to Eni managers”, cioè “tangenti a manager Eni e agli intermediari Obi/Agaev e Di Nardo/Bisignani”.
Secondo la procura di Milano infatti “Scaroni e Descalzi hanno organizzato e diretto l’attività illecita. Descalzi era anche in continuo contatto con Obi. Mentre Bisignani era il collegamento tra i vertici dell’Eni e gli intermediari Obi e Di Nardo”. Inoltre risulta che il vertice di Eni ha versato la cifra su conti londinesi del governo nigeriano, sapendo, però, che parte di quei soldi, circa 800 milioni di dollari, sono stati poi effettivamente versati a Malabu tra la primavera e l'estate del 2011. Secondo le indagini, Malabu è stata utilizzata, in sostanza, come società 'schermo' o 'paravento' per il meccanismo corruttivo e, in particolare, per far arrivare le mazzette non solo ai politici nigeriani ma anche ai vertici Eni e ad una serie di intermediari italiani ed europei. E la somma di 1 miliardo e 92 milioni di dollari pagata per la concessione è da ritenersi per intero il vero ammontare della corruzione internazionale.
Invece di rassegnare subito le sue dimissioni Descalzi in una intervista a la Repubblica
ha versato lacrime di coccodrillo e cercato di prendere le distanze sia dal suo padrino Scaroni che dal suo socio in affari Bisignani il quale gli ha risposto per le rime dalle colonne de Il Fatto Quotidiano
confessando fra l'altro che “Descalzi era il pupillo prediletto di Scaroni. Mi sembrano talmente incredibili le sue parole su me e più ancora su Scaroni che ho aspettato per tutta la giornata una smentita che non è arrivata alle incredibili dichiarazioni. Allora con grande dispiacere ribadisco come sono andate le cose: è vero che mi rivolsi a Scaroni quando Dinardo, un mio vecchio amico, mi segnalò questa opportunità proposta dal mediatore Obi. Scaroni girò la segnalazione a Descalzi, per anni a capo dell’Eni a Lagos. Descalzi fece fare l’istruttoria e decise di seguire la strada che gli avevo indicato del mediatore Obi”.
Certo non è la prima volta che il cane a sei zampe rimane impantanato negli scandali di corruzione internazionali a cominciare dalla condanna rimediata negli Stati Uniti, Nigeria e Italia della controllata Snamprogetti coinvolta nel caso Bonny Island del 2010; e poi ancora le indagini in corso sulle operazioni Saipem in Algeria; gli affari poco chiari emersi più volte in Kazakistan per non parlare delle inchieste in Iraq e Libia.
Ciò conferma che la corruzione è un sistema che permea tutte le relazioni economiche e finanziarie nel sistema imperialista ed è la regola e non l'eccezione: se non paghi, e riscuoti, tangenti ci sarà sempre qualcuno della concorrenza che si sostituirà a te e ti soffierà l'affare, che in questo caso è il saccheggio delle risorse possedute dai paesi del sud del mondo.
Non a caso Renzi, che finora davanti alle inchieste giudiziarie se ne era uscito accusando la “vecchia guardia” e il vecchio modo di far politica dei suoi predecessori nel Pd e nelle istituzioni e demagogicamente aveva promesso il varo immediato di una legge anti-corruzione, l'introduzione dei cosiddetti “standard di onorabilità” delle aziende e addirittura il “daspo contro i politici che prendono tangenti”; ora che i suoi uomini vengono colti sistematicamente con le mani nel sacco è uscito allo scoperto e difende a spada tratta i suoi “mariuoli” e attacca a testa bassa la magistratura proprio come facevano i suoi predecessori Craxi e Berlusconi.
In risposta alle scandalose vicende del Mose, dell'Expo2015 e delle “spese pazze” alla Regione Emilia Romagna, tanto per citare i casi più clamorosi, che hanno coinvolto in prima persona i suoi uomini, il 16 settembre, il Berlusconi democristiano durante l'intervento alla Camera per presentare il suo programma fascista, piduista, antisindacale e antiprecari dei "mille giorni" ha tuonato: “Aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo a uno scoop di mettere in crisi dei posti di lavoro o a un avviso di garanzia citofonato sui giornali di cambiare la politica aziendale di un Paese”.
Insomma Renzi invece di convocare immediatamente Descalzi e chiedergli conto del suo operato in Eni e dimetterlo dall'incarico gli fa scudo affermando: “Sono felice di aver scelto Claudio Descalzi come ceo di Eni. Potessi lo rifarei domattina. Io rispetto le indagini e aspetto le sentenze”.
Altro che “segnale di discontinuità” coi governi precedenti e “freschezza” del nuovo esecutivo! Tutto continua come e peggio di prima e il fetore della corruzione ha ormai invaso tutti livelli istituzionali fino alla Presidenza del consiglio.
24 settembre 2014