Rapporto dell'Ocse
Più deregolamentato in Italia che in Germania il “mercato del lavoro”
Non c'è alcun rapporto tra “flessibilità e maggiore occupazione”
La richiesta di liberalizzazione del “mercato del lavoro” italiano viene invocata in continuazione come un mantra da Renzi e dal suo governo, dalla stragrande maggioranza dei partiti borghesi e dagli industriali. Viene indicata come la soluzione in grado di risollevare e allineare l'economia capitalistica italiana a quella dei maggiori Paesi europei, e sopratutto capace di creare migliaia di nuovi posti di lavoro. Anche il rinnegato del comunismo, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha dato il suo pieno sostegno al Berlusconi democristiano Renzi: “rinnovarsi, stare al passo con i tempi e con le sfide della competizione mondiale”, queste le sue parole che suonano come un invito, o per meglio dire una minaccia, a non creare ostacoli all'avanzare delle controriforme neofasciste, compresa quella del mercato del lavoro e in particolare il Jobs Act.
Con queste affermazioni costoro vogliono far credere che in Italia lo sviluppo economico sia “bloccato” dalle regole e dalle tutele che salvaguardano i lavoratori, tesi sostenuta anche dai mass-media di regime. Una ricerca dell' Organizzazione per la ricerca e lo sviluppo economico (OCSE) smentisce tutto questo. Nonostante a stilarla sia stato un organismo tutt'altro che progressista, il rapporto sul mercato del lavoro (G20 labour markets: outlook, key challenges and policy responses) è un preciso atto di accusa contro chi sostiene ancora politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro che non procurano più occupazione ma solo meno diritti ai lavoratori.
Se i lavoratori italiani, grazie anzitutto alle loro lotte, in passato erano riusciti ad aquisire molte tutele, tra il 1999 e il 2013 l’Italia ha fatto registrare una delle più pesanti cadute degli indici di protezione dei lavoratori, addirittura tripla rispetto a quella che si è registrata nello stesso periodo in Germania. L’analisi del grado di flessibilità del mercato del lavoro condotta sulla base dei dati OCSE permette di evidenziare che – con eccezione della Francia, dell’Austria e dell’Irlanda – tutti i paesi dell’Eurozona negli ultimi 25 anni hanno ridotto sensibilmente la protezione del lavoro, rendendo molto più flessibili
i loro mercati.
L’Italia è tra i paesi che si sono impegnati a fondo nel ridurre la protezione dell’occupazione, riducendo le tutele di oltre il 40%, dal valore 3,82 del 1990 al 2,26 del 2013. Si tratta di un valore appena superiore a quelli registrati da Olanda, Finlandia, Germania, Belgio e Grecia, ma inferiore a quelli di Spagna, Portogallo e Francia. Occorre anche sottolineare che questi dati sono fermi alla fine del 2013 e quindi non considerano gli effetti del decreto Poletti.
Risulta quindi evidente che il grado generale di flessibilità del mercato del lavoro in Italia è ormai in linea con la media dell’eurozona. Questo significa che le “riforme” Treu, Biagi e Fornero hanno accresciuto la precarizzazione del lavoro molto più della famigerata riforma Hartz realizzata in Germania e finalizzata agli stessi scopi.
Cade anche un altro cavallo di battaglia di Renzi, Marchionne, Napolitano e soci: quello che in Italia più che altrove ci siano lavoratori superprotetti mentre la maggioranza non ha quasi nessun diritto. Sul fatto che il precariato abbia aumentato le diseguaglianze non ci sono dubbi ma loro sono i primi sostenitori di questa ricetta e sopratutto la loro intenzione non è quella di allargare i diritti a tutti bensì di toglierli a tutti. Tuttavia il rapporto evidenzia come le differenze tra i lavoratori italiani non sono più marcate che in altri Paesi ne che una parte di loro goda di chissà quali tutele. L'indice di protezione dei lavoratori a tempo indeterminato vede al primo posto la Germania con un valore di 2,98, poi il il Belgio, l'Olanda e la Francia, solo dopo la Lituania arriva l'Italia. Per quanto riguarda quello che il rapporto chiama dualismo
, cioè le differenze tra i lavoratori, in cima a questa classifica si piazza l'Olanda, seguita dalla Germania, mentre l'Italia la ritroviamo dietro a una decina di altri Paesi.
Per concludere, la grande massa di dati del rapporto OCSE, che qui non possiamo trattare interamente, rivela che in Italia la deregolamentazione del “mercato del lavoro” già adesso è maggiore che in Germania e che non c'è alcun nesso tra flessibilità e crescita dell'occupazione, anzi. Tra i Paesi che hanno deregolamentato di più ci sono assieme all'Italia Grecia, Spagna e Portagallo che al tempo stesso sono in cima alla classifica delle nazioni con il più alto tasso di disoccupazione. La ricetta liberista non è altro che una delle tante messe in campo dalla borghesia per governare l'economia capitalistica, usata in special modo in periodi di crisi per scaricarne il peso sulle spalle dei lavoratori.
Questa ricerca è stata presa a pretesto da molti studiosi ed economisti keynesiani e riformisti per accusare sì il liberismo, ma per rilanciare la ricetta di un intervento statale per risollevare i consumi e rilanciare l'economia, intervento che non mette minimamente in discussione il sistema capitalistico. Noi marxisti-leninisti pensiamo invece che questo sistema basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e sulla proprietà privata vada combattuto e alla fine abbattuto, in qualunque forma si presenti, liberista o socialdemocratica, per essere sostituito con la società della classe operaia: il socialismo.
1 ottobre 2014