Il leader fascista era uno strumento della cupola per appalti e affari
Alemanno indagato per associazione per delinquere di stampo mafioso
L'ex sindaco di Roma “aveva contatti diretti” e aiutava il sodalizio mafioso
Il boss fascista Gianni Alemanno, neopodestà di Roma fino a giugno 2013, oggi esponente di Fratelli d’Italia, già parlamentare e ministro della Repubblica con Berlusconi, ex missino, segretario nazionale del FdG, ex protagonista dell'estremismo nero degli anni '70, bombarolo e picchiatore fascista, arrestato per aver tirato una molotov contro l'ambasciata sovietica a Roma; il 2 dicembre è finito tra gli indagati principali dell'inchiesta “Mafia Capitale” avviata dalla Procura di Roma circa due anni fa per cercare di far luce sul criminale sodalizio fra politica e criminalità organizzata all'ombra del Campidoglio.
Tre anni dopo le scandalose vicende di "parentopoli" e "fascistopoli" (centinaia di amici, generi, nipoti, figli, mogli, ex cubiste e soprattutto vecchi camerati assunti nelle aziende municipalizzate Ama e Atac a chiamata diretta e senza concorso); Alemanno è di nuovo nel mirino della procura di Roma accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso ed è ritenuto dagli inquirenti lo strumento diretto attraverso cui la cupola politico-mafiosa riusciva ad aggiudicarsi tutti gli appalti pubblici della Capitale: dalla raccolta e smaltimento dei rifiuti, alla manutenzione del verde pubblico, dalle mense alle piste ciclabili fino al grande banchetto inerente la gestione dei campi Room e i progetti di accoglienza di profughi e rifugiati.
Non solo, secondo quanto si evince da alcune intercettazioni a carico dell'ex capo della segreteria di Veltroni, Luca Odevaine, e di altre persone coinvolte nell'inchiesta, Alemanno ha portato 4 valigie piene di tangenti in Argentina.
E’ il 31 gennaio 2014 il Ros dei Carabinieri intercetta una conversazione, negli uffici della Fondazione Integrazione tra Odevaine e Mario Schina, consigliere della cooperativa “Il percorso”, che si occupa di campi Rom, e Sandro Coltellacci, collaboratore di Salvatore Buzzi, padre padrone delle cooperative “rosse” in affari con il boss fascista Massimo Carminati. Coltellacci attacca a parlare di un soggetto che, in passato, ha avuto dei problemi con Alemanno e che avrebbe “spallonato” dei soldi all’estero. “Abita qua … dentro a ‘sto palazzo …”, riferisce Odevaine, “che fijo de ’na mignotta … ha litigato con Alemanno … per soldi se sò scannati … ma sai che Alemanno si è portato via… ha fatto … quattro viaggi … lui ed il figlio con le valigie piene de soldi in Argentina … se sò portati … con le valigie piene de contanti … ma te sembra normale … che un sindaco …”. Schina pone un interrogativo: “E nessuno l’ha controllato?”. “No”, risponde Odevaine, “ è passato al varco riservato … un attore per me …”. “Io invece”, continua Odevaine, “pensavo che… se li portava via tutti lui …”. “Sembrava sembrava … che il sindaco non toccasse …”, replica Schina, “invece ‘a toccati…”.
Secondo gli inquirenti, le tangenti passavano direttamente attraverso la segreteria di Alemanno. “Massimo Carminati e Salvatore Buzzi”, si legge negli atti d’indagine, “erogavano a Gianpiero Monti” ingenti “somme di denaro”. L’obiettivo era influenzare l’assegnazione delle opere pubbliche e Gianpiero Monti all’epoca non solo era “l’addetto alla segreteria particolare del Sindaco presso Roma Capitale”, ma era anche “delegato per il coordinamento del piano nomadi della Capitale”.
Insieme ad Alemanno sono indagati oltre cento persone e altre 37 sono finite agli arresti fra cui tutto il suo “cerchio nero” di amici a cominciare proprio da Monti e Carminati.
Emblematico in tal senso è l'affare andato in porto nel novembre 2012 riguardo a sei unità abitative da aggiungere al campo nomadi di Castel Romano. Per ottenere gli stanziamenti necessari, Buzzi e i suoi sodali – scrive il Ros nelle sue informative – si muovono “intervenendo, o comunque sollecitando, soggetti vicini al sindaco di Roma”, che si adoperano per risolvere la questione. E non solo. I carabinieri del Ros scoprono che Buzzi e i suoi amici sollecitano Alemanno in persona. Il 21 novembre Buzzi invia un sms al capogruppo del consiglio comunale del Pdl, Luca Gramazio, al capo della segreteria di Alemanno, Antonio Lucarelli, e allo stesso sindaco Alemanno: “I fondi per il 2013 e 2014 per la transazione e il nuovo campo Buzzi – non sono stati messi e sono 2.340.544,92 per il 2013 e 2.240.673,26 vi sono solo i fondi per il nuovo campo pari a 455.000,00 il resto e ancora zero …”. Il giorno dopo, la situazione sembra essersi improvvisamente sbloccata, considerato che Buzzi invia un altro sms a Gramazio, Lucarelli e Alemanno: “…Problema risolto per il nuovo campo grazie…”. E “dall’utenza in uso al sindaco – annotano gli investigatori del Ros – viene inviato un sms di risposta: ‘ok’”. Tra gli indagati anche Marco Visconti, Tommaso Luzzi e Alessandro Cochi che, nel 2012, sedevano nella giunta Alemanno e sugli scranni della maggioranza targata Pdl.
Per tutti le accuse a vario titolo sono associazione mafiosa, corruzione, estorsione e riciclaggio. Molti sono gli esponenti di PD e PDL coinvolti insieme a imprenditori, delinquenti comuni, criminali di lungo corso e vecchi protagonisti della destra eversiva e stragista con alla testa l'ex Nar (Nuclei armati rivoluzionari) e ex boss della banda della Magliana, Massimo Carminati, e il suo braccio destro Salvatore Buzzi, capo del potente consorzio di cooperative “Eriches-29 giugno”, amico di vecchia data dell'ex presidente di Legacoop e attuale ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti, ma soprattutto grande finanziatore di campagne elettorali non solo per il centro “sinistra” ma anche per i candidati del centro destra fra cui proprio Alemanno (sponsorizzato attraverso la fondazione “Nuova Italia”, della quale è presidente). Tutti coinvolti e immersi fino al collo nella fetida palude del cosiddetto “mondo di mezzo”.
Secondo l’accusa il rapporto della cupola degli affari con Alemanno “si è tradotto anche in contatti diretti e condotte funzionali di costui che hanno oggettivamente favorito il sodalizio. Vi erano dinamiche relazionali precise, che si intensificavano progressivamente, tra Alemanno e il suo entourage politico e amministrativo da un lato, e il gruppo criminale che ruotava intorno a Buzzi e Carminati dall’altro, che avevano ad oggetto specifici aspetti di gestione della cosa pubblica”.
A confermarlo ci sono le innumerevoli intercettazioni telefoniche e ambientali in cui i protagonisti parlano a ruota libera sicuri di non essere ascoltati. In diverse occasioni Buzzi dice che: “Se vinceva Alemanno ce l’avevamo tutti comprati. Partivamo Fiuuu (al razzo, ndr), che c… voi de più”. Poi c’è la claque “una cinquantina di persone” per il comizio al cinema Adriano, quando Alemanno non è più sindaco ma vuole rilanciarsi in politica, e poi ci sono gli “amici del Sud... sette/otto mafiosi” che “si danno da fare” per fargli prendere voti alle Europee (Alemanno era in lista con Fdi). Per non parlare dei numerosi tavoli acquistati per le cene elettorali a botta di centinaia di euro a cranio.
Alemanno è talmente invischiato nel mercimonio politico-mafioso che quando alla vigilia delle amministrative di giugno 2013, forse perché ha sentore degli imminenti risvolti dell'inchiesta in corso, cerca di coprirsi le spalle e tentenna sulla concessione di una proroga alle cooperative, il ricatto di Buzzi è esplicito: “Me la proroghi a sei mesi, arrivi a dopo le elezioni... se li famo tutti in santa pace, qui c’hai pure gente che ti vota... così ci costringi a fare le manifestazioni”.
Segno evidente che con l'amministrazione Alemanno il controllo degli appalti era totale anche perché, a gestire gli affari c'era anche Riccardo Mancini, braccio destro di Alemanno, ex armiere di Avanguardia nazionale finito in galera, amministratore delegato di Eur spa nonché “espressione diretta dell’amministrazione comunale avendo gestito le campagne elettorali di Alemanno ed essendo considerato una sorta di plenipotenziario nella gestione dei rapporti con gli imprenditori, soprattutto nel settore trasporti”. Insomma, dice ancora Buzzi: è quello che “deve passa’ i lavori buoni”. Non a caso, quando finisce sotto inchiesta, Buzzi corre ai ripari e racconta che: “Lo semo annati a pija’, gli amo detto cioè 'o stai zitto e sei riverito o se parli poi non c’è posto in cui te poi anda’ a nasconde'”. A libro paga con 15 mila euro mensili c'è anche Franco Panzironi, ex amministratore delegato di Ama spa finito anche lui in manette e “indicato quale reale dominus della stessa municipalizzata, nonostante non rivestisse più nessun incarico formale”. Su di lui Buzzi è categorico: “M’ha prosciugato tutti i soldi Panzironi... dovevo daje un sacco de soldi, 15 mila euro, gli ultimi glieli do oggi e poi ho finito”.
Un mercimonio di tangenti, appalti e favori che va avanti e anzi si rafforza e si allarga anche agli esponenti del PD quando Alemanno cede la poltrona di sindaco di Roma a Ignazio Marino.
Cambia l'amministrazione ma al Campidoglio la musica rimane la stessa e anzi si estende a tutto il centro “sinistra” compreso Sel. A parlare è sempre Buzzi che in vista della gara per la raccolta del Multimateriale appare sicuro: “I nostri assi nella manica per farci vince la gara dovrebbero essere la Cesaretti (Annamaria consigliere comunale e presidente della commissione consiliare Mobilità ndr) per conto di Sel, Coratti (Mirko presidente dell’assemblea capitolina ndr) che venerdì ce vado a prende un bel caffè e metto in campo anche Cosentino” ossia Lionello, senatore del PD, segretario della federazione romana che “È proprio amico nostro”. Anche su Coratti, Buzzi non ha dubbi perché: “me lo so’ comprato, ormai gioca con me”, e il 23 gennaio 2014 racconta di avergli “promesso 150 mila euro se fosse intervenuto per sbloccare un pagamento di 3 milioni sul sociale”. L’8 aprile invia un sms al capo segreteria del nuovo sindaco Marino, Mattia Stella, per avvisarlo: “Sono da Coratti”. Lui lo chiama immediatamente: “Oh Salvato’ io sto giù da me”. Buzzi è pronto: “Appena finisco da Coratti, scendo giù da te”. Non a caso con i collaboratori più stretti della banda Buzzi era stato esplicito: “Sto’ Mattia lo dobbiamo valorizzare, lo dobbiamo lega’ di più a noi”.
Nell'aprile 2013, in piena campagna elettorale, Buzzi gioca la partita su più tavoli e con tutti i partiti in lizza perché: “La cooperativa campa di politica. Finanzio giornali (compreso “il manifesto” trotzkista con 2.680 euro, ndr), faccio pubblicità, finanzio eventi, pago segretaria, cena, manifesti, lunedì c’ho una cena da 20 mila euro pensa... Questo è il momento che paghi di più perché stanno le elezioni comunali, poi per cinque anni... Mentre i miei poi non li paghi più, quell’altri li paghi sempre a percentuale su quello che te fanno. Questo è il momento che pago di più... Mò c’ho quattro cavalli che corrono... col Pd, poi con la Pdl ce ne ho tre, e con Marchini c’è... c’ho rapporti con Luca (Odevaine, già vicecapo di gabinetto con Veltroni sindaco ndr ) quindi va bene lo stesso... Lo sai a Luca quanto do? Cinquemila euro al mese... Un altro che mi tiene i rapporti con Zingaretti (presidente della Regione Lazio ndr ) 2.500 al mese... Mò pure le elezioni... Siamo messi bene perché Marino siamo coperti, Alemanno coperti e con Marchini c’ho... Luca che... piglia i soldi”.
Tutto questo perché i soldi pubblici sono la prima entrata per la cupola degli appalti. A confessarlo è sempre Buzzi che in diverse intercettazioni confessa ai suoi interlocutori, tra cui la sua collaboratrice Piera Chiaravalle: “Quest’anno abbiamo chiuso con 40 milioni di fatturato ma tutti i soldi li abbiamo fatti su zingari, emergenza alloggiativa e immigrati, gli altri settori finiscono a zero...Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? La droga rende meno”.
10 dicembre 2014