Da fascista, a democristiano, a piddino e coordinatore della recente Leopolda
Il deputato PD renziano Di Stefano indagato per una mazzetta da 1,8 milioni di euro
Nel mirino delle procure di Roma e Chieti la rimborsopoli regionale targata PD, le “primarie con gli imbrogli”, la speculazione sugli immobili pubblci appalti e consulenze d'oro a parenti e amici. L'ex moglie l'accusa di festini hard in villa
Sulla misteriosa scomparsa del suo ex braccio destro, la procura ha aperto un nuovo fascicolo per “omicidio volontario”
Il deputato renziano Marco Di Stefano (coordinatore all’ultima Leopolda del 25 ottobre di un tavolo di lavoro sui pagamenti digitali su invito del ministro per le riforme e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, madrina dell’evento) è accusato di corruzione dalla procura di Roma per aver incassato una maxi tangente di 1,8 milioni di euro durante il suo incarico di assessore alle Risorse umane, demanio e patrimonio alla Regione Lazio guidata dall'ex governatore PD Piero Marrazzo. Altri 300mila euro di mazzette li ha incassati il suo braccio destro, l'imprenditore Alfredo Guagnelli, sparito nel nulla l'8 ottobre del 2009.
In cambio del malloppo, Di Stefano e Guagnelli hanno assicurato alle società dei loro concussori, i costruttori romani Daniele e Antonio Pulcini, due contratti d’affitto a sei zeri, si parla di circa 7 milioni di euro, per conto della ‘Lazio Service’, controllata dalla Regione.
La mazzetta a sei zeri
Secondo l'ipotesi accusatoria dei Pm romani Maria Cristina Palaia e Corrado Fasanelli, Di Stefano è stato corrotto da Daniele Pulcini con una mazzetta di 1,8 milioni di euro perché la controllata della Regione, Lazio Service prendesse in affitto una nuova sede di proprietà del gruppo Pulcini. La manovra era destinata a far aumentare, grazie al canone annuo stratosferico di complessivi 7 milioni e 327 mila euro, il valore dei due palazzi in via del Serafico. I Pulcini riuscirono – grazie all’affitto pagato coi soldi pubblici dei contribuenti – a vendere i palazzi all’Ente di Previdenza e Assistenza dei Medici, Enpam con una plusvalenza di 53 milioni di euro pari al 50% in più del reale valore di mercato.
I Pulcini sono già finiti ai domiciliari per corruzione nell’ambito dell’inchiesta sull'appalto per il parcheggio di piazzale Clodio che ha colpito, a fine ottobre, anche il direttore regionale dell’agenzia del demanio del Lazio Renzo Pini, quattro imprenditori, tre dirigenti di Banca e un funzionario pubblico.
Nel registro degli indagati c'è anche Claudia Ariano, direttore logistica di Lazio Service che nel dicembre del 2009 aveva dato l’input al Cda per cercare una nuova sede in locazione. Nel dicembre del 2012 i magistrati spiegavano che “era possibile accertare come tra il Di Stefano Marco e Ariano Claudia era in corso una relazione sentimentale”. Altro personaggio chiave della vicenda è il funzionario responsabile del settore immobiliare dell’Enpam indagato per corruzione perché espresse parere favorevole all’acquisto dei due immobili di via del Serafico nonostante “una plusvalenza ingiustificata rispetto al prezzo di acquisto risalente a pochi mesi prima pari rispettivamente al 100 e al 62 per cento”.
I contenuti dell'inchiesta su Di Stefano sono stati rivelati dal quotidiano romano “Il Messaggero”, che nell’edizione di giovedì 6 novembre 2014 riassume l'interrogatorio dall'ex moglie di Di Stefano, Gilda Renzi, la quale ha confermato tutte le accuse su cui indagano i magistrati.
Le primarie truccate
Agli atti c'è anche un’intercettazione in cui il deputato del PD parla di primarie truccate e minaccia: “Ora inizia la guerra nucleare, a comincià dalla Regione, tiro tutti dentro. Sono dei maiali, non è che puoi l’ultima notte buttar dentro gente dopo che ti dici che stai dentro. Ho fatto le primarie con gli imbrogli, no? Non è che sò imbrogli finti, imbrogli ripresi, non è tollerabile questa storia…Se imbarcamo tutti, ricominciamo dai fondi del gruppo regionale. Sansone con tutti i Filistei, casco io ma cascano pure gli altri”.
Minacce che Di Stefano pronunciò a fine 2012, in piena campagna per le primarie del PD per l’elezione dei parlamentari e che rilette oggi, alla luce della scandalosa vicenda dei rimborsi d'oro alla Regione Lazio, hanno destato l'interesse della procura di Rieti che indaga proprio sui 2,6 milioni di rimborsi distratti alla Regione e incassati dal PD nel biennio 2011-2012 attraverso il tesoriere del gruppo regionale, il reatino Mario Perilli. Per questo gli investigatori reatini hanno subito notificato a Di Stefano e a una decina di altri consiglieri regionali PD un avviso di reato per peculato, falso e finanziamento illecito al partito. Tra gli indagati a vario titolo figurano l'ex presidente reggente della Regione, Esterino Montino, attuale sindaco PD di Fiumicino e Enzo Foschi, ex capo segreteria del neopodestà di Roma Ignazio Marino.
Non solo. Secondo gli inquirenti fu proprio in seguito a quelle minacce che Di Stefano venne poi inserito nelle liste del PD alle politiche 2013 dove però risultò il primo dei non eletti nella circoscrizione Lazio 1. Le ire di Di Stefano, alla disperata ricerca di uno scranno in parlamento (forse proprio per mettersi al riparo dalle imminenti inchieste giudiziarie che stavano per investirlo), si placano solo ad agosto di quest’anno quando Marta Leonori viene nominata assessore dal sindaco Marino liberando così il posto alla Camera per Di Stefano.
Dal Msi alla Leopolda
Ex fascista e poliziotto, cresciuto nel quartiere Aurelio di Roma, Di Stefano inizia la sua carriera politica come consigliere circoscrizionale candidato col Msi (Movimento sociale italiano) alle comunali di Roma del 1989. Nel 1997 opera il primo cambio di casacca e viene eletto consigliere comunale della Capitale col Ccd (Centro cristiano democratico). Riconfermato nel 2001, si occupa di trasporti e ambiente. Nel 2003 il secondo cambio di casacca: diventa segretario provinciale del neonato Udc di Pierferdinando Casini. Nel 2005, prima di candidarsi alla Regione Lazio, folgorato dall’allora sindaco di Roma Walter Vetroni, lascia l’Udc per approdare al “centro-sinistra”: viene eletto con la lista civica per Marrazzo con oltre 14mila preferenze. Un pacchetto di voti, ritenuti fondamentali per la vittoria di Marrazzo che, in segno di riconoscenza, lo nomina assessore alle Risorse umane, demanio e patrimonio. Nel 2007 Di Stefano cambia nuovamente casacca ed entra nell’Udeur- popolari di Clemente Mastella. Ma un anno dopo, nel 2008, ci ripensa e rientra nei ranghi del PD da cui gestisce l’assunzione, senza concorso, di 900 precari di Lazio Service, società regionale creata nel 2005 dall’ex governatore Francesco Storace. Nel 2010 si ricandida in Regione, raccogliendo questa volta 16mila voti che gli valgono la guida della Commissione speciale federalismo fiscale e Roma Capitale: un organismo considerato inutile e costoso che, infatti, viene sciolto in seguito allo scandalo Fiorito sui rimborsi regionali.
Appalti, mazzette, consulenze d'oro e festini hard
Il resto è storia di appalti, mazzette e consulenze d'oro elargiti a parenti e amici degli amici in qualità di assessore della giunta Marrazzo a cominciare dai 20 mila euro al nipote Emiliano De Venuti; agli 11 mila e rotti dati al suo amico Antonio Davì fino ai 32 mila euro elargiti all'ex coordinatore per la campagna elettorale Andrea Barberis. Tutto scandito da festini a base di alcol e belle donne che, come ha denunciato l'ex moglie agli inquirenti, Di Stefano e Guagnelli sovente organizzavano in una vecchia cascina a Grottaferrata sui Castelli romani.
L'inchiesta è caratterizzata anche dalla misteriosa sparizione di Guagnelli, considerato dagli inquirenti il testimone chiave che potrebbe confermare tutto il mercimonio. Ma di Guagnelli si sono perse le tracce 5 anni fa. Di questa misteriosa scomparsa si occupò nel 2011 la trasmissione Chi l’ha visto? e si scoprì che poche ore prima di sparire Guagnelli s’incontrò proprio con Di Stefano nei pressi della Regione Lazio.
A confermare il passaggio di mazzette c'è però il fratello di Alfredo Guagnelli, Bruno, che agli inquirenti ha riferito: “Mio fratello mi disse, ridendo, che Daniele Pulcini diceva sempre che l’assessore era un ladro, perché aveva preteso un milione e 800mila euro per il buon esito di un affitto o di un acquisto di un palazzo di cui aveva bisogno la Regione Lazio nel 2009”.
Si procede anche per omicidio
A cinque anni dalla misteriosa scomparsa di Gugnelli e soprattutto alla luce di quanto emerso dall'inchiesta Enpam, la procura di Roma ha deciso di firmare una specifica delega d’indagini, affidate alla sezione omicidi della Squadra mobile. La nuova inchiesta, per il momento senza indagati, è coordinata personalmente dal procuratore Pignatone e l'ipotesi di reato per cui si procede è “omicidio volontario”.
Il fratello Bruno non ha mai creduto all’allontanamento volontario di Guagnelli. Il giorno della scomparsa l’ex braccio destro del deputato PD Di Stefano aveva detto agli amici di dover andare in treno a Firenze per un appuntamento, senza aggiungere altri dettagli. Un altro testimone ha raccontato al quotidiano “Libero” che Guagnelli, prima di sparire nel nulla, sarebbe partito per Montecarlo per recuperare una somma di denaro in contanti: banconote da 500 euro per un totale di 2 milioni. Cifra che si avvicina alla tangente contestata al parlamentare del PD. E proprio da Montecarlo, secondo gli investigatori, i Pulcini avrebbero condotto in Italia documenti e “valuta”. Guagnelli – continua il testimone – viaggiava molto, amava la bella vita, offriva viaggi e forniva donne e auto a politici tra cui Di Stefano.
Oltre al fratello Bruno, in tanti hanno raccontato che Guagnelli, già arrestato nel 2007 per una vicenda di corruzione relativa alla vendita di cappelle al Verano, avesse un tenore di vita eccessivo e sospetto. Sullo sfondo c’erano i debiti, e qualcuno ha ipotizzato anche il riciclaggio, legato a una mega operazione immobiliare che l’ex braccio destro di Di Stefano avrebbe dovuto portare a termine per conto di altre persone all’Eur. Ed è molto probabile che a un certo punto qualcosa è andata storto. Chi ha avuto modo di vedere Guagnelli nei giorni antecedenti la sua scomparsa lo ricorda preoccupato perché forse si era trovato a gestire soldi, tanti, probabilmente non suoi, forse svaniti poco prima che svanisse anche lui.
Sull'inchiesta incombe sempre più inquietante l’ombra della malavita e un vorticoso giro di appalti e mazzette a livello internazionale. Dalle carte spuntano decine di altri appalti sospetti con relative tangenti destinate ai politici. Primi fra tutti gli interessi a Panama e gli appalti per il raddoppio del canale sui quali Guagnelli, come ha confermato lo stesso Di Stefano, avrebbe puntato. Infatti la mega commessa da oltre tre miliardi di euro era stata assegnata pochi mesi prima della scomparsa di Guagnelli a un consorzio guidato dall’italiana Impregilo. Era luglio 2009. Sono gli stessi appalti finiti anche in un’altra grossa indagine, quella coordinata dai pm di Napoli, che vede Valter Lavitola imputato per estorsione nei confronti di Impregilo e indagato per corruzione internazionale.
A margine anche una mega speculazione immobiliare andata in fumo a Roma sud. Oppure un losco affare di riciclaggio finito male che ha “costretto” Guagnelli a sparire senza lasciare tracce ma che non convince gli inquirenti sembrano sempre più convinti che tale sparizione non si sia volontaria.
3 dicembre 2014