La V flotta Usa pattuglia provocatoriamente lo stretto di Hormuz Escalation di minacce imperialiste all'Iran Obama firma la legge per le sanzioni contro le istituzioni finanziarie che hanno rapporti con la Banca centrale iraniana Dallo stretto di Hormuz che mette in comunicazione il Golfo Persico con l'Oceano indiano passa oltre un terzo del greggio mondiale, una media di 13 grandi petroliere lo attraversa tutti i giorni con un carico di oltre 15 milioni di barili di cui almeno il 75% va verso i principali paesi del mercato asiatico, dalla Cina al Giappone, dall'India alla Corea del sud. Sulla libera circolazione nello stretto di Hormuz sembra non debbano avere voce in capitolo i paesi affacciati sul Golfo Persico ma le potenze imperialiste a partire da quella americana che ha molteplici basi nella regione e che fa viaggiare minacciosamente le sue portaerei in avanti e indietro. A guardia dei pozzi di petrolio dei fidati alleati fra i paesi arabi e di quelli conquistati con la guerra all'Iraq. Agli ammiragli del comando della V flotta militare Usa, di stanza nel regno del Bahrein nel Golfo Persico, il presidente americano Barack Obama affidava il compito di aprire un nuovo capitolo delle provocazioni imperialiste contro l'Iran sul tema del controllo di Hormuz, mentre preparava nuove sanzioni. L'1 gennaio Obama firmava la legge per il finanziamento del Pentagono che comprende fra le altre nuove misure liberticide che affidano più ampi poteri al Fbi in nome della "lotta al terrorismo" e nuove sanzioni contro le istituzioni finanziarie che hanno rapporti con la Banca centrale iraniana. In particolare la legge concede alla Casa Bianca la facoltà di congelare i beni di qualsiasi istituzione finanziaria straniera che abbia relazioni con la Banca centrale iraniana nel settore petrolifero. Una misura voluta dalla maggioranza repubblicana del parlamento Usa ma che Obama non ha respinto per "salvare" la legge che era dedicata al rifinanziamento delle spese militari del Pentagono; può darsi che la legge possa essere difficilmente applicata, fra gli acquirenti del petrolio iraniano ci stanno Cina, India e Giappone e le loro banche nazionali, ma il provvedimento è sul tavolo. E sollecita altri interventi fra i quali nuove e più forti sanzioni reclamate il 3 gennaio dal ministro degli Esteri francese Alain Juppè. Dalla Siria al Golfo Persico il presidente francese Nicolas Sarkozy non vuol rimanere un passo indietro al collega imperialista americano, entrambi alla ricerca di visibilità e onori in vista di prossime importanti campagne elettorali ma anche perché è meglio preparare una possibile via di uscita capitalista alla crisi economica con una guerra. Juppè ha chiesto sanzioni più forti contro Teheran, fra le quali quelle proposte da Sarkozy che prevedono il congelamento dei beni della Banca Centrale iraniana e un embargo petrolifero. Per bloccare il programma di sviluppo di armi nucleari da parte dell'Iran, che è certo, secondo Juppé, dopo il rapporto esplicito dell'Aiea, l'agenzia internazionale per l'energia atomica. Il rapporto dell'Aiea dello scorso novembre affermava che il governo iraniano "potrebbe aver pianificato e avviato sperimentazioni preparatorie che sarebbero utili nel caso in cui volesse condurre un test per un ordigno nucleare". Le fonti che hanno passato gli "indizi schiaccianti e convergenti", tra i quali foto dei satelliti spia, ai tecnici dell'agenzia diretta dal giapponese Yukiya Amano erano stati i servizi segreti dei paesi occidentali. Tanto bastava ai sionisti israeliani per minacciare un attacco aereo contro le centrali atomiche civili e i centri di ricerca iraniani; a Obama per poter affermare che contro l'Iran tutte le opzioni di intervento, quindi anche quelle militari, erano possibili; alla Gran Bretagna di Cameron di ventilare la propria partecipazione all'attacco. A Parigi si ragiona di sanzioni la cui escalation può comunque portare alla soglia del possibile attacco all'Iran. Non appena Teheran ha ventilato possibili ritorsioni per le nuove sanzioni degli Stati Uniti verso il sistema finanziario iraniano quali il blocco delle petroliere a Hormuz, gli ammiragli americani di stanza nel Bahrein hanno affermato che "il libero flusso di beni e servizi attraverso lo stretto è vitale per la prosperità regionale e globale. Chiunque minacci di interrompere la libertà di navigazione nello stretto internazionale è fuori dalla comunità delle nazioni" e minacciavano che "qualsiasi interruzione non sarà tollerata". Vigileranno i gendarmi imperialisti dei mari. L'ammiraglio iraniano Habibollah Sayyari replicava che "chiudere lo Stretto di Hormuz, per la marina militare della Repubblica Islamica, sarebbe facile come chiudere un rubinetto", ma tale misura "non è al momento presa in considerazione, visto che controlliamo il mare di Oman e quindi il transito della zona". 4 gennaio 2012 |