8 milioni di poveri Colpiti di più operai, giovani e Mezzogiorno Nel Mezzogiorno una famiglia su cinque non può pagarsi il medico È una foto desolante delle condizioni delle masse popolari italiane quella scattata dal Rapporto sulla povertà in Italia nel 2009 pubblicato il 15 luglio dall'Istat. I dati pubblicati riguardano la povertà relativa e quella assoluta delle famiglie residenti in Italia, sulla base delle informazioni desumibili dall'indagine sui consumi, condotta nel corso del 2009 su un campione di circa 23 mila famiglie. La povertà relativa In Italia nel 2009 le famiglie in condizioni di povertà relativa sono 2 milioni 657mila. L'incidenza della povertà relativa è pari al 10,8%: si tratta di ben 7 milioni e 810mila individui poveri, il 13,1% dell'intera popolazione italiana. Si riscontra una leggera flessione dell'indice di povertà relativa rispetto al 2008, ma come dice il comunicato stampa del maggiore istituto di statistica italiano "Il motivo per il quale la povertà non è cresciuta nell'anno della crisi va ricercato nella lettura fornita dal Rapporto annuale dell'Istat sul mercato del lavoro e la deprivazione nel 2009; in tale periodo, infatti, l'80% del calo dell'occupazione ha colpito i giovani, in particolare quelli che vivono nella famiglia di origine, mentre due ammortizzatori sociali fondamentali hanno mitigato gli effetti della crisi sulle famiglie: la famiglia che ha protetto i giovani che avevano perso l'occupazione e la cassa integrazione guadagni, che ha protetto i genitori dalla perdita del lavoro". In sostanza, il principale ammortizzatore sociale della povertà in Italia sono state le famiglie. La stima dell'incidenza della povertà relativa viene calcolata sulla base di una convenzionale soglia di povertà che, per una famiglia di due componenti, è pari alla spesa media procapite nel paese. Dal momento che la spesa media mensile procapite nel 2009 è diminuita, anche la linea di povertà relativa per le famiglie si è abbassata e nel 2009 essa è di 983,01 euro (-1,7% rispetto al valore della soglia del 2008). Cioè per essere considerati poveri relativi si deve spendere ancora meno di quello che si spendeva nel 2008 e, dunque, dalla stima sono uscite quelle famiglie che per il 2008 erano considerate povere relative e per il 2009 invece hanno superato, anche se di poco, la soglia di povertà. Particolarmente preccupante il fatto che la condizione di povertà si va diffondendo maggiormente tra le famiglie operaie. La condizione di povertà tra le famiglie che hanno come riferimento un operaio è del 14,9%, mentre nel 2008 era del 14,5%. Nelle regioni del Centro, addirittura, l'incidenza di povertà relativa delle famiglie operaie aumenta dal 7,9% del 2008 all'11,3%. Un dato che riguarda strettamente da vicino la condizione di vita dei giovani operai. Infatti, secondo i dati Istat, tra le famiglie operaie diminuisce la percentuale di quelle che hanno più di un occupato e ciò è dovuto al fatto che, nel 2009, i giovani che hanno perso il lavoro appartenevano in maniera superiore alla media a famiglie della classe operaia. Grave è anche la condizione delle famiglie "con ritirati dal lavoro senza occupati" che, al loro interno, hanno componenti alla ricerca di occupazione: si tratta nella maggior parte dei casi di coppie con figli giovani a carico in cerca di lavoro: milioni di giovani disperati senza occupazione e senza prospettive di vita costretti a pesare sulla famiglia d'origine, definiti dal nero ministro Brunetta "bamboccioni". Tra queste famiglie alla soglia di spravvivenza, l'incidenza di povertà sale al 33,8%, mentre era del 30,9% nel 2008. Senza dubbio, la condizione delle famiglie operaie è decisamente la peggiore. Tra queste l'incidenza di povertà è superiore a quella osservata tra le famiglie di lavoratori autonomi, pari al 6,2% e diminuita rispetto al 2008 quando era del 7,9%, superiore, ovviamente all'incidenza di povertà tra i liberi professionisti, gli imprenditori e i lavoratori in proprio. La tabella sulla povertà relativa dell'Istat mostra dati aggregati per dirigenti/impiegati per una categoria i cui stipendi possono variare dagli 800 euro mensili di un precario della pubblica amministrazione alle svariate migliaia di euro in stipendi e prebende varie di un dirigente. La povertà relativa in questa "categoria" è comunque aumentata dal 4,9% del 2008 al 5,2% del 2009 e si può essere abbastanza certi, anche se l'Istat non lo dice, che il dato non riguardi i dirigenti. Il Mezzogiorno Il Mezzogiorno presenta la situazione più preoccupante. In questa macroarea del paese il valore della povertà relativa è del 22,7% pari a quattro volte quello registrato nel resto del paese e pari al doppio della media nazionale. Qui il fenomeno della povertà relativa continua a essere molto diffuso tra le famiglie più ampie, in particolare con tre o più figli, soprattutto se minorenni. L'incidenza di povertà tra le famiglie con due o più componenti in cerca di occupazione nel Mezzogiorno è del 37,8%. La difficoltà a trovare un'occupazione o un'occupazione qualificata determina livelli di povertà decisamente elevati in tutta Italia: è povero il 26,7% delle famiglie con a capo una persona in cerca di lavoro, mentre nel Mezzogiorno l'incidenza sale al 38,7%. Sono dati che fanno riflettere molto ai quali si aggiungono come un macigno quelli dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) che fotografano un Sud abbandonato a se stesso dalle istituzioni borghesi nazionali e regionali. Sono ben 6 milioni 838mlia i meridionali a rischio di povertà, pari al 46% delle famiglie del nostro Mezzogiorno. Nel 2009, l'8% delle famiglie meridionali è stata costretta a rinunciare ad alimenti necessari, il dato sale al 12% in Basilicata. Il 21% non possedeva i soldi necessari per il riscaldamento, il 27,5% in Sicilia. Il 20% dei meridionali ha dovuto rinunciare al medico, mentre la cifra sale in Campania al 25,3% e in Sicilia al 24,8%. Sono dati direttamente collegati all'aumento della disoccupazione al Sud. Se in Italia nel 2009 hanno perso il lavoro 380mila occupati, di questi ben 194mila sono meridionali e tra questi ben 125mila erano giovani tra i 15 e i 29 anni la cui sussistenza è andata a ricadere sulle famiglie d'origine, aumentando la diffusione della povertà. La povertà assoluta Un altro indicatore importante dello stato della popolazione è la povertà assoluta, che risulta in Italia pari 4,7% delle famiglie residenti. La stima dell'incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base della soglia di povertà che corrisponde alla spesa mensile minima necessaria per acquistare il paniere di beni e servizi che sono considerati essenziali a conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia di povertà assoluta vengono classificate come assolutamente povere. Il Mezzogiorno conferma nel 2009 i livelli di incidenza raggiunti nel 2008, pari per quest'anno al 7,7%. Aumenta però il valore dell'intensità di povertà che dal 17,3% sale al 18,8%, ciò significa che le condizioni delle famiglie povere assolutamente sono peggiorate. Ciò si verifica anche al centro Italia, dove l'incidenza della povertà assoluta scende lievemente dal 3,1% al 2,7%, ma aumenta quella dell'intensità di povertà dal 17,8% al 18,3%. Ma la vera "sorpresa" in questo campo è l'aumento della povertà assoluta nel Nord Italia dove si passa da un'incidenza di povertà per le famiglie dal 3,2 al 3,6% e per le persone dal 3,2 al 3,7%. Il dato si spiega con il fatto che in generale in Italia aumenta la povertà assoluta per le famiglie della classe operaia, passando dal 5,9% del 2008 al 6,9% del 2009, ed il fenomeno ha maggiori ripercussioni nel Nord più industrializzato e a maggiore concentrazione operaia. Tali dati riflettono condizioni di vita intollerabili per le masse italiane, che rischiano di peggiorare ulteriormente, considerato che alla diminuzione della capacità d'acquisto si accompagnano la privatizzazione di settori vitali, come acqua e sanità, gli aumenti vertiginosi delle tariffe, delle tasse scolastiche e universitarie, i pedaggi stradali e autostradali, il taglio dei servizi operati dai comuni a settori deboli della popolazione, come anziani con pensioni minime e disabili. Il problema non può essere affrontato con le elemosine, come quei 500 euro mensili che il ministro Brunetta ipotizzava di dare ai giovani italiani per spingerli ad uscire di casa o i ridicoli bonus governativi, come il "bonus vacanze" della ministra Brambrilla, uno schiaffo in faccia a famiglie che non possono arrivare nemmeno alla terza settimana del mese. La povertà, peraltro, rischia di diffondersi ulteriomente con i provvedimenti antipopolari contenuti nell'ultima manovra finanziaria del governo del neoduce. Occorrono, invece di tagli, rimedi strutturali, ossia permanenti non aleatori: aumenti degli stipendi e delle pensioni sociali, minime, basse e medie, ripristino della scala mobile, tagli fiscali ai redditi medio-bassi e aumento delle tasse ai redditi alti e altissimi, tassazione dei grandi patrimoni e delle grosse rendite, blocco totale dei prezzi e delle tariffe, blocco dei licenziamenti, stabilizzazione dei precari con un lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato, "ammortizzatori sociali" universali, alzare la retribuzione della cassa integrazione, indennità di disoccupazione pari al salario medio degli operai dell'industria per un periodo non inferiore a tre anni, estesa ai giovani in cerca di prima occupazione, ampi interventi pubblici per il Mezzogiorno, abbattere gli interessi bancari sui mutui sulla prima casa. Occorre al più presto abbattere il governo Berlusconi e la sua politica di macelleria sociale e dell'immiserimento generale delle masse popolari. Solo così si potranno alleviare le condizioni delle masse popolari italiane. 28 luglio 2010 |