Mentre il Senato nero approva definitivamente il provvedimento che dà libertà di licenziamento
La polizia carica il corteo dei precari e degli studenti contro il Jobs Act
Al manganellaggio hanno partecipato anche i carabinieri e i finanzieri. Due manifestanti fermati, poi rilasciati. I ricercatori precari Isfol occupano l'istituto e protestano davanti alla sede PD del Nazareno: “No al Jobs Act, Sì alla ricerca pubblica”. A Milano blindata i manifestanti assediano la Scala. Caricato il presidio sotto il teatro
I manganellatori neofascisti Renzi e Alfano se ne devono andare
Renzi accelera nell'approvazione del mostruoso Jobs Act e la protesta monta. Diverse le iniziative lungo la Penisola in previsione della discussione in Senato blindata da Renzi col voto di fiducia. Il 2 dicembre un gruppo di precari dell'Isfol, un istituto di ricerca che fa capo al ministero del Lavoro, ha occupato l'agenzia e protestato davanti alla sede del PD dove si svolgeva un incontro col governo. In 252 rischiano di perdere il lavoro per la norma, contenuta nel Jobs Act, che prevede di far confluire le attività di ricerca e monitoraggio in una nuova agenzia governativa. Il governo ha proposto ai lavoratori la firma di un contratto capestro di sei anni con la condizione che nel momento in cui l’Istituto dovrà affrontare una ristrutturazione i loro contratti decadrebbero automaticamente.
La protesta contro il Jobs Act si è estesa in tutta Italia, favorita anche dalla violenta repressione giudiziaria e poliziesca attuata dal governo dei manganellatori Renzi ed Alfano. Ben 21 denunce, tra cui 7 a minori per un corteo non autorizzato, hanno raggiunto a Pisa i manifestanti dopo i cortei del 14 novembre.
Il 4 dicembre si è svolta a Napoli alla Facoltà di Lettere poi occupata “contro il Jobs act”, un'assemblea cittadina contro “la disintegrazione dei diritti dei lavoratori” e per la “necessità di contestare questa barbarie”. La mobilitazione ha visto anche riunirsi in assemblea gli studenti dell’università Orientale e di molte scuole di Napoli e poi dare vita a un corteo spontaneo che ha attraversato le strade della città con blocchi stradali presso la sede del Pd e di Confindustria. Gli studenti e le studentesse dell’Orientale hanno dichiarato l’occupazione della sede di Palazzo Giusso contro l’approvazione del Jobs Act in Senato.
Il 7 dicembre i manifestanti contro il Jobs act hanno inscenato una durissima protesta sotto la Scala in occasione dell'apertura della stagione lirica. Tra gli striscioni “Fuck Renzi“, “Fuck the police”, “Stop agli sgomberi e agli sfratti“, con riferimento ai circa 10mila sfratti esecutivi (diversi eseguiti con l'intervento delle “forze dell'ordine”) nella sola Milano.
Dentro il teatro superblindato da un ingente schieramento di agenti in assetto antisommossa, gli sciacalli responsabili di provvedimenti come il Jobs act. In prima fila il sindaco Giuliano Pisapia, SEL, il presidente della regione Roberto Maroni, Lega, il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, PD, il presidente del Senato Pietro Grasso, PD, la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde. Le “forze dell'ordine” hanno violentemente caricato i giovani che con caschi e scudi di polistirolo si erano presentati ai varchi presidiati dalla polizia e avevano cercato per due volte di sfondare il cordone di agenti in assetto antisommossa. Nonostante la carica i manifestanti sono rimasti sul luogo, scandendo slogan contro il governo Renzi e Confindustria. “Due di noi sono stati colpiti alla testa'' hanno denunciato i manifestanti.
Un'altra carica della polizia e dei carabinieri è scattata davanti Palazzo Marino, chiudendo i manifestanti in un piccolo spazio in via Case Rotte. Al suono dell’Internazionale e degli slogan contro il governo Renzi e le politiche dell’Europa per il lavoro i manifestanti hanno dato vita ad un corteo lungo le vie che costeggiano la Scala.
La protesta del 3 dicembre
La protesta più forte si era svolta il 3 dicembre, in diverse città italiane, da Pisa a Bologna a Milano e Roma
In una Capitale superblindata i manganellatori Renzi e Alfano hanno mobilitato tutti i reparti delle “forze dell'ordine”, schierando centinaia di poliziotti, carabinieri, finanzieri in assetto antisommossa e decine di blindati per impedire ai manifestanti di portare la protesta fin sotto al Senato, dove in quel momento si discuteva la legge delega. Si è trattato dell'ennesimo sfregio di politicanti borghesi corrotti e delegittimati ad una città indignata dallo scandalo che vede coinvolti in scambi di mazzette e favori con la mafia romana pezzi grossi delle istituzioni, tra cui esponenti del PD. I manifestanti in corteo hanno scandito ben forti slogan contro Gianni Alemanno e Massimo Carminati.
Il combattivo corteo, cui hanno partecipato studenti delle scuole romane, ma anche delegazioni da ogni parte d'Italia, da Napoli, Bologna, Pisa, Padova e Venezia ha puntato verso Palazzo Madama, dietro lo striscione “Stop Jobs act” tenuto da decine di combattive studentesse. Lungo tutto il percorso rimbombava la richiesta “Dimissioni, dimissioni” indirizzata al governo Renzi. Numerosi i cartelli, tra cui “Basta precarietà” e “Il vero degrado è il lavoro gratuito”. Preso di mira anche l'infame piano sulla scuola che sottrae alle masse popolari il diritto allo studio.
Dal camion i manifestanti urlavano di voler spazzare via criminali, fascisti e faccendieri che dettano legge dentro i palazzi romani ed “estirpare il cancro che governa Roma e l'Italia da troppi troppi anni".
In corso Vittorio Emanuele davanti al Dipartimento della Funzione pubblica, sono volate alcune uova e i giovani hanno tentato di aggirare lo schieramento di uomini e mezzi blindati con un corteo in direzione di Largo Argentina. Ma tutte le strade erano bloccate dai blindati della polizia. All'altezza di Torre Argentina è iniziata una vera e propria manovra militare repressiva. Le “forze dell'ordine” hanno cominciato ad avanzare sul corteo, puntando soprattutto allo spezzone sindacale (Usb e Cobas), mentre altri poliziotti chiudevano la piazza sul lato di via del Plebiscito. Prima bloccavano il corteo in via delle Botteghe Oscure, dove, come denunciano i manifestanti, lo hanno serrato per oltre un'ora in una sorta di “tonnara”. A questo punto scatenavano una violenta e proditoria carica alle spalle del corteo disarmato. Diversi i giovani inermi feriti, con le teste spaccate e sanguinanti. Si contano una quindicina di contusi e feriti tra i ragazzi.
Due anche i fermati, rilasciati poco dopo. Altri dieci studenti erano stati identificati durante le prime fasi del corteo e uno di loro denunciato.
Renzi e Alfano devono andarsene
"Il Jobs Act diventa legge. L'Italia cambia davvero. Questa è #lavoltabuona. E noi andiamo avanti", twitta subito dopo il voto finale Matteo Renzi. Ma i cinguettii dell'avvoltoio Renzi non possono nascondere la violenza repressiva, le cariche e le manganellate scatenate contro gli oppositori del Jobs Act.
Fin dal primo giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi il PMLI è stato l'unico partito a denunciare che Renzi rappresenta una reincarnazione moderna e tecnologica di Mussolini e Berlusconi; che le sue “riforme” elettorali, istituzionali e costituzionali concordate con il neoduce Berlusconi sono golpiste, antidemocratiche e piduiste. Quanto è successo il 3 dicembre è l'ennesima dimostrazione che Renzi ha restaurato il fascismo sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli e non sa offrire al proletariato e alle masse popolari altro che repressione, oppressione, sfruttamento, miseria, disoccupazione e guerra imperialista, fascistizzando lo Stato di diritto e il diritto borghese del lavoro, secondo il piano fascista della P2 e di Berlusconi.
Come ai tempi della dittatura di Mussolini, Renzi ha fatto carta straccia della democrazia borghese, imponendo col suo fedele tirapiedi Alfano, a colpi di manganelli una controriforma che le masse non vogliono, perché favorirà unicamente i capitalisti, spezzerà le reni al sindacato, indurrà maggiore impoverimento generale, la crescita della disoccupazione e dell'emigrazione, la generalizzazione del precariato, produrrà la fine dei contratti nazionali.
I manganellatori Renzi e Alfano devono andarsene. Ma non lo faranno di loro spontanea volontà. Che allora si moltiplichino le manifestazioni e le contestazioni contro i provvedimenti di massacro sociale di questo governo e contro gli strumenti di gestione e repressione del conflitto sociale che Renzi e Alfano usano.
Che anche i lavoratori mobilitati da CGIl e UIL nelle manifestazioni del 12 dicembre accentuino la loro carica antigovernativa e la indirizzino sull'obbiettivo di mandare a casa Renzi, in risposta agli attacchi che egli sta sferrando alla classe operaia e alle masse popolari.
10 dicembre 2014