Come Vittorio Emanuele III che resse il sacco a Mussolini
Napolitano blinda Renzi e le controriforme fasciste e piduiste
Il rinnegato del comunismo attacca la CGIL e la sinistra del PD
Il governo Renzi è il migliore possibile e il suo sforzo per “modernizzare” il Paese e fare le “riforme” non va ostacolato; basta con il clima sociale “troppo impregnato di negatività”, la CGIL deve stare al suo posto e la sinistra del PD deve smetterla di agitare minacce scissionistiche; avanti con le “riforme” chieste anche dalle istituzioni internazionali, assicurando al Paese la necessaria “continuità istituzionale e politica”: pur nell'imminenza delle sue dimissioni Giorgio Napolitano non rinuncia ad esercitare fino all'ultimo e fino in fondo il ruolo presidenzialista che si è arrogato ormai da anni, entrando a gamba tesa nella situazione politica, blindando il governo Renzi e il patto del Nazareno, ingerendosi nello scontro parlamentare e sociale e negli affari interni del PD, e dettando al suo successore, chiunque egli sarà, l'agenda politica per il resto della legislatura.
Lo ha fatto approfittando di due tra le sue ultime uscite pubbliche al Quirinale, quella del 16 dicembre alla “cerimonia per lo scambio degli auguri con i rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della società civile”, e quella del 18 con i rappresentanti del corpo diplomatico. Alla prima cerimonia, davanti a Renzi e i suoi ministri, ai presidenti delle due Camere, ai rappresentanti dei partiti (tranne M5S e Lega che hanno disertato l'invito) e dei sindacati, Napolitano ha accennato alle sue “imminenti” dimissioni, preannunciate all'incirca per metà gennaio, alla fine del semestre italiano di presidenza della UE. E subito dopo ha mostrato di ergersi a patrono del premier e del suo governo, sottolineando “il forte consenso espressosi nelle elezioni del 25 maggio per il partito che guida il governo” e che ha consentito a Renzi di avere un maggior peso in Europa. Per ammonire poi che a ciò deve corrispondere la “massima serietà” in parlamento e “procedere con coerenza e senza battute d'arresto” sul “programma di riforme messo a fuoco dal presidente Renzi e dal suo governo”.
Attacco alla CGIL e alle lotte sociali
A questo scopo il capo dello Stato ha invocato “fiducia” in Renzi e nei suoi ministri, ma anche un “clima sociale indispensabile” per portare avanti le controriforme fasciste e piduiste, scagliandosi contro “un clima sociale troppo impregnato di negatività, troppo lontano da forme di dialogo”. E rivolgendosi “non solo ma anche ai sindacati”, li ha richiamati al “rispetto delle prerogative di decisione del governo e del parlamento, senza improprie e devianti commistioni”. Ammonimento che tutti hanno letto come rivolto alla CGIL e al suo segretario Susanna Camusso, presente alla cerimonia.
Ma in questo non si è limitato ad una rampogna generica. È sceso anche nello specifico dello scontro sociale in atto, difendendo a spada tratta il Jobs Act imposto al parlamento con una legge delega passata con voto di fiducia: “Non si dica che c'è precipitazione, che si procede troppo in fretta”, ha tuonato infatti il rinnegato del comunismo, sentenziando che invece col provvedimento di Renzi e Poletti “si sono poste le basi per un'ampia riforma del mercato del lavoro, aperta a molteplici esigenze di necessario rinnovamento, e divenuta improvvidamente oggetto di un'interpretazione riduttiva, concentrata sul punto di massimo possibile dissenso” (l'articolo 18, che per lui è cosa evidentemente secondaria, ndr).
Allo stesso modo ha bacchettato sprezzantemente anche quanti criticano l'ossessione e la fretta di Renzi per le “riforme”, che sostengono la “non importanza dal punto di vista della crisi economica e sociale, delle riforme istituzionali”, e considerano “il superamento del bicameralimo paritario un tic da irrefrenabili 'rottamatori' o da vecchi cultori di controversie costituzionali”. E qui ha difeso il premier con una delle sue “dotte” disquisizioni storico-politiche per dimostrare l'annosità del problema dell'abolizione del bicameralismo. Non vergognandosi, per dimostrarlo, di invocare spudoratamente proprio l'”abuso della decretazione d'urgenza” e il ricorso a “voti di fiducia su abnormi maxi-emendamenti”, di cui il suo pupillo sta approfittando come e più di tutti i suoi predecessori, e che proprio lui gli firma regolarmente senza protestare.
Guai a chi attenta al “nuovo corso” renziano
Ma per Napolitano la colpa di questo andazzo anticostituzionale e lesivo delle prerogative del parlamento non è di Renzi, bensì degli “ostruzionismi ambiguamente rivolti a compromessi lesivi della chiarezza delle norme” (leggi M5S), nonché delle “spregiudicate tattiche emendative che portino a colpire la coerenza sistematica della riforma”, leggi “gufi” e “frenatori” vari presenti negli stessi gruppi parlamentari del PD.
E allora, tuona l'inquilino del Quirinale, “non si attenti in qualsiasi modo alla continuità di questo nuovo corso”! Serve invece “continuità istituzionale e politica” e “un'opposizione che non escluda le disponibilità già positivamente espresse per serie intese sulle riforme”. Un'opposizione da intendersi cioè come quella di Berlusconi sancita nel patto del Nazareno; sia per far fronte insieme “alle sfide e ai rischi a cui è esposta l'Italia” per le vicine tensioni e conflitti oltreconfine, sia all'interno del Paese, “dinanzi al manifestarsi e al fermentare di pulsioni violente e di tendenze alla delegittimazione delle nostre istituzioni, tra le quali le stesse forze di polizia”.
Questo è il modello di “opposizione” che piace al rinnegato del Quirinale, mentre invece non gli piacciono affatto i “venti di scissione in questa o quella formazione politica, magari nello stesso partito di maggioranza relativa”, ossia quelli soffiati dalla sinistra del PD, per quanto lievi e inconcludenti si dimostrino nella pratica. Tuttavia egli la striglia rudemente e con disprezzo lo stesso, ammonendola che “è solo tempo - e inchiostro - che si sottrae all'esame dei problemi reali, anche politici, che sono sul tappeto; è solo un confuso, nervoso agitarsi che torna ad evocare, in quanti seguono le vicende dell'Italia, lo spettro dell'instabilità. E il danno può essere grave”!
Gli stessi concetti li ha poi ripresi e rafforzati due giorni dopo nel discorso davanti agli ambasciatori in cui, oltre a ribadire tutti i capisaldi della politica estera italiana imperialista e interventista, pro atlantica e pro Unione europea, di cui egli è il massimo e il più convinto sostenitore, ha di nuovo esaltato il governo Renzi e il suo “sforzo” per “cambiare” il Paese, magnificando il nuovo Berlusconi Quasi come un “uomo della provvidenza” di mussoliniana memoria, e in ogni caso come l'unico premier possibile nella presente congiuntura politica.
Niente alternative al governo Renzi
“Sono certo – ha detto infatti Napolitano agli ambasciatori, ma rivolto in realtà all'intero Paese - che avrete anche apprezzato l'ampio e coraggioso sforzo che il governo italiano sta compiendo per eliminare alcuni nodi e correggere taluni mali antichi che hanno negli ultimi decenni frenato lo sviluppo del paese e sbilanciato la struttura stessa della società italiana e del suo sistema politico e rappresentativo. Un'opera difficile e non priva di incognite, quella avviata e portata avanti dal Presidente del Consiglio e dal governo. Ma vi potevano essere delle alternative per chi, come noi, crede nelle potenzialità di questo paese, nel ruolo che deve rivestire in Europa, negli ideali che vuole portare e nella missione di pace che intende svolgere nel mondo”?
Pur avendo abituato ormai da anni il Paese alle sue continue e sempre più proditorie uscite dai limiti posti alla sua carica dalla Costituzione, allargando di fatto il suo ruolo politico e istituzionale fino a quello tipico di un capo di una repubblica presidenziale, mai si era visto nella storia della Repubblica un capo dello Stato che si ingerisce in maniera così pesante e sfacciata nella dialettica interna dei partiti e del parlamento. Eppure nessuno, nemmeno quelli direttamente da lui messi sul banco degli accusati e bacchettati con arroganza ha trovato nulla da ridire, e men che meno ha protestato ufficialmente.
E mai si era visto un presidente che arrivasse a sponsorizzare così platealmente e incondizionatamente un presidente del Consiglio, comportandosi in tutto e per tutto con il Berlusconi democristiano come un nuovo Vittorio Emanuele III, il re che reggeva il sacco a Mussolini legittimando la sua dittatura fascista. Con questi due interventi Giorgio Napolitano ha voluto lasciare il suo testamento politico di rinnegato del comunismo, ipotecando la politica del suo successore per il resto della legislatura a difesa del governo Renzi e del suo programma economico e sociale liberista e antioperaio e di controriforme istituzionali e costituzionali fasciste e piduiste.
23 dicembre 2014