Assolti in appello per insufficienza di prove tutti gli imputati
Impuniti gli assassini di Stato di Cucchi
Il giovane fu massacrato di botte dopo l’arresto

 
Sono stati assolti lo scorso 31 ottobre, per insufficienza di prove, dalla corte di assise di appello di Roma dalle accuse per la morte di Stefano Cucchi i sei medici dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma già condannati in primo grado, e sono stati altresì prosciolti gli altri imputati - ossia tre infermieri dello stesso ospedale e i tre agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici - già prosciolti in primo grado per insufficienza di prove per la morte di Stefano Cucchi. Il sostituto procuratore generale della corte d’appello di Roma aveva chiesto la condanna invece per tutti gli imputati, insistendo soprattutto per la richiesta di condanna nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria che avevano tenuto in custodia il giovane romano: il rappresentante della pubblica accusa non aveva infatti alcun dubbio sul fatto che gli agenti fossero responsabili di lesioni volontarie nei confronti dello sfortunato giovane.
E’ importante a questo punto ricostruire la vicenda facendo parlare gli atti processuali. 
Alle 23:30 del 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi viene fermato insieme al suo amico Emanuele Mancini nei pressi di piazza Giuseppe Raggio, nell’estrema periferia orientale di Roma, dai carabinieri perché trovato in possesso di 21 grammi di hashish, tre dosi di cocaina e una pasticca di un medicinale usato contro l’epilessia, malattia di cui il giovane soffriva. Portato presso la stazione Appia dei carabinieri insieme al suo amico, quest’ultimo dichiarava ai PM che i carabinieri in borghese lo avevano costretto a firmare una falsa dichiarazione nella quale egli sosteneva di avere acquistato lo stupefacente dal Cucchi che, immediatamente dopo, fu arrestato mentre Mancini fu liberato e tornò a casa. Al momento dell’arresto - stando a quanto scrisse nel suo verbale il carabiniere Francesco Tedesco - Stefano Cucchi non avrebbe presentato alcun segno particolare sul volto “se non delle occhiaie verosimilmente dovute all’eccessiva magrezza ”. Nel verbale d’arresto i militari scrissero che il giovane sarebbe “nato in Albania il 24.10.1975, in Italia senza fissa dimora ”.
Alle 3:20 del 16 ottobre Cucchi, secondo il verbale redatto dal carabiniere Gianluca Colicchio, il geometra romano venne tradotto dalla stazione Appia a quella di Tor Sapienza. Durante l’accompagnamento - afferma a verbale il maresciallo Davide Antonio Speranza - Stefano Cucchi non avrebbe lamentato nessun malore, né avrebbe fatto alcuna rimostranza in merito. Eppure attorno alle 3.40, continua Colicchio che era in forza a Tor Sapienza, i carabinieri di questa stazione dovettero chiamare il 118 in quanto il ragazzo, a suo dire, avrebbe dichiarato “di avere forti dolori al capo, giramenti di testa, tremore e di soffrire di epilessia ”, ma all’arrivo dei medici il giovane, secondo il menzionato carabiniere, si sarebbe rifiutato di farsi visitare e si sarebbe dimostrato scarsamente collaborativo.
Il personale dell’ambulanza lasciò così la stazione di Tor Sapienza alle 4:50 del mattino e trascorse la notte fino a quando, alle 9:05, il carabiniere scelto Francesco Di Sano aprì la cella del giovane - in quanto doveva essere condotto al Tribunale per il processo per direttissima - e scrive a verbale che “il Cucchi riferiva di avere dei dolori al costato e tremore dovuto al freddo e di non poter camminare ”.
I carabinieri accompagnarono immediatamente il geometra romano nella sede del tribunale penale a piazzale Clodio dove alle 9:30 fu preso in consegna dagli assistenti di polizia penitenziaria che lo portarono in una cella di sicurezza in vista dell’udienza di convalida dell’arresto che si sarebbe celebrata un’ora più tardi. Il detenuto ghanese Yaya Samura, presente anche lui quella mattina a piazzale Clodio e recluso nella cella che si trova davanti a quella in cui era ristretto Cucchi, disse davanti al giudice e agli avvocati difensori nell’udienza di incidente probatorio svoltasi il 21 novembre 2009 di avere visto dal finestrino alcune persone in uniforme blu, come appunto sono quelle della polizia penitenziaria, malmenare con calci e pugni un detenuto che si lamentava e piangeva dal dolore.
Nel processo di primo grado un altro testimone - Marco Fabrizi, anche lui detenuto quella mattina in una camera di sicurezza vicino a quella di Cucchi - disse di aver chiesto a un assistente di polizia penitenziaria se poteva essere spostato nella cella di Cucchi, precisando che l’uomo gli fece un chiaro gesto a significare che in quella cella si prendevano botte. La detenuta Annamaria Costanzo, che conobbe anche lei Cucchi nelle celle del tribunale, disse al processo di avere visto Cucchi fisicamente provato e che il giovane le riferì che l’avevano picchiato i carabinieri al momento dell’arresto. Ma la testimonianza più eloquente è quella della detenuta Silvana Cappuccio, anche lei presente quella mattina, che riferì al processo di primo grado di avere visto dallo spioncino della sua cella gli assistenti di polizia penitenziaria, poi identificati in Minichini, Santantonio e Domenici, picchiare con calci e pugni Cucchi.
Le indagini dei pm Barba e Loy infatti accertarono che i tre avevano gettato il ragazzo per terra procurandogli le lesioni toraciche, infierendo poi con calci e pugni, circostanza questa che, da sola o congiuntamente con precedenti o successive lesioni, provocò certamente danni di tale portata all’asciutto fisico del giovane geometra da provocarne, insieme all’incuria dei medici, la morte nell’arco di una settimana, come infatti avvenne.
Dopo l’udienza di convalida dell’arresto, dove il padre Giovanni lo vide nell’aula del tribunale e lo trovò con il viso gonfio e con vistosi lividi sotto gli occhi, il detenuto fu trasferito al carcere di Regina Coeli dove a riceverlo c’era, tra gli altri, l’assistente capo della polizia penitenziaria Bruno Mastrogiacomo il quale dichiarò ai pm Barba e Loy durante l’inchiesta che portò al processo di primo grado: “io ho fatto spogliare il Cucchi, ho visto che aveva segni sul viso, sugli zigomi, rossi, tipo livido, e quando gli ho detto di piegarsi lui mi ha detto che non riusciva a fare la flessione perché gli faceva male all’altezza dell’osso sacro. Gli ho chiesto che cosa era successo e il Cucchi mi ha detto che era stato malmenato dai carabinieri quando è stato arrestato ”. Un altro assistente di polizia penitenziaria in servizio a Regina Coeli, Fabio Tomei, mise a verbale, dopo la morte di Cucchi, che il detenuto Mario Torrenti riferì alla collaboratrice del parlamentare Stefano Pedica, durante una sua ispezione al carcere romano, che “dovevano indagare sui carabinieri, che Cucchi era stato picchiato a Tor Sapienza ”.
Intanto le condizioni di Cucchi peggioravano, tanto che il giorno successivo, 17 ottobre, viene condotto per essere visitato all’ospedale Fatebenefratelli, che si trova vicino al carcere di Regina Coeli, dove nel referto medico il medico accerta lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso, all’addome e al torace, frattura della mascella, emorragia alla vescica e due fratture alla colonna vertebrale, tanto da richiedere al personale penitenziario il suo ricovero che però non avviene.
E’ quindi evidente che il geometra romano fu massacrato di botte dopo l’arresto.
Infatti viene riportato al carcere di Regina Coeli dove le sue condizioni peggiorano ulteriormente, tanto che dovette essere trasferito al reparto penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini dove il giovane moriva di stenti il 22 ottobre 2009: l’autopsia ha accertato che Stefano Cucchi, alto 1,75 cm, al momento della morte pesava 37 chilogrammi. Vani furono tutti i tentativi fatti dai familiari dopo l’udienza del 16 ottobre di incontrare il loro congiunto detenuto e di conoscere quantomeno le sue condizioni fisiche: i Cucchi poterono vedere il cadavere del loro congiunto all’obitorio dell’ospedale Pertini solo dopo che il medico legale ebbe compiuto i suoi accertamenti, e fu in quell’occasione che furono scattate le terrificanti foto sul martoriato cadavere del giovane geometra romano che mostrano con evidenza i segni delle terribili violenze alle quali fu sottoposto nei giorni precedenti la sua morte.
Eppure, nonostante tale evidenza, gli assassini di Stato rimangono impuniti.

12 novembre 2014