Rapporto Istat 8,2 milioni di poveri. Il 5,6% è in povertà assoluta Disoccupazione: gli inattivi sono il 37,8%. Nei primi nove mesi del 2012 chiuse 216 mila aziende artigiane Il reddito torna ai livelli di 27 anni fa Mentre il tecnocrate borghese Monti e il suo governo affamatore del popolo, sostenuto a spada tratta anche dal PD, si vantava di aver "salvato il Paese dal baratro del fallimento", i numeri e le statistiche elaborati dagli istituti di ricerca e commentati dai maggiori economisti a livello mondiale ci dicono invece che la "politica del rigore", ossia la macelleria sociale avviata dal governo del neoduce Berlusconi e portata alle estreme conseguenze da Monti, ha prodotto la più grave crisi recessiva che si ricordi in Italia. Altro che "ripresa e uscita dal tunnel", l'anno 2013 lascia intravedere prospettive tutt'altro che rosee e le stime, già negative, preannunciano già un aumento della povertà, della disoccupazione, con più giovani inattivi, una peggiore assistenza sanitaria, riduzione del valore dei redditi da lavoro e delle pensioni, ulteriore progressiva diminuzione del potere d'acquisto dei salari. A certificarlo è l'Istat con il suo rapporto "Noi Italia" e i dati a dir poco allarmanti in esso contenuti. Per quanto riguarda la disoccupazione, l'Istituto nazionale di statistica certifica che nel 2011 in Italia è stato occupato appena il 61,2% della popolazione di 20-64 anni, solo un decimo di punto in più rispetto al 2010. Nella graduatoria europea, solamente Ungheria e Grecia presentano tassi d'occupazione inferiori. Guardando alle donne, le occupate sono solo il 49,9%. La disoccupazione di lunga durata, che perdura cioè da oltre 12 mesi, ha riguardato, nel 2011, il 51,3% dei disoccupati nazionali ed ha segnato il livello più alto raggiunto nell'ultimo decennio. Altrettanto inquietante appare anche il numero di persone inattive. Nel 2011 il tasso di inattività della popolazione tra i 15 e i 64 anni è stato pari al 37,8% e non subisce variazioni rispetto al 2010. Un livello ragguardevole, secondo nella graduatoria europea dopo quello di Malta. Nella Ue è pari al 28,8%, in lieve calo rispetto all'anno precedente. Drammatico anche il dato sulla povertà. Nel 2011 le famiglie in condizioni di povertà relativa sono risultate l'11,1%: si tratta di 8,2 milioni di individui poveri, il 13,6% della popolazione residente. Mentre la povertà assoluta, stabilisce l'Istat, coinvolge il 5,2% delle famiglie, per un totale di 3,4 milioni di individui. La soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 1.011,03 euro. A fronte di questa situazione, la spesa sanitaria pubblica è di circa 112 miliardi di euro, molto inferiore a quella di altri importanti paesi europei; essa corrisponde al 7,1% del Pil e a 1.842 euro annui per abitante (2011). Povertà e scarsi investimenti in sanità sono due facce della stessa medaglia. Le famiglie, spiega infatti il rapporto, contribuiscono con proprie risorse alla spesa sanitaria complessiva per una quota pari al 19,5%. La spesa sanitaria delle famiglie, che rappresenta l'1,8% del Pil nazionale, ammonta a 909 euro per famiglia nel Mezzogiorno e a 1.163 euro nel Centro-Nord. Cattive notizie, dopo le controriforme Moratti-Gelmini-Tremonti-Brunetta giungono anche dal fronte scolastico. I giovani che abbandonano prematuramente gli studi sono in calo, ma l'Italia è ancora lontana dagli obiettivi europei. Fra i 18-24enni il 18,2% ha lasciato gli studi prima di conseguire il titolo di scuola media superiore, contro il 13,5% dei paesi Ue. Da segnalare che tra i giovani stranieri l'abbandono scolastico raggiunge il 43,5%. L'incidenza maggiore degli abbandoni si registra in Sardegna e in Sicilia, dove un giovane su quattro non porta a termine un percorso scolastico/formativo dopo la licenza media. A commento dei contenuti della ricerca, il presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, ha precisato che: "Quelle tra Nord e Sud Italia sono purtroppo le solite differenze che in parte questa crisi ha acuito perche in particolare negli ultimi due anni le imprese che esportano sono andate abbastanza bene mentre quelle orientate ai mercati interni sono andate male". "Essendo le prime più posizionate al Nord - ha sottolineato - significa che il Mezzogiorno ha sofferto e soffre di più queste differenze che stanno crescendo come si vede chiaramente dai dati sulla povertà anche perché al Sud abbiamo una quota di famiglie numerose più elevata e quindi che soffre di più in condizioni economiche disagiate come le attuali". Ma non è tutto, perché secondo una analisi di Rete Imprese Italia, i redditi degli italiani sono destinati a diminuire ancora e a tornare ai livelli del 1986. Attualmente il dato è sceso a meno di 17mila euro: 16.955 euro contro i 17.337 euro dello scorso anno. Nel 2007, anno di inizio della crisi, il dato era a 19.515 euro. E scivolerà ancora fino ad arrivare appunto a 16.955 euro, il livello di 27 anni fa. Accanto a ciò Rete Imprese sottolinea che nei primi nove mesi del 2012 hanno chiuso i battenti oltre 216mila imprese artigiane e dei servizi di mercato. Le iscrizioni ammontano invece a poco meno di 150mila (147mila) per un "saldo" tra mortalità e natalità negativo per 70mila unità. Secondo le stime dell'associazione, nei dodici mesi sono circa 100mila le imprese in meno. Reazioni allarmate arrivano anche dalle associazioni dei consumatori. Il Codacons giudica "estremamente gravi" i dati presentati dall'Istat. A peggiorare la situazione, spiega il presidente Carlo Rienzi, "è l'enorme numero di famiglie che presentano difficoltà nell'arrivare alla fine del mese, pari a ben il 40% del totale". Secondo l'associazione si tratta di numeri che "rappresentano una vergogna per un paese civile e che, purtroppo, si sono aggravati nel 2012, e continueranno a peggiorare nel 2013". Insomma una situazione drammatica su tutti i fronti confermata anche dalla crescita esponenziale del numero di persone che, nell'ultimo anno sono state costrette a ricorrere al sistema di assistenza sociale pubblico e privato con un conseguente aumento delle indennità di disoccupazione o d'inserimento in regimi di assistenza tant'è vero che le stesse organizzazioni caritatevoli e non governative evidenziano un aumento sensibile della richiesta di servizi d'emergenza, quali la distribuzione di beni alimentari e di prima necessità, le mense per i poveri o i ricoveri per i senzatetto. 3 aprile 2013 |